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mercoledì 20 maggio 2020


Punti di frizione
  Il fatto è che l’Europa dovrebbe fare da sola, ma non ne è capace.
(di Stelio W. Venceslai)


  
Della situazione dell’Unione europea si è già parlato più volte.
   Una crisi economica generalizzata ne ha rallentato la crescita e tutti i nodi del sistema europeo stanno venendo alla luce.
   La nuova Presidenza von der Layen non sembra essere all’altezza di una situazione per governare la quale non basta dichiarare la disponibilità a tir fuori i soldi. Occorrono idee, e queste difettano.
   I mali dell’Unione sono noti, inutile ripeterli: troppe diseguaglianze interne (in materia fiscale), eccessiva debolezza esterna (sicurezza e politica estera).
   Lo scudo nordamericano non basta più. Se Trump tira la corda, crolla il sistema. Non era questo ciò che preconizzavano i fondatori della CEE. Il fatto è che l’Europa dovrebbe fare da sola, ma non ne è capace.
   Concepita a suo tempo come una struttura giuridica innovativa, l’Unione ha ripiegato su stessa con il lento suicidio dell’unanimità. Un bel principio democratico così efficace, nella sua applicazione, da essere paralizzante.
   Geopoliticamente, dunque, l’Europa non esiste. Ha una grande storia, è economicamente e demograficamente ancora importante, ma questo non è più sufficiente. L’aggregazione di tanti popoli diversi rispondeva a un ideale sacrosanto, dopo le ultime guerre mondiali: basta con le guerre civili europee.
   Questa idealità ha tenuto e regge ancora, ma più che di un’idealità comune si tratta di un comune interesse a lucrare benefici e commerci sotto la comoda protezione di una tariffa esterna comune e della libera circolazione delle persone, dei beni e dei servizi. L’Europa non può essere solo un grande mercato.
   I punti deboli europei, cominciando dal nord, sono i Paesi baltici e, in primo luogo, l’Estonia. A questi legati sono Polonia e Finlandia, memori di molteplici invasioni russe. Nel centro sud c’è la ferita aperta dell’Ucraina, con le repubblichette di Doneck e di Lugansk, pronte a fare la fine della Crimea, inghiottita dalla Federazione russa.
   Scendendo ancora più a sud, incontriamo il latente, eterno conflitto greco-turco, aggravato dalla pressione di decine di migliaia di profughi siriani che Erdogan ha liberato, spingendoli al confine europeo della Turchia. In parallelo, c’è il richiamo della Calipso turca ai popoli musulmani dei Balcani (Macedoni, Bosniaci, Kossovari e, in parte, Albanesi).
   Ancora più a sud, nel Mediterraneo, è irrisolta la questione di Cipro, che fa sempre parte del pacchetto greco-turco, e spaziano le flotte americana, cinese, russa. Ogni tanto, c’è un guardiacoste italiano o spagnolo, così, per bellezza. E dire che sul Mediterraneo ci sarebbe da fare fior di politica con i Paesi rivieraschi! Basta pensare alla Libia!
   Da ognuno di questi punti deboli (o di rischio), può scaturire un conflitto locale, un piccolo incendio che, poi, finisce per travalicare. Cos’è in grado di fare un’Europa con i ben ventisette eserciti di cui in teoria disporrebbe, eserciti che non hanno neppure standardizzato i loro armamenti?
   Sull’Atlantico, poi, c’è il grande e imprevedibile gigante americano. Non è un gigante buono. Forse, in passato, lo è stato anche troppo. Ora, tira la corda anche lui. Una latente guerra commerciale è in corso, una guerra da vecchi tempi, di quelle classiche, che si basa sulla presunta concorrenza sleale nel commercio delle automobili.
   In Europa, grazie alla pandemia, le vendite di auto sono scese del 94%. È una contesa ormai vecchia, quindi, ma ci sono sempre i prodotti dell’industria alimentare per ravvivare il fuoco. Qual è la politica europea? Nell’Unione ci sono mercanti e burocrati; mancano i politici con una visione delle cose che vada oltre la punta del naso.
   La questione NATO e quella turca vanno affrontate. Con la NATO occorre decidersi se farne un’alleanza difensiva, e pagarne i costi, con o senza gli Stati Uniti. Lasciar andar via le cose così come stanno andando è solo una spesa inutile.
   Con la Turchia, prima di tutto, evitando pretestuose motivazioni di tipo parrocchiale, occorre chiarirsi con gli Europei: cosa ci conviene, avere 90 milioni di Turchi dentro o contro l’Europa? Poi, visto che l’Europa paga Erdogan perché trattenga i profughi, occorre ricordargli che lo paghiamo per avere un servizio, non per essere ricattati. Se insiste, niente soldi e i profughi se li tiene lui.
   Nessuno ama le sanzioni commerciali imposte alla Federazione russa per volere degli Stati Uniti. La questione è nata per la secessione della Crimea dall’Ucraina e il suo passaggio alla Federazione. Ricordiamoci che dal 1783 la Crimea ha fatto parte dell’Impero zarista e solo dal 1954 è stata inserita nell’Ucraina, per gentile concessione di Kruscev, quando era Presidente dell’Unione sovietica e ucraino egli stesso.
   Riconoscere il fatto compiuto sarebbe un atto di verità storica in cambio di un ritorno all’ordine delle province orientali dell’Ucraina, con il ritiro dei paramilitari russi e la fine delle sanzioni europee.
   Occorre negoziare e ridurre i punti di frizione, non prolungarli all’infinito, in attesa della prossima crisi.
   Se l’Europa, invece di sussurrare ciò vorrebbe, si facesse sentire, forse avremmo meno sovranisti e meno problemi in giro.


Roma, 16/05/2020.


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