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martedì 17 settembre 2024

 Foglio

di Giacomo Salvini
Il Fatto Quotidiano
«Fatemi passare, devo votaaaa’….». Poco dopo le 13, Claudio Lotito, senatore di Forza Italia e massiccio presidente della Lazio, entra spedito in aula alla Camera. Si stanno votando in seduta congiunta i giudici della Corte Costituzionale (tutti scheda bianca, niente di fatto) e il suo fedelissimo collega Dario Damiani gli regge la giacca per permettergli di facilitare il passaggio.
Senatore…
«Aò, aspe’. Voto e torno».
(Aspettiamo… poi rientra in Transatlantico)
Presidente, come va?
«Bene bene, lottiamo come al solito».
Passa il meloniano Paolo Trancassini con cui sta litigando in Regione Lazio: «Sei pronto per la campagna elettorale?», scherza. Lo saluta il deputato azzurro Maurizio Casasco: «Mauri’, serve ’na cabina de’ regggiaaaaa…».
Presidente, ma è vero che oltre a fare il senatore, il presidente della Lazio, vuole diventare anche editore?
«Sì, lo ammetto. Mi piacerebbe molto».
Spieghi.
«È arrivato il momento: vorrei comprarmi un giornale. Però devo fare una premessa…».
Dica.
«La premessa è che i giornali di carta moriranno a breve: altri 7-8 anni e non esisteranno più. Anzi sono già tutti morti».
Ah, e ce lo dice così? Dovremo cercarci un nuovo lavoro…
«Be’, certo. Però ci sono sempre i siti e lì si possono fare grandi cose…».
E su cosa ha messo gli occhi?
«Il Foglio mi piacerebbe molto. È un giornale dalla grande storia e dal grande spessore: apparteneva a Veronica Lario, Giuliano Ferrara, insomma gente ’mportante. Un quotidiano che parla a un pubblico di nicchia. Sarebbe una grande operazione culturale. E poi hanno già iniziato a investire sul web».
Ma ha già fatto un’offerta?
«No, non ho ancora guardato la situazione societaria e devo capire ancora quante copie vende perché non sono certificate. Quindi non so quanto potrei offrire. Poi Valter Mainetti (l’editore del Foglio, ndr) è un amico, ci conosciamo da vent’anni».
Almeno ci può dire se vuole entrare come socio o diventare l’editore?
«No, no, niente socio. Sarei il proprietario».
Scusi, ma non sarebbe un conflitto d’interessi? Un senatore di Forza Italia che si compra un giornale. Sarebbe un remake, in piccolo, di Silvio Berlusconi…
«E Angelucci cosa fa con Libero, Il Giornale e Il Tempo? E vuole pure comprarsi un’agenzia…».
L’Agi: infatti c’è molta polemica su questa acquisizione. Anche l’Unione europea è contraria.
«Se volessi influenzare le scelte politiche sarebbe molto più intelligente comprarmi un’agenzia di stampa».
Ma comunque è un potenziale conflitto d’interessi anche quello di Antonio Angelucci: deputato della Lega, proprietario delle cliniche private in tutta Italia ed editore. Questa è libertà di stampa?
«Ma io non comprerei in prima persona: lo farei fare a qualcuna delle mie società. Non in quanto Claudio Lotito, senatore della Repubblica di Forza Italia».
Ma è la stessa cosa.
«Certo che no, anche perché la mia finalità sarebbe un’altra…»
Sentiamo: quale?
«Il conflitto d’interessi esiste se uno si compra un giornale per influenzare le decisioni politiche, fare pressione sfruttando il suo ruolo. In questo caso per me sarebbe diverso: io lo farei per rendere edotte le persone…».
Ma così la stampa non diventerebbe (quasi) tutta di destra e piegata sul governo? Angelucci vuole fare il polo dei media conservatori come in America…
«Sì, ma quella è la sua idea: io non voglio fargli concorrenza. Ancora non l’hai capito: la mia sarebbe un’operazione culturale…».
Addirittura.
«E certo».
Pensa solo al Foglio o a qualche altro quotidiano?
«Anche La Verità di Maurizio Belpietro sta andando molto bene e mi piace: hanno cronisti molto bravi che cercano notizie e sono molto “aggressivi” sul territorio. Ma Il Foglio lo preferisco, vola più alto».
Li compra tutti e due?
«No, uno solo. Basta e avanza».
A quel punto interviene Damiani: «Claudio dobbiamo anda’ al Senato». Lotito si mette il giubbotto e scappa.
«Buona fortuna».
