IL MINISTRO MARIO LANDOLFI E IL SOTTOSEGRETARIO NICOLA COSENTINO VITTIME DI SENTENZE "COPIA E INCOLLA" O COSIDDETTE "SARTORIALI" CUCITE A FAVORE DELL'ACCUSA - UNA VERGOGNA IN UNO STATO DI DIRITTO -
L'esito di dieci anni di indagini e di fango versato su due galantuomini, senza quella fantasiosa sentenza, sarebbe stato Landolfi scagionato e Cosentino libero.
di Vincenzo D'Anna*
"Nello Stato di diritto la morale risiede
nella legge" affermava il filosofo tedesco Hegel. Ma occorre dire anche
che non sempre quel che è lecito è anche morale. Diciamo che tutto dipende
dalla volontà e dai principii ai quali il legislatore si ispira. Un esempio di
scuola della divaricazione tra lecito e morale viene dalle norme sui pentiti e
da quella consuetudine giuridica (fattasi legge) del concorso esterno in
associazione malavitosa. Il combinato disposto di questi due
"elementi" ha portato in carcere centinaia di persone, uscite poi
indenni dai giudizi oppure dichiarate colpevoli per sentenze basate su teoremi
mai provati dagli inquirenti. Insomma: vittime di dispositivi frutto
dell'interessata delazione dei collaboratori di giustizia, gestiti direttamente
dai pubblici ministeri ed utilizzati per sostenere l'accusa, fosse anche con
dichiarazioni "de relato" (cioè per sentito dire da altri) mai
riscontrate da un giudice terzo. Senza la legge sui pentiti, varata mezzo
secolo fa nel pieno della emergenza terrorismo, e soprattutto, senza la norma
giurisprudenziale mai tipizzata e definita, del concorso esterno, fior di
galantuomini non sarebbero mai finiti alla sbarra, travolti dalla gogna delle
illazioni e delle supposizioni il cui onere di prova viene sistematicamente
ribaltato su di loro costretti spesso, a confutare e provare l'infondatezza
delle delazioni dei pentiti, certamente camorristi e plurimamente omicidi,
questi ultimi, allettati dalle promesse di sconti di pena, dissequestro dei
beni e sostegno economico ai congiunti. Questa, purtroppo è storia nota ed
immutata, retaggio degli anni bui della giustizia spettacolo, dell'arroganza
delle toghe rese irresponsabili dalle garanzie costituzionali di cui sempre
hanno goduto. Fino a quando si continuerà a tollerare che l'indipendenza della
magistratura coincida anche con l'impunibilità degli errori e degli abusi dei
giudici, il popolo italiano vivrà in uno stato di polizia alla mercé di una
manica di delinquenti travestiti da pentiti. Tuttavia, è storia di queste ore,
mancava all'evidenza dei grani del rosario, tragico e liberticida che tuttora
vige nella generale indifferenza del cittadino comune (spesso trasformato in
moralista senza cervello e senza limiti), un'ultima clamorosa novità: la
sentenza "sartoriale", ossia confezionata su misura, costruita non
già su prove certe, ma neanche sulle dichiarazioni rese da decine di coimputati
(e dagli stessi pentiti), bensì approntata con spezzoni di quelle stesse
dichiarazioni (accuratamente tagliate e cucite), per comporre il giudizio di
condanna nei confronti dell'ex ministro e più volte deputato di centrodestra
Mario Landolfi. Nei suoi confronti c'era un solo accusatore: Giuseppe Valente,
ex amministratore del consorzio di smaltimento dei rifiuti Eco 4. Landolfi, è
bene precisarlo, rinunciando alla prescrizione (!!), si era difeso nel processo
che lo vedeva accusato di corruzione per aver convinto un consigliere eletto
con il centrodestra a sostenere un candidato sindaco (di quella stessa
coalizione) di Mondragone, la sua città. Ebbene, occorre sapere che il suo
accusatore, pentitosi al momento giusto, era stato escusso (interrogato) per
ben 25 volte nei vari processi (Cosentino, Facchi e Andreozzi-Conte) in cui era
stato sentito. Compreso quello di Landolfi, dove, per accordo tra le parti,
