Nel 1956, in Frignano, Umberto Aversano di 26 anni, autista, tentò di uccidere Antonio Zaccariello, agricoltore di anni 44, suo padrone di casa che voleva sfrattarlo per morosità e la madre Leonilde Tessitore, vedova, casalinga di anni 74 di Ferdinando Terlizzi
Nella mattinata del 4 maggio del 1956 Umberto Aversano, nel cortile della propria abitazione sita al corso Umberto I di Frignano esplodeva vari colpi di pistola contro Antonio Zaccariello e la di lui madre Leonilde Tessitore. Quest’ultima non veniva colpita, mentre il figlio veniva attinto al bassoventre (all’altezza della spina iliaca antero-superiore di destra) ed era pertanto, trasportato d’urgenza all’ospedale “Cardarelli” di Napoli ove rimaneva ricoverato con prognosi riservata. L’Aversano subito dopo il delittuoso episodio si dava alla fuga, ma veniva fermato il arrestato dal vice brigadiere dei carabinieri della stazione di Frignano Antonio Peca richiamato dal numero dei colpi. Sottoposto ad interrogatorio dichiarava che da tempo non correvano buoni rapporti tra lui e lo Zaccariello, il suo padrone di casa, in ultimo gli aveva intimato, per una presunta morosità, lo sfratto dalla casa da lui abitata e il relativo giudizio era ancora in corso. Quel giorno lo Zaccariello, nel tornare con il carretto dalla campagna, aveva sporcato della biancheria che la moglie, Maurizia Cardone, aveva teso ad asciugare nel cortile, ed ai richiami della donna aveva reagito, ingiuriandola e perquotendola con una forcina. La moglie si era recata a ricercarlo dal medico, – ove egli si era portato per invitare quest’ultimo a visitare il figliuolo malato e per strada gli aveva raccontato l’accaduto, riferendogli che lo Zaccariello dopo averla picchiata, le aveva detto: “Ora mandami tuo marito che lo sistemo per le feste”. Esso Aversano, immediatamente si era portato a casa, ove si era munito di una pistola e si era recato nel cortile della propria abitazione. Lo Zaccarielo che era nei pressi di un carretto, nel vederlo si era armato di un tridente per andargli incontro ed egli aveva subito fatto fuoco contro l’avversario, esplodendogli contro quattro colpi di pistola. Negava poi di aver sparato contro la Tessitore, affermando di non averla proprio vista nell’orgasmo del momento. A sua volta la Cardone nel confermare la versione dell’Aversano circa i precedenti e le modalità del fatto, aggiungeva che subito dopo il litigio è rientrata in casa per accudire al figlioletto ammalato ed anzi, poiché aveva mandato a chiamare il medico a mezzo del marito, si era diretto verso il centro del paese per vedere cosa quest’ultimo stesse facendo. Il marito appena la vide si accorse che aveva pianto ed intuì il motivo, uno dei tanti litigi che con lo Zaccariello – cosa che ella confermò – invitandola a rientrare in casa avendo paura di stare sola. Ritornarono così ambedue in macchina e mentre stava accudendo il bambino ammalato, aveva sentito delle grida provenienti dal cortile. Affacciatasi, vide il marito che veniva trattenuto dal brigadiere Peca. A comprova delle sue dichiarazioni la Cardone esibiva un certificato medico in data 4 maggio 1956, in cui si attestava che era stata riscontrata ‘affetta da edema e dolorabilità ai movimenti del polso della mano destra’. Successivamente il 12 maggio 1956 perveniva i carabinieri altro referto medico attestante che la Cardone visitata il 5 maggio del 56 presentava contusioni varie alla scapola sinistra, alla natica destra e dalla regione mentoniera sinistra. Antonio Zaccariello a sua volta mentre era decente in ospedale, dichiarava che una ruota del suo carretto con il quale ritornava dalla campagna, aveva urtato e sporcato una camicia distesa su una corda nell’interno del cortile. Di ciò si è risentita la Cardone che gli aveva rivolto delle parole ingiuriose ed aveva anche tentato di aggredire la madre, Leonilda Tessitore, intervenuta per pacificare gli animi. Egli allora era intervenuto in difesa della madre, facendo il gesto di colpire la Cardone con una forcina, ma era stato trattenuto in tempo da certo Giovanni Zaccariello. dopodiché la Cardone si era allontanata proferendo le parole: Ti devo far schiaffare quattro pallottole nella panza da mio marito“.
La Cardone vera istigatrice del marito rivolta allo Zaccariello: ”Ti devo far schiaffare quattro pallottole nella panza da mio marito“.
