PER ME L'UNICO COERENTE NEL COMMENTARE LA MORTE DI BERLUSCONI E' STATO MARCO TRAVAGLIO. TUTTI GLI ALTRI, DAL PRIMO ALL'ULTIMO, HANNO APPLICATO LA LOCUZIONE: " IDDIO HA DATO LA PAROLA ALL'UOMO PER NASCONDERE IL PENSIERO"... applicando la cosiddetta "retorica del cazzo"...!!!!!!!!
(f. terlizzi)
PARAFRASANDO LA FAMOSA FRASE: "DIETRO OGNI FORTUNA C'E' UN CRIMINE", MIO PADRE, ANARCHICO INDIVIDUALISTA, SEGUACE E AMMIRATORE DEL NOSTRO CONCITTADINO ERRICO MALATESTA DOCEVA: " CHI HA PIU' BENI DI ME O LUI, O IL PADRE O IL NONNO HANNO RUBATO" -
OGGI SE FOSSE VIVO TOTO' AVREBBE DETTO: " CAVALIERE LA VOSTRA FORTUNA FA SCHIFO"!
QUARTA PAGINA
«Fra 30 anni l’Italia non sarà
come l’avranno fatta i governi,
ma come l’avrà fatta la TV»
Ennio Flaiano
Ville
di Mario Gerevini
www.corriere.it
Il patrimonio di Silvio Berlusconi è la fotografia della sua vita da imprenditore: immobili e grandi aziende create da zero (Mediaset e Mediolanum con Ennio Doris). Poi ci ha aggiunto Mondadori e negli anni la passione sportiva, prima con il Milan e ora con il Monza. La Fininvest con i suoi 4,9 miliardi di patrimonio netto (2021, ultimo bilancio reso noto) e i dividendi distribuiti alla famiglia (150 milioni l’anno scorso) è l’architrave. Berlusconi ha il 61%, il resto è in mano ai 5 figli. Ma quale è il valore di tutte le proprietà e dei conti in banca che il Cavaliere lascia in eredità? A 4 miliardi ci si arriva con stime abbastanza attendibili e conservative. Vediamo che cosa c’è, dunque, nel portafoglio dell’ex premier, dettagli compresi.
Le superville: dalla Certosa di Porto Rotondo, valutata 259 milioni, alla “Lampara” di Cannes della ex cognata. I 116 box auto parzialmente sfitti. I 170mila euro di guadagno al giorno (calcolati sugli ultimi 2.000 giorni) grazie alle attività della Fininvest. Una vecchia Audi A6 del 2006 e i diritti su un centinaio di storiche pellicole tra cui Peppone-Don Camillo e I Tre giorni del Condor. L’immobile a Porto Rotondo che fu del fondatore di Playmen e ora incorporato nel complesso di Villa Certosa. Il Cinema Fiamma a Roma venduto per 3,1 milioni l’anno scorso a una fondazione emanazione del ministro della Cultura. Si capisce da questi esempi che l’impero ha mille derivate. Le dichiarazioni al Parlamento sono piuttosto generiche (per tutti, non solo per il cavaliere). Ci dicono quello che era il suo reddito record (50 milioni nel 2021 e 18 milioni nel 2022), presumibilmente realizzato in gran parte con i dividendi che risalgono da Fininvest. Ma è una sorta di fotografia dal satellite, sfuggono i particolari e le operazioni più recenti. Mentre a quasi 86 anni (29 settembre) riscendeva nella mischia elettorale, nel suo conto in banca arrivavano, appunto, 93,7 milioni di euro sotto forma di dividendo e altri 63 milioni rientrati ad Arcore da un prestito erogato a una società controllata, tanto per dire un paio di particolari che insieme fanno 156 milioni.
Possiamo dividere l’impero in tre grandi rami. Il primo, quello privatissimo delle case di residenza (Arcore, Macherio ecc ), fa capo a Silvio Berlusconi in persona e potrebbe avere un valore indicativo di 100-150 milioni. Il secondo ramo, quello personale delle ville da vacanza (Porto Rotondo, Cannes ecc) e altri investimenti immobiliari, ha un valore stimabile in 500 milioni ed è gestito da decenni da quattro professionisti di assoluta fiducia attraverso una serie di società che fanno capo alla holding immobiliare Dolcedrago. Siamo a quota 650 milioni. E fin qui i 5 figli non toccano palla o quasi. Il terzo ramo, l’unico che non brucia cassa ma ne produce in gran quantità, è la Fininvest, la gallina dai dividendi d’oro con le sue partecipazioni in Mediaset, Mondadori, Mediolanum ecc, controllata al 61% dal fondatore con il resto diviso equamente tra i cinque figli. Qui la quota attribuibile al fondatore, sulla base del patrimonio netto Fininvest 2021 (4,9 miliardi), è quasi 3 miliardi. Quindi considerando anche liquidità, opere d’arte e altri investimenti non noti si arriva rapidamente ai 4 miliardi, come minimo.
