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lunedì 4 luglio 2022

 

1958, in Caiazzo Maria Bencivenga  tentò di uccidere il suo ex fidanzato Giovanni Insero che dopo averla sedotta e abbandonata aveva poi  sposato un’altra donna di Ferdinando Terlizzi

Verso le ore 21:30 del 2 marzo 1958  i carabinieri della stazione di Caiazzo vennero informati che poco prima tale Maria Bencivenga nella sua abitazione sita in via San Felice aveva  esploso un colpo di arma da fuoco contro tale Giovanni Insero. Essi si portarono immediatamente in detto stabile ed ivi rinvennero sia  la Bencivenga presso la quale era la guardia scelta Tito Angelini,  comandante della locale stazione delle Guardie Forestali, sia l’Insero, che presentava un unico foro da colpo di arma da fuoco alla nuca ed era semi-svenuto, seduto sulla sedia, ai piedi della prima rampa delle scale al piano superiore abitato dalla Bencivenga. Il ferito, riprese conoscenze, prima di essere condotto all’ospedale civile di Caserta, dichiarò che mentre lasciava la casa della Bencivenga, proprio quando si accingeva a manovrare  un interruttore della luce del vano delle scale, era stato fatto segno ad un colpo di pistola sparatogli dalla donna la quale non aveva poi continuato a far fuoco solo perché da lui pregata di risparmiarlo. La Bencivenga fu trovata in possesso di una pistola automatica calibro 22 di marca Browing, di fabbricazione Belga, senza sicura,  munita di un colpo in canna e di altri tre colpi nel caricatore. Essa raccontò a sua volta che nel 1953 era stata fidanzata ed  aveva avuto rapporti intimi con l’Insero che poi non aveva mantenuto le promesse di matrimonio fattale ed anzi nel 1955 o 1956, aveva stretto relazione anche con certa  Maria De Crescenzo. Nel 1956 il giovane e la De Crescenzo erano emigrati in Svizzera per ragioni di lavoro; anche essa, allora si era portata in Svizzera ed ivi i suoi rapporti  con il fidanzato  - che negava  sempre la relazione con l’altra donna  - erano tornati normali. Nel settembre del 1957 essa aveva appreso che i suoi sospetti sulla fedeltà dell’Insero rispondevano al vero e pertanto aveva acquistato una pistola, quella sequestratagli, allo scopo di adoperarla contro il predetto ove  non fosse riuscito a farsi sposare. Il 15 dicembre del 1957 ella rimpatriò e l’Insero - che l’aveva preceduto in Italia si recò ad accoglierla  alla stazione di Caserta e successivamente si portò ogni sera a casa sua per farle lunghe visite. In Caiazzo ella apprese che l’amante aveva frattanto sposato la De Crescenzo. Pertanto esasperata decise sempre più di sopprimerlo; ed infatti ogni sera lo minacciò di ucciderlo senza però attuare la minaccia perché trattenuta dalle sue dichiarazioni di amore. Infine, quella sera, pregò ancora una volta il giovane “di non lasciarlo nelle condizioni in cui si trovava” e quando lo stesso,, al termine della visita durata due ore e mezza, si accinse ad accendere la luce sulle scale, estrasse la pistola  - che teneva conservata in petto – e fece partire un colpo. Aveva puntata l’arma in direzione della nuca della vittima. L’Insero cadde a terra e la scongiurò di non finirlo promettendole che sarebbe definitivamente tornato a lei. Ed a seguito di tali parole essa aveva desistito dal continuare a sparare ed aveva chiamato persone del vicinato tra le quali la guardia Angelini. La Bencivenga mentre veniva condotta in caserma dei carabinieri Icilio Polidoro e della guardia Tito Angelini venne aggredita con un coltello  tipo “molletta”, da un fratello della Maria De Crescenzo, Giuseppe De Crescenzo. Questi tentò di colpire ma non riuscì per l’intervento dei militari e indi si dette alla fuga. Durante il tragitto il gruppo formato dai militari e dalla  Bencivenga,  si imbattette anche in un altro fratello di Maria De Crescenzo, Luigi De Crescenzo, il quale prima tentò di avvicinarsi alla donna  e poi si rivolse alla guardia Angelini, che aveva richiamato l’attenzione del carabiniere Polidoro su di lui; con la frase: ”Ti faccio finire di fare la guardia”  e con gesti osceni indicava i suoi genitali. Ciò venne notato anche dai carabinieri Berlingiero Saviano  e Pietro Reale,  nel frattempo sopraggiunti. Subito dopo che la Bencivenga era stata portata in Caserma il vice brigadiere dei carabinieri Michele Polito e i carabinieri Saviano e Reali si posero alla ricerca dei fratelli De Crescenzo. Rintracciarono Luigi De Crescenzo in una piazza del paese e si accinsero a condurlo nel loro ufficio. Ma in via Latina incontrarono anche Giuseppe De Crescenzo il quale, accortosi che il fratello stava per essere arrestato lo incitò a darsi alla fuga pronunciando minacce di morte ed ingiurie e prese a colluttare con i carabinieri. Uno di costoro, il Polito, riportò diverse lesioni. In tali azioni violente Luigi De Crescenzo fu a sua volta spalleggiato da Giuseppe De Crescenzo  che in un  primo momento si sottrasse ai verbalizzanti con la fuga e poi si dette a lanciare contro gli stessi tutto ciò che trovava a portata di mano, e perfino un palo posto a sostegno di una pianta. I militari riuscirono infine ad arrestare Giuseppe De Crescenzo mentre l’altro si dava definitivamente alla fuga. Il coltello adoperato dal De Crescenzo contro la Bencivenga fu rinvenuto di lì a poco in strada. Trattavasi di un coltello piccolo come si è detto di tipo “molletta” con lama a punta lunga cm.10 e con manico lungo di cm. 13.  collana.

