1956, in Calvi Risorta Angelo Caparco tentò di uccidere la moglie e 2 sue amiche – La donna andava dicendo in giro che il marito “non pagava” il debito coniugale di Ferdinando Terlizzi
1956, in Calvi Risorta Angelo Caparco tentò di uccidere la moglie e 2 sue amiche – La donna andava dicendo in giro che il marito “non pagava” il debito coniugale di Ferdinando Terlizzi
I carabinieri con loro rapporto dell’11 giugno del 1956, denunciarono in stato di arresto Angelo Caparco, cantoniere stradale, incensurato, responsabile di lesioni personali aggravate in danno di Assunta Zona, Maria Caparco Ippolita e Antonietta Fuoco. Ma diamo la parola a Ippolito Cozzolino, maresciallo comandante la Stazione dei carabinieri di Calvi Risorta…”… Verso le ore 7:30 del giorno 9 del mese di giugno 1956 lo scrivente in bicicletta si recava verso il centro della frazione Visciano per motivi di servizio. Giunto all’altezza della via Orticelle di detta frazione, notava che una donna si trovava per terra e grondava sangue da una gamba. Si avvicinò alla donna e dopo aver provveduto perché la stessa fosse stata accompagnata in casa del dottore Giovanni Marrocco, per il pronto soccorso, accertò che responsabile del fatto era tale Angelo Caparco, il quale si era diretto verso la piazza Garibaldi, armato di una falce, ove seconda voce pubblica avrebbe dovuto commettere altri crimini. Il sottoscritto si avviò quindi verso il luogo indicato e giunto all’ingresso giù dell’Istituto Pietro Izzo, dove abita la famiglia dell’esercente Guido Armando Fuoco, constatò che il Caparco – il quale era già stato disarmato della falce dal vice brigadiere Pasquale Ventriglia, occasionalmente ivi di passaggio, colluttava con un gruppo di persone che cercava di mantenerlo, perché in quel momento lo stesso avevo aggredito tale Fusco Antonietta, perché costei aveva opposto della resistenza allo scopo di evitare che il Caparco avesse potuto raggiungere l’abitazione di Armando Fuoco, che nella circostanza veniva minacciato di morte, in quanto il Caparco aveva sospettato che il predetto giovane avesse avuto una relazioni con la moglie. Angelo Caparco nel momento in cui si veniva raggiunto dallo scrivente, in un primo momento opponeva resistenza e insisteva nell’affermazione che egli dovevo completare il suo programma criminoso e nello stesso tempo diceva: “Voglio sapere se mia moglie è morta – se non è morta la debbo ammazzare – debbo poi tagliare la testa a Ninetta Fuoco e poi il fratello Armando che non ho ancora trovato”…. Dimenandosi nella programmazione di queste minacce, il Caparco presentava una ferita da taglio al palmo della mano destra, veniva accompagnato dallo scrivente prima presso il Dottor Giovanni Marrocco, il quale provvedeva per le cure del caso e poi veniva condotto in questa caserma, per le ulteriori indagini in merito allo svolgimento dei fatti. Nello stesso momento si potè stabilire che la lesione riportata alla palmo della mano destra del Caparco, la si produsse con la stessa falce, con la quale egli doveva compiere i delitti in questione. Proseguendo nell’indagine, fu possibile stabilire che Angelo Caparco la mattina, verso le sei, dopo una notte senza riposo ed in preda ad agitazione nervosa, era uscito di casa per radersi la barba. Ritornata poco dopo in famiglia, lo stesso aveva cominciato ad inveire contro la moglie dichiarando il suo sospetti sul conto della consorte in merito alla fedeltà coniugale. Dopo tale affermazione mentre la moglie era andata ad attingere dell’acqua dal pozzo, rientrando in casa fu aggredita alle spalle dal Caparco, il quale dopo averla buttata per terra, gli si era lanciato addosso e con la falce, tentava di tagliargli la testa, producendole una profonda lesione al collo e altra profonda lesiona alla tempie sinistra. Il Caparco, convinto di aver soddisfatto a quello che erano stati i suoi proponimenti nei riguardi della consorte, che secondo lui l’aveva tradito, andò a cercare tale Anna Fuoco, la quale, secondo l’interpretazione date da Angelo Caparco e dalle affermazioni fatti da Anna Fuoco, quest’ultima doveva essere a conoscenza dell’infedeltà della propria consorte. Mentre il suddetto Caparco si prodicava per portare a compimento il suo piano, intravide, lungo la via Garibaldi, una donna somigliante ad Anna Fuoco e scambiatola per quest’ultima le vibrò un violento colpo di falce alla coscia sinistra, producendole una profonda lesione. Sempre proseguendo nei suoi proponimenti, il Caparco si diresse successivamente verso l’abitazione del giovane Armando Fuoco, per cercare di colpire anche quest’ultimo, ritenuto per colui il quale spesse volte era stato notato entrare in casa sua e quindi, sospettato per amante della Maria Ippolita Caparco. Infatti, si dice che Anna Fuoco parlando con Angelo Caparco gli avrebbe detto “che questi non soddisfaceva la consorte” e lo stimolava naturalmente a dubitare come mai la moglie avesse potuto fare delle confidenze intime e nello stesso tempo perché la Fuoco intendeva divertissi adoperando tale frasario. Il Caparco per la frase che qualche volta aveva pronunciato la Fuoco, sospettava che costei fosse anche a conoscenza di nominativi di persona con la quale si potesse dire che la di lui moglie lo avesse tradito. Tale alternativa sospettosa, veniva orientata dal Caparco verso Armando Fuoco, fratello di Anna Fuoco. Il Caparco fa anche cenno ad una relazione che secondo lui la Anna Fuoco avrebbe coltivato con tale Antonio Leone, del luogo, con la connivenza della propria moglie.