Intestata direttamente all’ex premier c’è innanzitutto Villa San Martino ad Arcore, sua residenza da quasi 50 anni: 3.500 metri quadrati, acquistata dal Cavaliere negli anni Settanta dalla ventitreenne Anna Maria Casati Stampa (titolare della proprietà dopo l’omicidio della madre e il suicidio del padre), assistita nella transazione dall’avvocato Cesare Previti. A 6 km di distanza, sempre nei pressi del Parco e dell’Autodromo di Monza, si trova Villa Belvedere (Macherio), comprata all’asta nel 1988 dalla Provincia di Milano. Lì a Macherio ha vissuto a lungo l’ex moglie Miriam Bartolini (alias Veronica Lario) prima del divorzio. Uno dei rifugi preferiti da Berlusconi fuori dalla Brianza è Villa Campari sul Lago Maggiore, a Lesa, poco distante dalla casa che fu di Mike Bongiorno: 30 stanze, splendido parco, erba pettinatissima e porticciolo privato. La villa fu fatta costruire alla fine dell’800 dal patriota risorgimentale e senatore del Regno d’Italia Cesare Correnti, che morì proprio tra quelle mura nel 1888. Poi l’allora Villa Correnti venne acquisita dalla famiglia del famoso bitter che la ribattezzò Villa Campari. Berlusconi l’ha aggiunta alla sua collezione nel 2008.
«Sono andato su Internet e ho comprato una casa a Cala Francese, si chiama Due Palme. Anch’io diventerò lampedusano». Nel marzo 2011, atterrato a Lampedusa assediata dagli sbarchi, l’allora premier tra le varie promesse (campo da golf «indispensabile» e casinò sull’isola) annunciava il suo nuovo affare immobiliare. Il prezzo? Top secret anche se la villa, stile anni Settanta, realizzata da un aristocratico siciliano, era offerta su internet a 1,5 milioni (250 metri quadrati, otto posti letto, ampio giardino). All’inizio di agosto il leader della Lega Matteo Salvini è stato ospite qualche giorno in Villa Due Palme.
Ad Antigua, nei Caraibi, Berlusconi ha altre due proprietà immobiliari. Intestate direttamente a lui sono anche una vecchia Audi A6 di 17 anni e tre imbarcazioni: lo yacht Magnum 70 «Sweet Dragon» del 1990, il «San Maurizio» del 1977 e la barca a vela «Principessa Vai Via» del 1965. Il resto del portafoglio berlusconiano sono partecipazioni in società e dunque è lì dentro che bisogna andare a vedere cosa c’è. Ecco allora il ramo numero due, quello delle società prettamente immobiliari.
A spanne si può calcolare che più di mezzo miliardo di patrimonio sia gestito sotto l’ombrello della Dolcedrago, una holding di partecipazioni in società quasi esclusivamente immobiliari: Essebi Real Estate, Immobiliare Dueville, Brianzadue e la big del gruppetto, l’Immobiliare Idra. A presidiare questo prezioso e riservato territorio è quello che potremmo chiamare il team «operazioni riservate». Ovvero i fidatissimi professionisti con base a Segrate che si occupano degli affari personali del Cavaliere: Giuseppe Spinelli (81 anni), Salvatore Sciascia (80), Giuseppino Scabini (75) e il «ragazzo» Marco Sirtori (57). Berlusconi possiede il 99,5% della Dolcedrago, le briciole sono di Pier Silvio e Marina Berlusconi, figli avuti nel primo matrimonio con Carla Dall’Oglio, di quattro anni più giovane. Parentesi familiare: Marina ha una splendida villa a Châteauneuf-de-grasse, nell’entroterra della Costa Azzurra tra Antibes e Cannes, e la madre è titolare di una piccola quota. Nel marzo 2020, con la prima ondata di Covid, il padre si rifugiò proprio lì per diverse settimane.