Il fidanzamento –La seduzione – L’emigrazione – La doppia tresca – il matrimonio con l’altra…

 

Sottoposto ad interrogatorio, Giuseppe De Crescenzo dichiarò che, avendo appreso che la Bencivenga aveva sparato contro suo cognato, si era portato verso il luogo dove era avvenuto il fatto, impugnando il coltello, e ciò per timore di essere aggredito; ammise altresì di essersi successivamente opposto, ingaggiando una colluttazione, ai carabinieri conducevano suo fratello in caserma e tentavano di arrestare anche lui. A seguito di queste risultanze, oggetto del rapporto dell’arma dei carabinieri del 3 marzo del 58, si iniziava procedimento penale, con rito formale con mandato di cattura, a carico della Bencivenga di tentato omicidio e detenzione di pistola; a carico di Giuseppe De Crescenzo, per i reati di tentate lesioni con arma in persona della Bencivenga, resistenza ai carabinieri del drappello comandato dal vice brigadiere Polito, oltraggio ai detti carabinieri, lesioni aggravate ai danni del Polito, per porto di  coltello di genere proibito; a carico di Luigi Di Crescenzo (che era tratto in arresto il 15 marzo 1958) per i reati di minacce in danno della Bencivenga e di oltraggio alla guardia forestale Angelini e per concorso nei reati  concorso di resistenza e lesioni attribuite al fratello. Nel corso dell’istruttoria veniva accertato mediante le opportune indagini medico-legali che l’Insero era stato attinto nella regione posteriore del collo da un colpo di pistola sparatogli mentre l’aggressore era alle sue spalle in posizione sopraelevata; che la lesione del medesimo riportata aveva determinato pericolo di vita ed era guarita in mesi quattro con riduzione del 15% delle attività normali e con riduzione della mobilità del capo dovuto alla ritenzione del proiettile che non era stato possibile estrarre.  Risultò altresì che il vice brigadiere Polito era guarito i giorni 10, senza postumi, dalle lesioni subite durante la colluttazione con Giuseppe De Crescenzo.  Innanzi al magistrato la Bencivenga si riportava a quanto detto ai carabinieri precisando però che non aveva mai avuto la certezza del matrimonio contratto dall’Insero con la De Crescenzo, data la negativa al riguardo mantenuta dal primo; che la sera del 2 marzo del 1958 ella aveva puntato contro il giovane prima una pistola ad acqua e poi la pistola vera acquistata qualche giorno prima ma solo con l’intenzione di intimidirlo. Ripeteva inoltre le circostanze della aggressione da lei subita da parte di Giuseppe De Crescenzo, aggiungendo su tale punto che essa, vedendo  lo stesso, gli disse: ”Insero non è più nè mio né di tua sorella”. Credendo di averlo ucciso, invece, il drudo si salvò, anche se dovette vivere con la pallottola in testa che non gli fu mai estratta. I De Crescenzo affermavano a loro volta che lo scontro con i carabinieri era stato determinato dei moti violenti usati verso di loro dai verbalizzanti e negavano di avere tentato di aggredire o minacciare la Bencivenga e di aver commesso i reati di oltraggio. I verbalizzanti e la guardia Angelini confermavano quanto riferito con il rapporto.  