Punti di
frizione
Il
fatto è che l’Europa dovrebbe fare da sola, ma non ne è capace.
(di Stelio W.
Venceslai)
Della situazione dell’Unione
europea si è già parlato più volte.
Una crisi economica generalizzata ne ha rallentato la crescita e
tutti i nodi del sistema europeo stanno venendo alla luce.
La nuova Presidenza von der Layen non sembra essere all’altezza di
una situazione per governare la quale non basta dichiarare la disponibilità a
tir fuori i soldi. Occorrono idee, e queste difettano.
I mali dell’Unione sono noti, inutile ripeterli: troppe diseguaglianze
interne (in materia fiscale), eccessiva debolezza esterna (sicurezza e politica
estera).
Lo scudo nordamericano non basta più. Se Trump tira la corda,
crolla il sistema. Non era questo ciò che preconizzavano i fondatori della CEE.
Il fatto è che l’Europa dovrebbe fare da sola, ma non ne è capace.
Concepita a suo tempo come una struttura giuridica innovativa, l’Unione
ha ripiegato su stessa con il lento suicidio dell’unanimità. Un bel principio
democratico così efficace, nella sua applicazione, da essere paralizzante.
Geopoliticamente, dunque, l’Europa non esiste. Ha una grande
storia, è economicamente e demograficamente ancora importante, ma questo non è
più sufficiente. L’aggregazione di tanti popoli diversi rispondeva a un ideale
sacrosanto, dopo le ultime guerre mondiali: basta con le guerre civili europee.
Questa idealità ha tenuto e regge ancora, ma più che di
un’idealità comune si tratta di un comune interesse a lucrare benefici e
commerci sotto la comoda protezione di una tariffa esterna comune e della
libera circolazione delle persone, dei beni e dei servizi. L’Europa non può
essere solo un grande mercato.
I punti deboli europei, cominciando dal nord, sono i Paesi baltici
e, in primo luogo, l’Estonia. A questi legati sono Polonia e Finlandia, memori
di molteplici invasioni russe. Nel centro sud c’è la ferita aperta
dell’Ucraina, con le repubblichette di Doneck e di Lugansk, pronte a fare la
fine della Crimea, inghiottita dalla Federazione russa.
Scendendo ancora più a sud, incontriamo il latente, eterno
conflitto greco-turco, aggravato dalla pressione di decine di migliaia di
profughi siriani che Erdogan ha liberato, spingendoli al confine europeo della
Turchia. In parallelo, c’è il richiamo della Calipso turca ai popoli musulmani
dei Balcani (Macedoni, Bosniaci, Kossovari e, in parte, Albanesi).
Ancora più a sud, nel Mediterraneo, è irrisolta la questione di
Cipro, che fa sempre parte del pacchetto greco-turco, e spaziano le flotte
americana, cinese, russa. Ogni tanto, c’è un guardiacoste italiano o spagnolo,
così, per bellezza. E dire che sul Mediterraneo ci sarebbe da fare fior di
politica con i Paesi rivieraschi! Basta pensare alla Libia!
Da ognuno di questi punti deboli (o di rischio), può scaturire un
conflitto locale, un piccolo incendio che, poi, finisce per travalicare. Cos’è
in grado di fare un’Europa con i ben ventisette eserciti di cui in teoria
disporrebbe, eserciti che non hanno neppure standardizzato i loro armamenti?
Sull’Atlantico, poi, c’è il grande e imprevedibile gigante
americano. Non è un gigante buono. Forse, in passato, lo è stato anche troppo.
Ora, tira la corda anche lui. Una latente guerra commerciale è in corso, una
guerra da vecchi tempi, di quelle classiche, che si basa sulla presunta
concorrenza sleale nel commercio delle automobili.
In Europa, grazie alla pandemia, le vendite di auto sono scese del
94%. È una contesa ormai vecchia, quindi, ma ci sono sempre i prodotti
dell’industria alimentare per ravvivare il fuoco. Qual è la politica europea? Nell’Unione
ci sono mercanti e burocrati; mancano i politici con una visione delle cose che
vada oltre la punta del naso.
La questione NATO e quella turca vanno affrontate. Con la NATO
occorre decidersi se farne un’alleanza difensiva, e pagarne i costi, con o
senza gli Stati Uniti. Lasciar andar via le cose così come stanno andando è
solo una spesa inutile.
Con la Turchia, prima di tutto, evitando pretestuose motivazioni
di tipo parrocchiale, occorre chiarirsi con gli Europei: cosa ci conviene,
avere 90 milioni di Turchi dentro o contro l’Europa? Poi, visto che l’Europa
paga Erdogan perché trattenga i profughi, occorre ricordargli che lo paghiamo
per avere un servizio, non per essere ricattati. Se insiste, niente soldi e i
profughi se li tiene lui.
Nessuno ama le sanzioni commerciali imposte alla Federazione russa
per volere degli Stati Uniti. La questione è nata per la secessione della
Crimea dall’Ucraina e il suo passaggio alla Federazione. Ricordiamoci che dal
1783 la Crimea ha fatto parte dell’Impero zarista e solo dal 1954 è stata
inserita nell’Ucraina, per gentile concessione di Kruscev, quando era
Presidente dell’Unione sovietica e ucraino egli stesso.
Riconoscere il fatto compiuto sarebbe un atto di verità storica in
cambio di un ritorno all’ordine delle province orientali dell’Ucraina, con il
ritiro dei paramilitari russi e la fine delle sanzioni europee.
Occorre negoziare e ridurre i punti di frizione, non prolungarli
all’infinito, in attesa della prossima crisi.
Se l’Europa, invece di sussurrare ciò vorrebbe, si facesse
sentire, forse avremmo meno sovranisti e meno problemi in giro.
Roma, 16/05/2020.
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