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domenica 3 maggio 2020


Troika e contagi.
(di Stelio W. Venceslai)



    Premetto che l’Italia, a suo tempo, ha negoziato e approvato (spero dopo averci ben riflettuto) l’Accordo istitutivo del MES (il fondo Salva Stati).
    Premetto che, evidentemente, chi presta i soldi deve seguire certe regole, stabilite dall’Accordo stesso.
    Premetto, ancora, che il MES è uno strumento comunitario per i casi di emergenza in cui uno o più Paesi membri abbia bisogno di aiuto.
    Ciò premesso, perché il MES non va bene per noi?
    Da quel che ho capito, nella generale confusione d’idee dei nostri politici, vorremmo un MES ad hoc per la pandemia, ma senza l’applicazione delle regole generali che disciplinano l’erogazione di risorse da parte del MES. Sarebbe un po’ come dire: datemi i soldi e poi ci penso io. Ora, da che mondo e mondo, nessuno ti da una lira se non gli spieghi che cosa ne farai, specie se non si tratta di donazioni a fondo perduto. Ma anche in questo caso, se fai l’elemosina a uno che muore di fame e quello, invece di acquistare qualcosa da mangiare va a comprarsi un foulard di seta, la prima volta subisci, ma alla seconda non gli dai più nulla.
    Di conseguenza, l’insistente richiesta italiana di un fondo d’aiuti senza condizioni non è né seria né opportuna. Non è seria perché in giro, nel mondo, c’è l’idea che lo Stato italiano sia un po’ cialtrone e non è opportuna perché vien fatto di chiedersi cosa abbiamo mai da nascondere.
    Il MES, giustamente, prevede che se le cose, dopo un intervento, continuano ad andar male, l’Unione possa intervenire nello Stato membro interessato per aiutarlo a mettere a posto i suoi conti, con la famosa troika.
    Nel caso della Grecia, che viene ripetuto all’infinito dagli Italiani come un esperimento da non ripetere, la troika ha certamente fatto danni, per un’impuntatura tedesca sul rigore dei conti, ma ora la Grecia veleggia in relazione alla sua reale consistenza economica. Tutto sommato, a distanza di anni, la cura della troika non è stata poi così negativa come si dice. Aggiungasi che Atene chiese l’intervento del MES, strillò assai, ma non pose come condizione che l’aiuto non fosse condizionato dall’applicazione delle regole sottoscritte da tutti.
    La verità è che il nostro governo (e l’opposizione in combutta) non vuole condizioni, non per una questione di leso orgoglio nazionale, ma per la sostanziale ragione che non sarebbe in grado di ottemperare alle possibili richieste di una supposta troika. Cosa ci potrebbe mai chiedere? Magari delle riforme, che da noi non si fanno. Magari dei controlli, che non si esercitano. Forse di snellire le procedure dove si annidano le incrostazioni d’interessi occulti, frequentati da scarafaggi da 41 bis. Richieste intollerabili.
    La tragedia vera è che sono tutti d’accordo che nel mettere le mani nel pastone delle nostre finanze dobbiamo essere solo noi gli chef. Altro che sovranismi! Sono interessi di bassissima lega quelli che pilotano la nostra politica nazionale. Non vogliamo condizioni. Perché? Solo perché siamo Italiani?
    Passiamo a un altro argomento: la famosa fase 2.
    Abbiamo due emergenze, quella sanitaria e quella economica. È chiaro che la prima è prioritaria. Se il contagio dilaga, c’è poco da scherzare e piangere perché i parrucchieri sono chiusi o perché le fabbriche non producono.
    D’altronde, è saggio cercare di contemperare queste due esigenze, perché se poi la gente si salva ma muore di fame, l’emergenza cambia colore, ma sempre emergenza è.
    Il governo dice che c’è una regola per tutti, da applicare indiscriminatamente dovunque, dalla Sicilia alla Val d’Aosta. In teoria ha ragione, in pratica no.  Infatti, non tutta l’Italia è in preda  al contagio. Per fortuna il Centro e il Meridione sono in condizioni di gran lunga migliori del Settentrione.
    Poi, in Italia c’è l’istituto delle Regioni, che sono un po’ più vicine al territorio rispetto allo Stato centrale. Le regole generali non possono non tener conto dell’esigenza di una  flessibilità diversa secondo la situazione delle regioni e le volontà dei loro  Presidenti.
    Se l’emergenza sanitaria è la prima delle priorità, la riapertura delle attività locali non può non essere che in funzione del grado di diffusione del contagio. Il buon senso direbbe che le regioni con minor tasso di contagio dovrebbero essere le prime a muoversi sul piano economico-sociale, perché sono le uniche ad avere il senso del loro territorio.
    Il fatto che il grosso dell’apparato produttivo del Paese sia concentrato là dove la pandemia continua a espandersi, e cioè nel Nord, è una disgrazia sulla disgrazia, ma non giustifica l’apertura generalizzata della fase 2, checché ne dicano i Presidenti di quelle Regioni interessate. Il rischio che si torni alla sospensione totale è troppo alto.
    L’apertura della fase 2 dovrebbe essere, di conseguenza, graduata regione per regione. Una fortuna per il Meridione, se finalmente fosse in grado di sfruttarla.
    È possibile che l’emergenza sanitaria duri molto più a lungo di quanto non vorremmo e, magari, che ci sia un’altra ondata di ritorno. Per molto meno, non trattandosi della salute di tutti, gli industriali del nord hanno delocalizzato parte delle loro attività in Polonia, in Croazia, in Cina. La Calabria o il Molise sono molto più vicini. Qualcuno, più avveduto, dovrebbe pensarci.
    Che a Cosenza, grazie alla sua Presidente, si possa prendere un caffè all’aperto, non mi sembra un delitto da Consiglio di Stato. Piuttosto è criminoso rischiare un’ulteriore crescita dei contagi nel nord.
    Infine, invece dei continui zuccherosi show televisivi, sarebbe auspicabile che i nostri politici stessero più in silenzio. Di sciocchezze, fino ad ora, ne hanno dette fin troppe: è solo una banale influenza, è una manovra della Cina, il numero dei morti è più o meno uguale alla mortalità dell’anno scorso per una banale influenza, e consimili idiozie.
    Non dicono solo sciocchezze ma anche bugie. Il Paese può essere ingannato una volta, due, ma alla terza non crede più a nessuno e si sente allo sbando.
    È la fiducia quella che manca nella pochezza dei nostri politici, ancora con un occhio rivolto ad elezioni che chissà quando si faranno, tra un avvocato paracadutato per caso, un bibitaro, un odontotecnico e un Dj o un animatore di villaggi per vacanze, assurti al ruolo di Ministri. La gente avverte che sta crollando tutto.
    Non è una questione morale. Dicevano i Romani: sutor, non ultra crepidam, ma il latino non lo conosce più nessuno. Visto che si dorme molto poco, tanto varrebbe ripassarselo.


Roma, 01/05/2020

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