Ciro Gagliardi, a sua volta, deponeva che, richiamato dalle grida, si era portato nel cortile dello Zaccariello ed aveva visto che costui è la madre litigavano con la Cardone. All’improvviso libro costei era scappato in casa, gridando all’indirizzo della Zaccariello: “aspetta un po’ aggia chiammà a mio marito e t’aggia fa scaricare a pistola dinta a panza“. Giuseppe Puorto aveva cercato di trattenerla ma essa si era svincolata, fuggendo verso la piazza. Dopo qualche minuto da quando era ritornata col marito si erano sentiti gridi e colpi di pistola. Leonilde Tessitore dichiarava che il cugino Zaccariello, dopo il litigio con la Cardone, stavo conversando con Nicola Santoro, quando improvvisamente lo Aversano gli andò contro tenendo una pistola in mano. Ella gridò all’indirizzo del cugino per attivare la sua attenzione, mentre l’Aversano a circa 6 m. dallo Zaccariello gli sparò i contro i primi colpi di pistola. Essa afferrò il braccio armato dell’Aversano che continuava a sparare da circa due o 3 m. Al secondo colpo lo Zaccariello si accasciò al suolo mentre la di lui madre, accorsa in aiuto allo stesso, veniva fatta segno ad un colpo di pistola che, per fortuna non raggiungeva il bersaglio. Nicola Santoro affermava che l’Aversano entrò di corsa nel cortile ed estrasse la pistola alla distanza di 6/8 m. dallo Zaccariello e nonostante la esortazione di non sparare rivoltagli dal Santoro, esplose contro lo Zaccariello un primo colpo dalla distanza di circa 6/7 m. Il Santoro escludeva che lo Zaccariello fosse armato di tridente e si fosse mosso contro lo Aversano. Alfonso Costa infine dichiarava che l’Aversano, mentre si trovava nel bar gestito da Vittorio Bruno, era stato chiamato dalla moglie. A seguito del rapporto del 1956 dei carabinieri si procedeva nei confronti dell’Aversano arrestato in flagranza di reato, e della di lui moglie arrestata il 20 maggio del 56 per i reati di tentato omicidio in persona di Zaccariello e della Tessitore e nei confronti dell’Aversano. Lo Zaccariello si costituiva parte civile. L’Aversano, nel suo primo interrogatorio al pretore di Trentola dichiarava che la moglie al momento in cui lo aveva raggiunto in paese – dopo il litigio – era agitatissima e gli riferì che lo Zaccariello l’aveva percossa con una forcina. Egli si portò nel cortile per chiedere spiegazioni allo Zaccariello sul suo modo di agire, ma vide che questo munito di tridente, avanzava minacciosamente verso di lui. Gennaro Savino, comandante della stazione dei carabinieri e Antonio Peca, vice brigadiere confermavano il rapporto di denunzia. Il primo aggiungeva che i coniugi Aversano-Cardone sono di carattere violenti e linguacciuti e che la Cardone fu vista dal Peca mentre stravolta e discinta si recava a chiamare il marito. Il secondo confermava tale circostanza, aggiungendo che l’aspetto alterato della donna era tale che egli si girò indietro a guardarla. Il barbiere Luigi Esposito gli riferì che la Cardone e lo Zaccariello si erano bisticciati scambiandosi delle parolacce e che la donna era andata a chiamare il marito. Il calzolaio Puorto porti ed altre persone e gli dissero che la stessa era corsa a chiamare il marito per far tirare allo Zaccariello quattro colpi della pancia. Lo Zaccariello rispose con parole ingiuriose e la Cardone replicò dicendo: te la vuoi prendere con me che sono donna. L’altro soggiunse: mandami tuo marito ed avendone avuto la risposta e ce ne vonne sette di te, cercò di picchiare la Cardone, la quale corse in casa, pronunciando delle parole di minaccia.
AVV. PROF. ALFREDO de MARSICO
La condanna fu ad anni 10 di reclusione per l’Aversano ed anni 5 alla moglie per istigazione. In grado di appello l’Aversano fu assolto per insufficienza di prove per il tentativo di omicidio nei confronti della Tessitore mentre fu condannato a 5 anni per il tentativo di omicidio nei confronti dello Zaccariello.