La perizia psichiatrica: “Il Caparco non era nelle sue capacità di intendere e di volere nel momento in cui commise i fatti ed è socialmente pericoloso”.
Il giudice istruttore sulla scorta della segnalazione dei carabinieri ordinò una perizia psichiatrica che venne affidata al prof. Giuseppe Maria, noto psichiatra di Santa Maria Capua Vetere, il quale precisò, tra l’altro… “Ci siamo recati presso il carcere di Santa Maria Capua Vetere ove il Caparco era detenuto per dare inizio alle indagini peritali e raccogliere il fatto secondo l’imputato. Il Caparco il racconta che la mattina in cui ha aggredito la moglie, aveva avuto una questione con lei a riguardo di alcuni pioppi di sua proprietà. Ma la questione era finita ed era ritornata la calma in casa, tanto che egli aveva anche portato fuori casa il “Motom”, veicolo di cui ci serviva per il suo lavoro, ed il falcetto, onde recarsi a prendere servizio. Fu preso però da un improvviso furore per cui corse dentro a casa e trovata la moglie la colpì col falcetto. La cosa avvenne anche perché gli era stato detto che la moglie lo tradiva, e gli era stato detto anche che il nome dell’amante della moglie, in questo mentre vennero altre due donne ed egli sempre col falcetto colpì anche queste. Aggiunge a mia domanda che egli aveva saputo queste cose riguardanti la moglie da alcuni paesani “che abusavano della confidenza e mi prendevano in giro”, e inoltre egli aveva bevuto molto liquore la sera precedente al fatto, per una festa in famiglia. Ma ora egli è pentito e vuole tornare a casa sua con i suoi figli, e la moglie, la quale è una brava donna, ed egli non sa perdonarsi di aver creduto a tante calunnie sul suo conto. Afferma di non ricordare tutto di quanto gli capitò quella mattina, molte cose non le può dire proprio perché non le sa”. Prima di trarre le conclusioni sotto il profilo psichiatrico il Dr. Maria accertò che: Maria Caparco Ippolito dichiarava da parte sua di non conoscere Silvano D’Onofrio ma di conoscere Armando Fuoco nel cui esercizio andava spendere ed inoltre disse : “mio marito sin dal 1956 e affetto da malattia nervosa e spesso in questo periodo è soggetto ad attacchi“. Il Fuoco dal canto suo dichiarava di non aver mai avuto contatti con la moglie di Angelo Caparco e di non essere mai entrato nell’abitazione di quest’ultimo. Aggiungendo: “Qualche volta mi sono recato nei pressi della sua abitazione perché ivi tengo in fitto uno scantinato per conservare il vino”.
Antonietta Fuoco dal canto suo dichiarava di non avere amicizie con la famiglia Caparco e addirittura di ignorare dove era situata la di lui abitazione. Amelia Capuano precisava che conosceva il Caparco perché questi frequentava il suo esercizio per bere vino, ma di non avere affermato la frase che le viene contestata. Infine Silvano D’Onofrio precisava che non era mai stato in casa di Angelo Caparco e di non sapere neppure l’indirizzo della abitazione. Ed inoltre di non aver mai conosciuto la moglie e di non saperla neppure additare qualora l’avesse vista.
I processi, la condanna a 6 anni e l’influenza della decisione sulla salute mentale.
