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martedì 11 maggio 2021

Boss in libertà: “Collaborare non sia l’unica via per uscire” Boss in libertà: “Collaborare non sia l’unica via per uscire” Ergastolo ostativo - La sentenza della Consulta potrebbe mettere una pietra tombale su ogni possibilità di accedere ai segreti delle stragi di Giuseppe Pipitone | 12 MAGGIO 2021 La collaborazione con la giustizia non può essere “l’unica strada a disposizione” dei boss irriducibili per ottenere la libertà condizionale. Il motivo? L’obiettivo della pena deve essere la rieducazione del condannato. È seguendo questo principio che la Consulta ha decretato l’incompatibilità dell’ergastolo ostativo con la Costituzione. Una sentenza che potrebbe equivalere a una picconata definitiva a quel sistema di contrasto alla mafia inventato a suo tempo da Giovanni Falcone, diventato legge solo dopo Capaci e via d’Amelio. E che nei fatti potrebbe mettere una pietra tombale su ogni possibilità di accedere ai segreti delle stragi. I condizionali sono d’obbligo visto che è stata la stessa Consulta a concedere un anno di tempo al Parlamento per riscrivere l’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario. È quello che vieta a mafiosi e terroristi condannati all’ergastolo di accedere alla libertà vigilata dopo 26 anni di detenzione, se non in caso di collaborazione con la giustizia. Condizione in cui si trovano, tra gli altri, boss del livello dei fratelli Graviano o di Leoluca Bagarella, quelli che appunto potrebbero raccontare i retroscena delle bombe degli anni ‘90. È per questo motivo che la Corte ha concesso 12 mesi al legislatore per mettere mano alla norma. “Un intervento meramente ‘demolitorio’ potrebbe mettere a rischio il complessivo equilibrio della disciplina in esame, e, soprattutto, le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva che essa persegue per contrastare il pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa”, riconosce la Corte guidata da Giancarlo Coreggio nelle 19 pagine di ordinanza redatte dal giudice Nicolò Zanon. Ex consigliere laico del Csm in quota Popolo della Libertà, poi nominato da Giorgio Napolitano alla Corte costituzionale, Zanon è stato relatore anche della sentenza che nel 2019 aveva già bollato come incostituzionale una piccola parte dell’articolo 4 bis: quella che vieta i permessi premio per gli ergastolani ostativi. La posta in gioco questa volta è molto più pesante: il ritorno alla libertà per i detenuti al fine pena mai in assenza di una collaborazione con la giustizia. Il principio è semplice: se non collabori non puoi ottenere benefici. Per la Consulta, però, “lo scambio in questione può assumere una portata drammatica, allorché obbliga a scegliere tra la possibilità di riacquisire la libertà e il suo contrario, cioè un destino di reclusione senza fine”. Peggio: “In casi limite può trattarsi di una ‘scelta tragica’: tra la propria (eventuale) libertà, che può tuttavia comportare rischi per la sicurezza dei propri cari, e la rinuncia a essa, per preservarli da pericoli”. E ancora: “Quale condizione per il possibile accesso alla liberazione condizionale, il condannato alla pena perpetua è caricato di un onere di collaborazione, che può richiedere la denuncia a carico di terzi, comportare pericoli per i propri cari, e rischiare altresì di determinare autoincriminazioni, anche per fatti non ancora giudicati”. Ma non è proprio grazie anche alle migliaia di pentiti che lo Stato è riuscito a limitare la violenza e il potere di Cosa nostra negli ultimi 30 anni? “Ciò non significa – scrive la Consulta – svalutare il rilievo e utilità della collaborazione intesa come libera e meditata decisione di dimostrare l’avvenuta rottura con l’ambiente criminale, e che certamente mantiene il proprio positivo valore, riconosciuto dalla legislazione premiale vigente, qui non in discussione. Significa, invece, negarne la compatibilità con la Costituzione se e in quanto essa risulti l’unica possibile strada, a disposizione del condannato all’ergastolo, per accedere alla liberazione condizionale”. E dunque, trattandosi di “tipiche scelte di politica criminale, destinate a fronteggiare la perdurante presunzione di pericolosità ma non costituzionalmente vincolate nei contenuti”, la Consulta spiega che “appartiene alla discrezionalità legislativa (…) decidere quali ulteriori scelte risultino opportune per distinguere la condizione di un tale condannato alla pena perpetua rispetto a quella degli altri ergastolani”. Entro il 10 maggio 2022 il Parlamento dovrà aver riscritto l’articolo 4-bis. I boss irriducibili aspettano. E sperano.

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