A Cannes, e qui torniamo nel portafoglio della Dolcedrago, un’altra lussuosa villa è stata teatro di un intreccio familiare. Villa «La Lampara» è un gioiello da 500 metri quadrati più 2mila di giardino con piscina e vista mare. Fu costruita dal marchese George De Cueves, marito di Margaret Rockefeller, e poi è passata di mano più volte. Era finita sulle pagine dei giornali anni fa per lo sfogo di Antonia Costanzo, l’ex moglie di Paolo Berlusconi, fratello di Silvio, che la acquistò la villa con un prestito milionario di Mps e l’incoraggiamento – lei disse – di Silvio Berlusconi che le mandò anche i suoi giardinieri a sistemare il parco. Lui, secondo quanto fu scritto, fece da garante fino a oltre 8 milioni. Poi le rate e il debito furono «dimenticati» per anni. Una «distrazione» che costrinse la banca nel 2015 a chiedere (e ottenere) dal Tribunale un decreto ingiuntivo contro i beni della signora Costanzo. Alla fine Berlusconi subentrò nel debito e rimborsò Mps diventando egli stesso creditore dell’ex cognata con annessi pignoramenti e connesse ipoteche. Poi il cerchio si è chiuso: una delle società immobiliari che fanno capo alla Dolcedrago del leader di Forza Italia ha acquistato «La Lampara» per 3,55 milioni. Prezzo presumibilmente al lordo dei debiti e anche degli oneri di ristrutturazione. Oggi la villa è in vendita. Il suo valore di bilancio, che non vuol dire di mercato, è di 8,1 milioni.
Il gioiello della corona, però, è indiscutibilmente Villa Certosa in Sardegna a Porto Rotondo, Il buen retiro nel cuore della Costa Smeralda. È stata acquistata negli anni Settanta, poi completamente ricostruita e ampliata. Ai tempi di Berlusconi premier era classificata come «sede alternativa di massima sicurezza per l’incolumità del presidente del Consiglio». Di qui sono passati ospiti illustri, dal russo Vladimir Putin a George W. Bush. Una perizia tecnica del gennaio 2021 indicava un valore di 259.373.950 euro. Documento assolutamente attendibile perché è firmato da Francesco Magnano, geometra di fiducia del cavaliere. Villa Certosa difficilmente potrà essere divisa tra tutti i figli anche se lo spazio non manca: 68 vani, 181 metri quadrati solo di autorimessa e altri 174 di posti auto. Poi – scorrendo le carte della perizia – 4 bungalow di cui 2 accatastati A/2 (abitazioni civili), così come due immobili denominati Cactus e Ibiscus, il teatro, la torre fronte teatro, la serra, la palestra, la talassoterapia, 297 mq di orto medicinale. Isolata nell’elenco una voce: «La Palappa». Che cos’è? Non è specificato ma dovrebbe essere una specie di capanna tropicale. Palapa è un termine spagnolo di origine Maya che indica una dimora senza pareti con un tetto di paglia fatto di foglie di palma essiccate. Quella di Berlusconi ha tre «p» e una rendita catastale di 361 euro. Il tutto è immerso in un parco di 580.477 metri quadrati (un campo da calcio è circa 7mila mq).
Anche se il prezzo di mercato potrebbe essere superiore a quello della perizia, già così la reggia di Porto Rotondo si colloca tra le ville più costose in assoluto. Per fare un paragone, nel 2019 a Cap-Ferrat in Costa Azzurra la Campari ha venduto per 200 milioni Villa Les Cèdres, appartenuta al re del Belgio e poi ai fondatori del marchio Grand Marnier e a lungo considerata la residenza più cara al mondo. L’acquirente, si è saputo a distanza di tempo, è stato il miliardario ucraino Rinat Akhmetov. Ma le classifiche sono più che altro curiosità perché si tratta di pezzi unici che sfuggono a valutazioni attendibili. Nel 2009 si parlò di un’ offerta dagli Emirati Arabi per Villa Certosa da 450 milioni di dollari, l’anno successivo secondo la stampa spagnola era quasi fatta con un imprenditore iberico per 400 milioni di euro, e poi nel 2015 sarebbe stato lo stesso Cavaliere a mostrare le bellezze della residenza al figlio del re d’Arabia: la richiesta pare fosse 500 milioni. Mai nulla di scritto, mai alcuna conferma.