“Tutte le nostre considerazioni – precisò in udienza lo psichiatra Dottor Giuseppe Maria – debbano prendere le mosse, dal contrasto, dalla mancanza di conformità, dall’assoluta diversità esistenti nelle due deposizioni rese ai carabinieri e al giudice. Sono così diverse queste di posizioni da far pensare all’intervento di un fattore estraneo, capace di modificare il comportamento del soggetto, il suo modo di vedere, di giudicare le cose. Il fattore estraneo che ha agito fortemente sulla personalità del Caparco: è l’ambiente carcerario. Non è che questi abbia agito per le restrizioni che impone, e per le limitazioni necessarie, ma solo perché il Caparco sa che finché sarà in carcere, o in un manicomio giudiziario, non potrà continuare a sorvegliare la moglie e i suoi complici ed intervenire al momento, maturato nella sua mente malata, che egli riterrà opportuno, per la difesa del suo onore e di quello della sua famiglia, anche mancandogli le prove necessarie”. “Il Caparco non ha agito così come ha agito, per un dubbio improvviso che determinò in lui uno scoppio altrettanto improvviso di furore, per cui le azioni da lui compiute non erano predisposti nella sua mente, né da lui volute. Il Caparco invece ha cercato, ha trovato l’occasione per aggredire la moglie e dei suoi complici, in un banale incidente, una discussione tra lui e la moglie sulla convenienza o meno di abbattere alcuni pioppi di loro proprietà. Il periziando da tempo sospettava della moglie, che questa lo tradisse, ora con l’uno ora con l’altro, cioè tanto è vero che egli la spiava, la sorvegliava, ne studiava l’atteggiamento nei suoi confronti e nei confronti della famiglia. E’ il Caparco stesso che lo dice: “non ho trovato niente di specifico, solo una certa freddezza”, e questo nella sua mente malata ha assunto l’importanza di prova”. “Così e certo che il Caparco sia un delirante di gelosia, sospettoso, guardingo che elabora la coscienza della realtà secondo il suo errore di critica e di giudizio. Forse l’insorgenza del delirio in Caparco può essere spiegata, per il fatto che gli poteva avere solo raramente contatti con la moglie per l’astenia che lo affliggeva dovuta ad un esaurimento nervoso da cui era affetto da tempo. Certo e che Caparco si comportava classicamente come tutti i deliranti di gelosia, che appena tolti dall’ambiente abituale, si ricredono meglio fanno finta di ricredersi, di aver corretto il loro errore, il riconosciuto, facendo confessioni di colpa. Il Caparco – dopo sei mesi di detenzione – viene interrogato dal giudice ed a questi così risponde: ”Non è vero che mia moglie mi abbia tradito ed io abbia avuto mai sospetti su di lei in tal senso”. Capalco come tutti i deliranti dell’idea di gelosia dissimula. Si potrebbe dubitare che il Caparco è stato un alcolista per cui una volta in regime di astinenza, finiscono i disturbi dell’alcol provocando anche il delirio di gelosia che frequentemente si riscontra proprie negli alcolisti. Per concludere, rispondiamo ai quesiti posti dal signor giudice istruttore, affermando che il Caparco non era nella sua capacità di intendere di volere nel momento in cui commise i fatti di cui è processo, considerando non solo la condizione delirante di cui era affetto, ma anche l’intervento di un probabile fattore tossico occasionale ( alcool). Il Caparco, almeno per il momento, si deve ritenere, dissimuli il delirio per cui è elemento potenzialmente pericoloso anche socialmente”. La Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere ( Eduardo Cilento, presidente; Guido Tavassi, giudice a latere; Gennaro Calabrese, pubblico ministero) con sentenza del 22 gennaio 1958 fu condannato ad anni 6 e mesi 4 di reclusione per il tentato omicidio continuato e mesi 2 di reclusione per minaccia grave con arma. La sentenza fu appellata sia dall’imputato che dal pubblico ministero. E l’avvocato Antonio Simoncelli in difesa di Angelo Caparco, nei motivi di appello chiese, tra l’altro, “di escludere la volontà omicida in quanto la Corte doveva ritenere il reato di lesioni non già del tentativo di omicidio in quanto non rimase affatto provato che l’imputato colpì per uccidere, mentre al contrario l’avere disordinatamente inferto i colpi, senza una direzione precisa e senza servirsi del mezzo con la violenza necessaria a farlo penetrare in profondità, stava a dimostrare che egli voleva soltanto dare sfogo alla sua ira. A lui, inoltre, dovevano essere concesse le attenuanti dello stato d’ira e del particolare valore morale e sociale. La stessa sentenza della Corte infatti precisa che il comportamento della moglie era contraria ad ogni buon regola morale, lo andare affermando che il marito non la soddisfaceva, dare ricetto nella sua casa alla sorella del suo amante per agevolare la tresca, senz’altro provocò nell’imputato una giusta reazione tale da provocare la sua azione, diretta soprattutto a salvaguardare la moralità della sua famiglia della quale facevano parte anche delle giovani figlie. La pena inflitta è eccessiva – stante la modalità del fatto – , la personalità dell’imputato e gli ottimi precedenti penali e il suo stato di esaurimento nervoso la pena poteva essere ancora contenuta in più modesta misura a seguito della concessione delle attenuanti generiche”. La Corte di assise di Appello di Napoli (Presidente, Enrico Avitabile; giudice a latere, Filippo Michelotti; pubblico ministero, procuratore generale Vittorio Valentino), con sentenza del febbraio 1960, in parziale riforma della sentenza della corte di assise di Santa Maria Capua Vetere, dichiarava inammissibile, per rinuncia l’appello del pubblico ministero, dichiara non doversi procedere per i reati di minacce con arma perché esclusi per amnistia e dichiara condonati anni 2 dalla pena inflitta. Nei processi furono impegnati gli avvocati: Ciro Maffuccini e Antonio Simoncelli.
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