Troika e
contagi.
(di Stelio
W. Venceslai)
Premetto che l’Italia, a suo tempo, ha negoziato e approvato (spero
dopo averci ben riflettuto) l’Accordo istitutivo del MES (il fondo Salva Stati).
Premetto che, evidentemente, chi presta i soldi deve seguire
certe regole, stabilite dall’Accordo stesso.
Premetto, ancora, che il MES è uno strumento comunitario per i
casi di emergenza in cui uno o più Paesi membri abbia bisogno di aiuto.
Ciò premesso, perché il MES non va bene per noi?
Da quel che ho capito, nella generale confusione d’idee dei
nostri politici, vorremmo un MES ad hoc
per la pandemia, ma senza l’applicazione delle regole generali che disciplinano
l’erogazione di risorse da parte del MES. Sarebbe un po’ come dire: datemi i soldi e poi ci penso io. Ora,
da che mondo e mondo, nessuno ti da una lira se non gli spieghi che cosa ne
farai, specie se non si tratta di donazioni a fondo perduto. Ma anche in questo
caso, se fai l’elemosina a uno che muore di fame e quello, invece di acquistare
qualcosa da mangiare va a comprarsi un foulard
di seta, la prima volta subisci, ma alla seconda non gli dai più nulla.
Di conseguenza, l’insistente richiesta italiana di un fondo
d’aiuti senza condizioni non è né seria né opportuna. Non è seria perché in
giro, nel mondo, c’è l’idea che lo Stato italiano sia un po’ cialtrone e non è
opportuna perché vien fatto di chiedersi cosa abbiamo mai da nascondere.
Il MES, giustamente, prevede che se le cose, dopo un intervento,
continuano ad andar male, l’Unione possa intervenire nello Stato membro
interessato per aiutarlo a mettere a posto i suoi conti, con la famosa troika.
Nel caso della Grecia, che
viene ripetuto all’infinito dagli Italiani come un esperimento da non ripetere,
la troika ha certamente fatto danni,
per un’impuntatura tedesca sul rigore dei conti, ma ora la Grecia veleggia in
relazione alla sua reale consistenza economica. Tutto sommato, a distanza di
anni, la cura della troika non è
stata poi così negativa come si dice. Aggiungasi che Atene chiese l’intervento
del MES, strillò assai, ma non pose come condizione che l’aiuto non fosse
condizionato dall’applicazione delle regole sottoscritte da tutti.
La verità è che il nostro governo (e l’opposizione in combutta) non
vuole condizioni, non per una questione di leso orgoglio nazionale, ma per la
sostanziale ragione che non sarebbe in grado di ottemperare alle possibili
richieste di una supposta troika.
Cosa ci potrebbe mai chiedere? Magari delle riforme, che da noi non si fanno.
Magari dei controlli, che non si esercitano. Forse di snellire le procedure
dove si annidano le incrostazioni d’interessi occulti, frequentati da
scarafaggi da 41 bis. Richieste intollerabili.
La tragedia vera è che sono tutti d’accordo che nel mettere le
mani nel pastone delle nostre finanze dobbiamo essere solo noi gli chef. Altro che sovranismi! Sono
interessi di bassissima lega quelli che pilotano la nostra politica nazionale. Non vogliamo condizioni. Perché? Solo
perché siamo Italiani?
Passiamo a un altro argomento: la famosa fase 2.
Abbiamo due emergenze, quella sanitaria e quella economica. È
chiaro che la prima è prioritaria. Se il contagio dilaga, c’è poco da scherzare
e piangere perché i parrucchieri sono chiusi o perché le fabbriche non
producono.
D’altronde, è saggio cercare di contemperare queste due esigenze,
perché se poi la gente si salva ma muore di fame, l’emergenza cambia colore, ma
sempre emergenza è.
Il governo dice che c’è una regola per tutti, da applicare indiscriminatamente
dovunque, dalla Sicilia alla Val d’Aosta. In teoria ha ragione, in pratica
no. Infatti, non tutta l’Italia è in
preda al contagio. Per fortuna il Centro
e il Meridione sono in condizioni di gran lunga migliori del Settentrione.
Poi, in Italia c’è l’istituto delle Regioni, che sono un po’ più
vicine al territorio rispetto allo Stato centrale. Le regole generali non
possono non tener conto dell’esigenza di una
flessibilità diversa secondo la situazione delle regioni e le volontà
dei loro Presidenti.
Se l’emergenza sanitaria è la prima delle priorità, la riapertura
delle attività locali non può non essere che in funzione del grado di
diffusione del contagio. Il buon senso direbbe che le regioni con minor tasso
di contagio dovrebbero essere le prime a muoversi sul piano economico-sociale,
perché sono le uniche ad avere il senso del loro territorio.
Il fatto che il grosso dell’apparato produttivo del Paese sia
concentrato là dove la pandemia continua a espandersi, e cioè nel Nord, è una
disgrazia sulla disgrazia, ma non giustifica l’apertura generalizzata della
fase 2, checché ne dicano i Presidenti di quelle Regioni interessate. Il
rischio che si torni alla sospensione totale è troppo alto.
L’apertura della fase 2 dovrebbe essere, di conseguenza, graduata
regione per regione. Una fortuna per il Meridione, se finalmente fosse in grado
di sfruttarla.
È possibile che l’emergenza sanitaria duri molto più a lungo di
quanto non vorremmo e, magari, che ci sia un’altra ondata di ritorno. Per molto
meno, non trattandosi della salute di tutti, gli industriali del nord hanno
delocalizzato parte delle loro attività in Polonia, in Croazia, in Cina. La
Calabria o il Molise sono molto più vicini. Qualcuno, più avveduto, dovrebbe
pensarci.
Che a Cosenza, grazie alla sua Presidente, si possa prendere un
caffè all’aperto, non mi sembra un delitto da Consiglio di Stato. Piuttosto è criminoso
rischiare un’ulteriore crescita dei contagi nel nord.
Infine, invece dei continui zuccherosi show televisivi, sarebbe auspicabile che i nostri politici stessero
più in silenzio. Di sciocchezze, fino ad ora, ne hanno dette fin troppe: è solo una banale influenza, è una manovra
della Cina, il numero dei morti è più o meno uguale alla mortalità dell’anno
scorso per una banale influenza, e consimili idiozie.
Non dicono solo sciocchezze ma anche bugie. Il Paese può essere
ingannato una volta, due, ma alla terza non crede più a nessuno e si sente allo
sbando.
È la fiducia quella che manca nella pochezza dei nostri politici,
ancora con un occhio rivolto ad elezioni che chissà quando si faranno, tra un
avvocato paracadutato per caso, un bibitaro, un odontotecnico e un Dj o un
animatore di villaggi per vacanze, assurti al ruolo di Ministri. La gente avverte
che sta crollando tutto.
Non è una questione morale. Dicevano i Romani: sutor, non ultra crepidam, ma il latino
non lo conosce più nessuno. Visto che si dorme molto poco, tanto varrebbe
ripassarselo.
Roma, 01/05/2020
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