Il giudice istruttore con sentenza del 14 maggio del 1957 dichiarava chiusa la istruzione formale, e ordinava il rinvio a giudizio innanzi la Corte di assise di Umberto Aversano e Maurizia Cardone per rispondere del reato di concorso in tentato omicidio continuato. Dichiarava inoltre di non doversi procedere contro lo Zaccariello e la Tessitore per il reato di lesioni in pregiudizio della Cardone per insufficienza di prove ed in ordine al reato di ingiuria contro la Cardone per reciprocità delle stesse. In dibattimento Leonilde Tessitore si costituiva parte civile. L’imputato Aversamo, contro del quale fu emesso mandato di cattura, dal Presidente della Corte di assise negli atti preliminari, non comparve né giustificò alcun legittimo impedimento (pur essendo stato regolarmente citato) e, pertanto procedette in sua contumacia. La Cardone, si protestò ancora una volta innocente, escludendo di aver minacciato lo Zaccariello di fargli esplodere dei colpi di pistola dal marito. Anzi andò incontro al marito per farlo rientrare a casa e tenersi pronto per acquistare i medicinali che il medico avrebbe eventualmente prescritto per il figliolo malato. Insistette nel precisare che aveva subito lo sfratto per una inesistente morosità, quando i coniugi Aversano avevano già deciso di lasciare la casa. Il mattino del 4 maggio 1956, lo Zaccariello aveva deliberatamente fatto cadere a terra i panni stesi allo sciorino. Zaccariello precisò che la Cardone pretendeva spadroneggiare nel cortile comune dando luogo a vari litigi tra lui, la propria moglie e la madre. Ha insistito nell’affermare che sussisteva morosità e che la Cardone gli disse che gli avrebbe fatto schiaffare 4 pallottole nella pancia dal marito. Terminata la assunzione delle prove i difensori delle parti civili, il pubblico ministero e la difesa degli imputati conclusero come segue: i primi chiesero l’affermazione della responsabilità penale degli imputati con la condanna anche al risarcimento dei danni e già il pagamento delle spese di costituzione. Il secondo chiese l’assoluzione dell’Aversano dalla contravvenzioni perché il fatto non costituiva reato e l’assoluzione con la formula piena della Cardone dal tentato omicidio in pregiudizio di Leonilde Tessitore. Chiese, inoltre, la condanna dell’Aversano per due distinti reati di tentato omicidio, con le attenuanti generiche, alla pena complessiva di anni 10 e la condanna della Cardone per tentato omicidio in persona dello Zaccariello ad anni 8 di reclusione. I difensori degli imputati, infine, chiesero l’assoluzione della Cardone con formula piena e l’affermazione della responsabilità per l’Aversano per il delitto di lesioni colpose per eccesso di legittima difesa ed in subordine per il delitto di lesioni volontarie con le attenuanti della provocazione è quelle generiche. “È da escludersi che l’Aversano abbia agito in stato di legittima difesa ed abbia colposamente ceduto i limiti stabiliti dalla legge in quanto l’assunto della pretesa aggressione con il tridente da parte dello Zaccariello non è dimostrata – scrissero i giudici nella loro sentenza di condanna – né provata ed è resistito dalle risultanze processuali. Va affermata la responsabilità penale dell’Aversano per tentato omicidio (così modificata la rubrica) di tentato omicidio continuato. La Cardone, invece va assolta con formula piena, dalla imputazione di tentato omicidio in pregiudizio della Tessitore e va dichiarata colpevole solo di concorso nel tentato omicidio in danno dello Zaccariello per il quale vi è la prova della sua partecipazione morale consistito nell’esortare il marito a delinquere, eccitando la passione suscitando in lui emozioni e rappresentando i danni derivanti da una mancata azione. Va negata comunque la circostanza attenuante della provocazione, non essendo rimasto provato il fatto posto a base di tale richiesta”. Per la perizia di ufficio per le lesioni allo Zaccariello venne incaricato il perito sammaritano dottore Mario Pugliese (la guarigione è avvenuta nei sessanta giorni ma la vittima non ha versato in pericolo di vita); mentre per la difesa venne nominato consulente l’altro sammaritano dottore Michele Sanvitale, (il quale, naturalmente, confutò il tempo di guarigione riducendolo a 40 giorni). La Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere (Eduardo Cilento, presidente; Guido Tavassi, giudice a latere; Francesco Canestrini, Lorenzo Bevilacqua, Teodoro Marrocco, Antonio Guarriello, Giovanni D’Ippolito e Angelo Migliozzi, giudici popolari; Nicola Damiani, pubblico ministero) giudicò vennero Umberto Aversano e la moglie Maurizia Cardone (quest’ultima quale istigatrice del delitto). La sentenza di primo grado, con la concessione delle attenuanti generiche, (ma l’Aversano era già stato condannato per appropriazione indebita di oggetti pignorati) fu ad anni 10 di reclusione per l’Aversano ed anni 5 alla moglie per istigazione. In grado di appello l’Aversano fu assolto per insufficienza di prove per il tentativo di omicidio nei confronti della Tessitore mentre fu condannato a 5 anni per il tentativo di omicidio nei confronti dello Zaccariello. Nei processi furono impegnati gli avvocati: Carlo Cipullo, Giuseppe Irace, Ciro Maffuccini, Pompeo Rendina, Alfredo de Marsico, Simone Zarrelli, Giuseppe Garofalo e Renato Pecoraro.
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