La guardia Angelini deponeva che la Bencivenga era molto innamorata dello Insero e che questi, ritornato a Caiazzo con la moglie e con il figlio - nel frattempo avuto dalla medesima - aveva continuata la relazione con la Bencivenga la quale mostrava in un primo tempo di sospettare del matrimonio da lui contratto e poi di esserne certa.  L’Insero raccontava che dopo il primo contatto carnale, avrebbe voluto troncare il fidanzamento con la Bencivenga poiché dubitava di essere stato lui a deflorarla (E’ un classico: dopo averle stuprate dicono che non erano vergini N.d.R.–Sic!), ma non aveva mai manifestato chiaramente tale intenzione per timore di vendetta, avendo la ragazza – già anni prima - tentato di colpire con un coltello un fidanzato, certo Giuseppe Santoro, che l’aveva abbandonata. Successivamente egli si era fidanzato con la De Crescenzo passato a matrimonio con la medesima in Svizzera. La Bencivenga lo aveva frattanto raggiunto colà ed aveva ripreso con lui la relazione intima, spesso minacciandolo di ucciderlo nel caso che tale relazione non fosse continuata. Essi avevano così avuto rapporti intimi anche dopo il suo matrimonio. Quando poi egli era ritornato a Caiazzo la Bencivenga lo aveva seguito, e compulsando gli atti dello stato civile di Caiazzo la stessa si era definitivamente convinta che egli era sposato, ma ciononostante aveva continuato ancora ad importunarlo  invitandolo tramite i figli della guardia Angelini, tali Mario Costantini e Benito Sgueglia, a recarsi a casa sua. Egli aveva dunque dovuto recarsi qualche volta a farle le visita. E durante tali incontri essa lo esortava sempre ad abbandonare la moglie ed a mettersi a convivere con lei. La sera del 2 marzo 58 esso Insero era in procinto di ripartire per la Svizzera, (la partenza era fissata per l’indomani) incontrò in strada la Bencivenga che lo invitò a salire in casa sua. Ivi la donna gli chiese del denaro e poi gli puntò, sorridendo, una pistola d’acqua. Egli si irritò e fece per andarsene; ma mentre scendeva le scale,  e anzi mentre accendeva ai piedi delle scale la luce, come la Bencivenga, che aveva a sua volta spento al primo piano, gli aveva detto di fare, fu attinto dal colpo di pistola. Successivamente la Bencivenga gli puntò la pistola sul volto; ma poi avendola egli pregata di non sparare più e avendole egli promesso che avrebbe anche dichiarato che era stato lui stesso a colpirsi, si recò a chiamare la guardia Angelini.  Mario Costantini e Benito Sgueglia  confermavano di aver invitato più volte l’Insero a recarsi dalla Bencivenga, e ciò per incarico ricevuto da quest’ultima.