Frugando nell’arcipelago Dolcedrago si individuano anche altre «16 unità immobiliari» nel milanese che, terreni compresi, sono iscritte a un valore di 16 milioni. E fin qui le proprietà sono al 100% della Dolcedrago, ovvero Silvio. Poi però c’è il caso unico della società Brianzadue dove l’architetto Ivo Redaelli (40%) divide con Berlusconi (60%) un portafoglio immobiliare da una trentina di milioni dove spicca Villa Sottocasa di Vimercate (Monza), edificata alla fine del XVIII secolo e acquistata nel 2018 per 2,5 milioni ma da ristrutturare profondamente. Poco distante, a Lesmo, un’altra splendida proprietà è finita nel portafoglio del Cavaliere: Villa Gernetto, dove spesso vengono organizzati incontri istituzionali. Proprio lì di fronte l’ex moglie Veronica Lario ha comprato Villa Sada, storica residenza della famiglia fondatrice della Simmenthal (poi venduta alla Bolton).
A Roma Berlusconi ha acquistato nel 2001 e poi ristrutturato Villa Zeffirelli sull’Appia Antica che negli ultimi anni era diventata il suo quartier generale romano. Ma l’anima del costruttore e immobiliarista che fu si intuisce dal portafoglio «varie ed eventuali»: terreni a Olbia e in Brianza, decine di immobili tra Roma e il milanese e soprattutto i 116 posti auto nel Centro Direzionale di Milano Due a Segrate, dove tutto è cominciato con la Edilnord negli anni Settanta.
Mario Gerevini
Eredità
di Marigia Mangano
Il Sole 24 Ore
Agnelli, Benetton, Del Vecchio: il nodo eredità delle grandi famiglieAttesa per l’apertura del testamento di Silvio BerlusconiMarigia ManganoLa dinastia. Da sinistra Eleonora, Pier Silvio, Marina, Silvio, Barbara e Luigi Berlusconi Il testamento di Silvio Berlusconi sarà aperto nei prossimi giorni, forse nelle prossime ore. E alzerà il velo sul futuro assetto azionario di Fininvest, la holding a capo del sistema di società che da Mfe va a Mondadori e Mediolanum. Quale sarà stata l’ultima parola del Cavaliere? Avrà investito uno solo fra gli eredi del ruolo di guida della holding o avrà affidato alla collegialità il futuro dell’impero, assegnando parti uguali ai cinque figli? In attesa di risposte, Il Sole 24Ore ha ricostruito quali sono state le scelte di altri grandi imprenditori, raccontando la successione avvenuta in tre grandi dinastie: Agnelli, Del Vecchio e Benetton. Tre modelli diversi che hanno gestito il delicato passaggio di consegne dal fondatore agli eredi.
«Uno alla volta»
Nella dinastia Agnelli il sistema di successione è stato sempre governato da quel vecchio principio, tanto caro all’Avvocato, secondo cui «bisogna che a decidere e comandare sia uno alla volta». John Elkann, indicato dal nonno Gianni in giovanissima età, è oggi il primo socio della Dicembre, il veicolo che esprime la quota azionaria più importante della Giovanni Agnelli Bv, a cui fa capo il controllo di Exor, la holding capofila del sistema che da Ferrari porta a Stellantis e Cnh e il cui valore (Nav, Net asset value) ha raggiunto oggi 33 miliardi di euro.