erano confluiti anche i 25 verbali di cui prima. Che dire?, a quanto pare tante
volte non bastavano. Nossignore: Valente andava riascoltato nuovamente affinché
il magistrato potesse finalmente trovare la "sua" verità: quella, cioè,
che gli sarebbe stata utile per farlo dichiarare attendibile e, di conseguenza,
arrivare alla condanna di Landolfi (fregando, al tempo stesso, anche
Cosentino). Ma, e qui sta il bello, quando il giudice riascolta Valente, il
teste si contraddice tre volte in mezza pagina di verbale ("credo di non
averlo detto a Landolfi, non escludo di averglielo detto, non ricordo di
averglielo detto"). Eppure il giudice non si scoraggia: semplicemente
omette di riferire questo brano nelle motivazioni e vi inserisce una
dichiarazione resa dal teste sullo stesso argomento (l'assunzione di un parente
di un consigliere comunale presso la Eco4 in una vicenda analoga a quella
incriminata) proveniente dal processo Cosentino. Ed ecco che arriva "il
taglia e cuci", impressionante. Al punto 4 di pag. 67 delle motivazioni,
scrive infatti il giudice: "Non è vero che Valente non informò il Landolfi
della corruzione del consigliere, attraverso il posto di lavoro offerto in
Eco4; si tratta anche in questo caso di una vicenda analoga a quella per cui si
procede e il Valente non dice che non informò Landolfi, ma il suo ricordo sul
punto è dubitativo, sebbene più orientato al positivo che al negativa (‘credo
ne avessi parlato anche con Landolfi’)”. La frase riportata tra parentesi è clamorosamente
“amputata”. Valente aveva infatti detto che “l’unica persona con cui aveva
parlato di questa vicenda è l’on. Cosentino” (non imputato in questa vicenda)
per poi aggiungere “credo ne avessi parlato anche con Landolfi”. Ed è
esattamente così che il giudice riesce a condannare quest’ultimo (2 anni con
esclusione dell’aggravante camorristica) e a incastrare Cosentino. E sì, perché
per assolvere completamente l’ex ministro il giudice avrebbe dovuto dichiarare
inattendibile Valente, che era anche uno degli accusatori di punta
dell’ex-sottosegretario berlusconiano. Che dire, cari amici: la partita è
grossa e l'ordine giudiziario evidentemente non poteva subire l'onta di una
terza assoluzione per Cosentino, accusato - come Landolfi - dal Valente. Bisognava
"stangare" l'ex deputato per rendere credibile il pentito che
accusava sia lui sia l'ex leader regionale di Forza Italia. Et voilà! Il gioco
è stato fatto. Serviva una sentenza su misura, figlia di un cruciverba
compilato dal magistrato e trasfuso in un dispositivo di condanna, in un
processo in cui l'unica fonte di accusa, il pentito Valente, è diventato
attendibile ancorché egli stesso si fosse contraddetto tre volte!! Insomma,
ricapitolando: dopo 25 interrogatori già disponibili, ove nulla era emerso a
carico di Landolfi, ecco scaturire l'impellente bisogno di acquisirne ancora un
altro per poterne poi ricavare una sintesi apodittica!! Perché? Semplice:
perché senza quell'arbitrario "confezionamento", Valente non sarebbe
stato dichiarato credibile come fonte di accusa ed il processo (compreso quello
contro Cosentino), sarebbe finito in fumo. Sissignore: l'esito di dieci anni di
indagini e di fango versato su due galantuomini, senza quella fantasiosa
sentenza, sarebbe stato Landolfi scagionato e Cosentino libero. Le sentenze
sartoriali si rispettano? Una vergogna, un artifizio camuffato, li si rispetta?
Un collage necessario e funzionale ad un'autotutela artificiosa per l'ordine
giudiziario che, altrimenti, avrebbe rischiato una sonora bocciatura! Ecco di cosa
stiamo parlando. E la chiamano giustizia...
*già parlamentare
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