 

Il processo  - La condanna – La difesa – La Corte  condannò la Bencivenga per tentato omicidio ad anni 12 di reclusione, in appello ridotti ad 8-

 

 

La difesa della Bencivenga esibiva certificati di matrimonio e di situazioni di famiglie dell’Insero.  Intanto i carabinieri di Caiazzo riferivano in ordine all’episodio del tentato ferimento del precedente fidanzato Giuseppe Santoro cui aveva fatto cenno l’Insero. Infine con sentenza del 4 febbraio 1959 il giudice istruttore ordinare il rinvio dei fratelli De Crescenzo (nel frattempo scarcerati per concessione della liberta provvisoria) e della Bencivenga al giudizio della Corte di assise per rispondere dei vari reati. Nel dibattimento veniva contestata alla Bencivenga – in ordine al tentato omicidio – l’aggravante della premeditazione e ai De Crescenzo, in ordine alle lesioni, in danno del brigadiere Polito l’aggravante dell’articolo 61. Sia gli imputati che i testi già escussi confermavano quanto dichiarato in istruttoria fornendo alcune precisazioni. Venivano sentiti anche Francesco Maione, il sacerdote Giuseppe Rocereto e Stefano Rega. La difesa della Bencivenga  esibiva numerose lettere inviate dall’Insero all’imputata. Insero non compariva ma veniva rappresentato dalla parte civile avvocato Pompeo Rendina, suo procuratore speciale.  Indubbiamente l’Insero agì ingiustamente quando, dopo aver sedotto l’imputata promettendole di sposarla, non mantenne la parola data. Ma l’imputata compì il delitto e non già in uno stato d‘ira che abbia avuto origine da quel comportamento ingiusto della parte lesa o comunque allo scopo apprezzabile di affermare il proprio onore che la parte lesa aveva calpestato. Essa si era ormai rassegnata a non essere sposata dall’amante; ed anzi, continuando, come ammette, la relazione intima fin dopo il ritorno a Caiazzo, fin dopo che fu certa del matrimonio dell’amante con la De Crescenzo, dimostrò di contentarsi del ruolo di concubina, di tenere solo alla continuazione di apporti carnale. Fu solo il fatto che l’Insero, accingendosi a ripartire per la Svizzera, troncò definitivamente la tresca, che spinse la donna da attuare il delitto. Essa insistette più volte perché il giovane lasciasse la moglie e andasse a convivere con lei; insistette ancora l’ultima sera perché il giovane non l’abbandonasse. Ma la sua insistenza perché la relazione continuasse fu respinta dall’amante e per questo,  solo per questo essa sparò. Bastò poi che l’Insero dopo lo sparo le promettesse di ritornare a lei perché essa cessasse il fuoco: in ciò è la riprova che commise il delitto solo perché non tollerava che la tresca avesse fine. Così stando le cose, non v’è chi non veda che non può parlarsi di provocazione e di motivo morale o sociale; non della prima giacché il fatto dell’Insero contro cui  la Bencivenga reagì non era ingiusto (rompere la relazione, ormai divenuta adulterina, era anzi doveroso), non del secondo in quanto la Bencivenga fu tratta alla vendetta non da motivi di onore bensì dalla sua delusa, morbosa sensualità. “E’ tuttavia il caso di concedere alla Bencivenga –scrissero i giudici nella loro sentenza -  per il delitto da lei commesso – le attenuanti generiche - in considerazione sui precedenti incensurati, della sua desistenza dal  ripetere lo sparo, dal suo adoperarsi, sia pure privo di concreta efficacia, per impedire l’evento, dell’agire ingiusto dell’Insero che contribuì pur sempre a determinare la situazione che sfociò nel delitto”. La Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere (Eduardo Cilento, presidente; Guido Tavassi, giudice a latere; Maria Golino, Mario Patria, Vincenzo Varone, Gustavo Pugliese e Giuseppina Leonetti, giudici popolari; Nicola Damiani, pubblico ministero) condannò la Bencivenga per tentato omicidio ad anni 12 di reclusione, ridotti ad 8 per le attenuanti generiche; mentre Giuseppe De Crescenzo, per lesioni e minacce, venne condannato a 2 anni e mezzo e Luigi De Crescenzo per oltraggio ad 1 anno e mesi 5. In appello le pene vennero ridotte per la Bencivenga ad anni 8 con la esclusione della premeditazione ed a mesi 8 per i De Crescenzo per i loro reati. Nei processi furono impegnati gli avocati Pompeo Rendina, Carlo CipulloFrancesco  Saverio Siniscalchi e Ciro Maffuccini.

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