Oggi la Dicembre vede John Elkann al 60% e vicino a lui, con quote del 20% ciascuno, i due fratelli Lapo e Ginevra. Questa composizione del libro soci è il punto di arrivo di una lunga storia di donazioni e compravendite che si sono susseguite in silenzio nell’arco di un ventennio e sono state capaci di dare forma alle volontà di Gianni Agnelli. Vediamo come. La prima versione dello statuto risale al 3 aprile del 1996. E già allora, tutto era stato predisposto per la successione di Yaki, all’epoca appena ventenne. Il 10 aprile l’Avvocato trasferì con scrittura privata la nuda proprietà del 24,87% della Dicembre, donandola al nipote. Il libro soci della società semplice vedeva così Gianni Agnelli con la piena proprietà del 25,374%, mentre Elkann, la figlia Margherita Agnelli e la moglie Marella detenevano la nuda proprietà del 24,87% a testa. L’usufrutto restava nelle mani dell’Avvocato. Nel 2003 è poi subentrata la successione vera e propria, con la scomparsa dell’Avvocato. Dopo la morte di Giovanni Agnelli, si è proceduto al consolidamento così come previsto dallo statuto: il pacchetto del 25,37% è stato diviso perfettamente tra i tre soci della Dicembre, con il risultato finale che la torta vedeva John, Margherita e Marella con il 33,3% ciascuno. A questo punto, decisiva per mettere al sicuro il controllo di Yaki nella Dicembre, è stata la scelta con cui Marella Caracciolo, interpretando la volontà del marito, ha «perfezionato» la donazione del 25,4% che avrebbe garantito al nipote di salire al 58,7% e prendere così il posto di Giovanni Agnelli nella proprietà della società semplice. Quota poi arrotondata al 60% con una successiva donazione da parte della nonna in occasione, il 5 aprile del 2004, dell’uscita di scena della figlia dell’Avvocato che vendette alla madre la quota detenuta nella Dicembre. La piena proprietà delle quote è stata acquistata dai soci dopo la scomparsa della nonna, nel 2019. L’assetto della Dicembre e con essa il controllo da parte di John Elkann della Giovanni Agnelli Bv era al sicuro. E anche la battaglia successiva, ancora in pieno svolgimento, tra la figlia dell’Avvocato, Margherita e suo figlio John Elkann, non ha a che fare con il controllo del gruppo, affidato in modo inequivocabile dai nonni a Yaki con la doppia donazione. Piuttosto il cuore della causa, ora sospesa in Italia e in attesa di decisione da parte dei giudici svizzeri, riguarda la richiesta di Margherita di una diversa redistribuzione del patrimonio. Insomma, una questione di soldi e non di potere.
La famiglia fuori dalla gestione
Leonardo Del Vecchio, scomparso a luglio dello scorso anno, si è affidato a tre strumenti per la successione: la regola del 12,5%, quota identica lasciata a otto eredi, uno statuto che impone quasi l’unanimità per le scelte più delicate e il mandato a un manager esterno per la gestione dopo di lui. Convolato a nozze tre volte (di cui due con la stessa moglie), l’imprenditore ha lasciato sei figli: Claudio, Marisa, Paola (avuti dal primo matrimonio con Luciana Nervo), Leonardo Maria (dall’attuale moglie Nicoletta Zampillo che ha sposato nel 1997 e, dopo il divorzio del 2000, ha risposato nel 2010), Luca e Clemente (nati nel 2001 e nel 2004 e avuti dalla ex-compagna Sabina Grossi). Vicino a loro, la moglie Nicoletta Zampillo e Rocco Basilico, figlio di Nicoletta Zampillo e Paolo Basilico. Ciascuno di loro ha ereditato il 12,5% di Delfin, la cassaforte a capo di un sistema di società che vale 80 miliardi e spazia da EssilorLuxottica a Mediobanca-Generali fino agli immobili di Covivio. Ma nessuno di loro, singolarmente, ha voce in capitolo sulla gestione, affidata a un manager esterno, Francesco Milleri, a capo di Delfin e di Essilor-Luxottica. La famiglia, in veste di azionista, potrebbe stravolgere l’intero impianto, ma Del Vecchio ha previsto che per farlo deve essere compatta e unita. Lo statuto di Delfin prevede che ogni decisione sulla continuità del management venga presa con una maggioranza dell’88%.
In pratica l’unanimità.
Il sistema costruito da Leonardo Del Vecchio è partito oramai da un anno, con la divisione di Delfin tra gli 8 eredi e l’avvio della gestione Milleri. Eppure, in questi dodici mesi, quel testamento è stato accolto con beneficio d’inventario da quattro eredi su otto: Luca, Clemente, Paola e Claudio. Oggetto della contesa, i legati a quel testamento. Tre in particolare: tasse di successione, l’assegnazione di alcuni immobili a Nicoletta Zampillo e l’attribuzione a Milleri di azioni per 270 milioni di euro. L’esito di questa partita dunque appare particolarmente significativa soprattutto per il coinvolgimento della figura individuata da Del Vecchio nella gestione del gruppo, Milleri. Ci sarà spazio per un grande accordo che non vada a minare il rapporto di fiducia con la proprietà?
Collegialità sovrana
Gilberto, Carlo, Giuliana e Luciano Benetton, i fondatori di un gruppo arrivato a valere 12 miliardi in una storia di quarant’anni, hanno scelto di affidare la successione e la continuità del loro impero alla struttura proprietaria e allo statuto. Edizione, la holding a capo delle attività, fin dalla sua nascita è stata divisa equamente tra i quattro rami famigliari. Ognuno di loro ha storicamente detenuto il 20% della società attraverso una propria holding, e il restante 5% direttamente. Quattro scatole per quattro fratelli: la Regia srl (Gilberto), Evoluzione Spa (Giuliana), Ricerca spa (Luciano) e Proposta srl (Carlo). All’interno di queste scatole, il segno della nuova generazione è stato via via garantito nel tempo con l’intestazione della nuda proprietà alla seconda generazione. Con il risultato che il passaggio di consegne, alla scomparsa di Carlo prima e Gilberto dopo, è stata automatica. Nel tempo, proprio l’ingresso della nuova generazione ha portato alla moltiplicazione di queste scatole, con i singoli rami famigliari che hanno optato per l’autonomia. Questo vale, per esempio, per il ramo di Giuliana, diviso in quattro sottogruppi, o altre piccole modifiche sull’assegnazione della quota diretta. Il risultato finale però non cambia: il gruppo è diviso in quattro. Una collegialità replicata nel board di Edizione, con il mandato alle future generazioni di individuare nel tempo la migliore figura di sintesi tra gli azionisti, figura interna o esterna alla dinastia. Oggi quella figura è stata riconosciuta da tutti rami famigliari nella persona di Alessandro Benetton, figlio di Luciano, e presidente di Edizione. Con lui, la famiglia ha riscritto lo statuto della holding che prevede alcune direttrici chiave: quattro nuove categorie di azioni, una per ogni ramo familiare, diritti di prelazione che si estendono da un nucleo familiare all’altro per poi “liberare” la vendita a terzi, maggioranze qualificate fino al 62,5% del capitale per cedere il controllo dei tre asset strategici, Atlantia, Autogrill e Benetton Group. Un sistema articolato che affida il destino delle partecipazioni strategiche sempre e comunque alla collegialità.
Marigia Mangano
Letta
di Francesco Verderami
Corriere della Sera
Se il telefono di Arcore squilla ancora è perché lì si è fermato Gianni Letta. Non è mai stato un ospite assiduo della residenza berlusconiana: quando la villa era la capitale dell’impero, sostava giusto il necessario per parlare con il Cavaliere. Poi tornava a Roma. Pensava che il rito si sarebbe protratto nel tempo, «almeno fino all’anno prossimo», perché così avevano detto i dottori spiegando il decorso della malattia di Silvio Berlusconi: «Invece è successo quello che nessuno di noi si aspettava».
Perciò ha deciso di restare ad Arcore, per condividere «questo grande dolore» con i figli del patriarca e aiutarli in un passaggio che si preannuncia complicato. In tutti i sensi. Così ha partecipato con loro alla messa privata di suffragio. Ha osservato il modo in cui Pier Silvio si è rivolto al fratello e alle sorelle. E ha ascoltato la loro promessa di «proseguire uniti il lavoro di papà per rendere omaggio alla sua memoria». Poi, insieme a Fedele Confalonieri, si è adoperato per le esequie: uno ha presidiato per un giorno intero la prefettura di Milano, l’altro si è adoperato nei contatti con il Quirinale per il funerale di Stato.
«Chiamo io», ha detto Letta, con un tono che ha rassicurato i familiari, travolti dall’emozione. Da giorni quel «chiamo io» si ripete, perché ci sono da disbrigare anche altre faccende. «La vecchia guardia è un bastone al quale i figli di Berlusconi sanno di potersi appoggiare», raccontano dai vertici del Biscione: «E Gianni riveste un ruolo centrale. In lui è riposta grande fiducia». Quello che faceva per il padre continuerà a farlo per i figli, sfruttando le sue relazioni nei palazzi del potere capitolino. Aprendo porte che nessuno di loro a Roma ha mai varcato.
È vero, Marina ha stabilito un rapporto diretto con la premier, ma — come sostiene chi conosce quel mondo — «è comunque necessario avere un punto di riferimento». E Letta lo è. «Letta è l’uomo che manca a Romano Prodi», disse Francesco Rutelli negli anni ruggenti del bipolarismo, riconoscendo al collaboratore del Cavaliere doti che scarseggiavano nel centrosinistra. Sulle nomine, per esempio, potrà suggerire alla famiglia come muoversi. È un esercizio che pratica da sempre: dai posti di vertice delle aziende di Stato fino agli avanzamenti di carriera, c’è sempre un suo «suggerimento» poggiato sulla scrivania di chi deve decidere. Guido Crosetto ha confidato a un collega come «non passi settimana senza che Gianni mi indichi qualcuno nelle Forze Armate».
Inoltre, l’uomo che non ha mai avuto la tessera di Forza Italia da oggi dovrà occuparsi più direttamente anche della creatura politica di Berlusconi, garantendo un atterraggio morbido quando verrà il momento. Ieri si è sentito con Antonio Tajani: c’è da preparare la lunga marcia verso le Europee dell’anno prossimo e bisognerà decidere come affrontarle. Un paio di giorni prima di peggiorare, il Cavaliere aveva dettato la «carta valoriale» degli azzurri in vista delle elezioni e aveva chiamato «Gianni» per sollecitargli dei suggerimenti. Adesso nell’agenda di Letta la sua segretaria ha appuntato una serie di chiamate: sono i leader centristi che vorrebbero parlargli per capire se c’è l’intenzione di unire le forze in un’unica lista che si richiami al Partito popolare.
«Sono momenti difficili», riconoscono esponenti forzisti. A breve si capirà se gli eredi del Cavaliere decideranno di far presentare Forza Italia alle urne da sola. Giorgia Meloni ha assicurato che non intende lanciare un’Opa sul partito e nei territori ha dato ordine ai dirigenti di Fdi di non accogliere azzurri che volessero trasferirsi. Raccontano che in questi giorni i figli di Berlusconi si siano espressi sulle questioni politiche «in modo appropriato». Ma come dice una personalità del centrodestra, «tutti, anche i grandi leader, hanno bisogno di una personale Cassazione». Hanno bisogno cioè di qualcuno a cui affidarsi prima di dire l’ultima parola. Uno come Gianni Letta.
Francesco Verderami
Funerali
di Aldo Cazzullo
Corriere della Sera
Caro Aldo,
come si spiega la netta differenza di toni fra la stampa italiana e quella estera a proposito di Berlusconi? I giornali di mezzo mondo, dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna alla Germania alla Francia e alla Spagna, hanno espresso giudizi severi sull’uomo e sul politico; da noi, invece, ammirazione quasi unanime fino all’incensamento. Disinformazione e pregiudizi degli uni o conformismo e piaggeria degli altri? O forse noi italiani diamo poca importanza ai princìpi liberali che affermano la preminenza assoluta dello Stato di diritto e, perciò, il rispetto dei meccanismi che lo regolano, che non sono fastidi da evitare ed aggirare, ma valori da sentire come tali?
Nino Romeo
Caro Nino,
non credo che la morte e il funerale di una persona pubblica, tanto più di un personaggio destinato nel bene e nel male a passare alla storia, siano il momento migliore per formulare un giudizio su di lui. Quel che ognuno di noi ha scritto e detto di Berlusconi in questi decenni è lì, agli atti. Questo è il momento semmai di considerare l’effetto che ha avuto su di noi questo lungo addio. Sono convinto da sempre che a ogni funerale ognuno — tranne i parenti e gli amici stretti, e in parte pure loro — pianga in realtà la propria morte; ma per Berlusconi questo è particolarmente vero, visto che ha abitato le nostre vite così a lungo. Le vite di chi gli ha voluto bene, e di chi l’ha considerato un avversario, se non un nemico; perché avere un avversario è molto importante. Giovanni Veronesi ha scritto di non essere mai stato d’accordo con lui, eppure di provare dolore. È inevitabile: con Berlusconi se ne va anche una parte di noi. Una vicenda cominciata con uno spot che diceva: «Corri a casa in tutta fretta, c’è un Biscione che ti aspetta». Cominciavano gli anni 80, la ritirata nel privato, il riflusso, la fine della politica di strada e di piazza, dell’illusione che l’impegno comune potesse cambiare le cose, e che si potesse essere felici soltanto tutti insieme. E gli anni 80, almeno in Italia, non sono mai finiti. Anche se è finita anche l’altra illusione, quella opposta: che si potesse essere felici soltanto ognuno per proprio conto.
Aldo Cazzullo
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