Giacomo Salvini
QUARTA PAGINA
«Quando le informazioni mancano,
le voci crescono»
Alberto Moravia
Dago
di Concetto Vecchio
la Repubblica
Roberto D’Agostino, quando le ho proposto l’intervista lei mi ha detto: quelli che vengono a trovarmi li schedano. Mi devo preoccupare?
«Ma no. Però do per scontato di essere intercettato, attenzionato. C’è tanta gente in trepida attesa di un mio passo falso».
Dagospia ha dato per primo la notizia del caso Boccia.
«Quando mi hanno segnalato il suo primo post, il 26 agosto, sono andato a sbirciare il suo profilo Instagram. Non credevo ai miei occhi».
Cosa l’ha colpita?
«Tutte quelle foto con Sangiuliano. Era il diario visivo di una relazione. Ho chiesto in giro e mi hanno detto che i due erano amanti».
Lei questo però l’ha sempre negato.
«Lei lo nega perché altrimenti non sta in piedi la storia del contratto di consulenza: non si può farlo a un’amante. E comunque l’ha confessato lui, al Tg1».
Ha chiamato Sangiuliano quel giorno?
«Per forza. Circolano tante polpette avvelenate, meglio verificare alla fonte».
L’ha avvertito che ne scriveva?
«Sì. Balbettava “è falso, non c’è alcun contratto”, minacciava querele».
Che impressione ha avuto?
«Di un uomo molto spaventato».
Che ha fatto?
«Ho riportato la sua smentita, mai immaginando la slavina che sarebbe venuta fuori dopo».
Boccia voleva il contratto.
«Lei voleva essere la signora Sangiuliano, voleva che lui lasciasse la moglie. Gli avrebbe detto pure che era incinta».
Ne è sicuro?
«Un uomo di sessant’anni che viene trafitto dall’euforia del potere può perdere la testa. Come un adolescente il ministro si era innamorato».
Insomma, Boccia voleva lo status.
«E Sangiuliano era in pieno deliquio dei sensi».
Perché lui ha permesso le foto su Instagram? Era ancora sposato.
«Avrà perso il controllo della ragione: come un qualsiasi Alberto Sordi si è pure tolto fede. Le avrà detto che il suo matrimonio era finito, le cose che dicono gli uomini in questi casi».
E allora il contratto?
«Lei non voleva soldi, voleva pure lavorare gratis, il contratto era il suggello all’unione. Ma soprattutto il titolo che le permetteva di andare su e giù a spadroneggiare per le stanze del ministero».
E lui glielo nega.
«Sì, dopo Ferragosto ordina al capo di gabinetto Gilioli di stracciarlo. Perché? Questo è il punto mai chiarito della vicenda. Gliel’ha ordinato palazzo Chigi? La moglie?».
Il contratto negato fa precipitare tutto.
«Se glielo concedeva la cosa moriva lì».
Ma questa storia è gossip o è politica?
«Politica tutta la vita. Al pari di Berlusconi, travolto dalla fica, Sangiuliano ha calpestato la decenza istituzionale, non si è reso conto di aver la responsabilità come ministro di rappresentare i cittadini italiani».
Questo è uno scandalo che connota la destra o il potere italiano?
«La verità è che al potere è arrivato un centrodestra di scappati dalla scuola Radio Elettra di Torino».
Addirittura?
«Non sanno cos’è la cultura del potere».
Cos’è la cultura del potere?
«Dialogo, trattativa, compromesso. Non sanno come gestirla. Premier che con un tweet gettano sul marciapiede i compagni, ministri che fermano i treni, deputati che sparano a Capodanno».
Perché Dagospia è così feroce con il melonismo?
«Perché hanno un concetto del potere a dir poco sudamericano».
Ora pare caduto in disgrazia Lollobrigida.
«Un’altra vittima dell’euforia del potere. Ne ho vista di gente a cui un auto blu e cinque telefoni sulla scrivania hanno fatto partire l’embolo».
Tipo?
«Nel 1994 vidi con i miei occhi i leghisti che festeggiavano un compleanno al Gilda con una donna nuda coperta di sola panna».
Elettoralmente Meloni però è ancora forte.
«Io diffido dei sondaggi e dei sondaggisti».
Le sorelle Meloni comandano l’Italia.
«Ma se non comandano nemmeno mariti e compagni. Se non riesci a governare in casa, come puoi governare un Paese?».
Soffrono di complottismo?
«Ha dell’incredibile che un premier non si fidi di un corpo dello Stato, come la polizia. Mai successo. Sono isolati in Europa, emarginati a Washington e passano il tempo a incontrare Orbàn. Una donna sola al comando rischia di andare a sbattere».
Sangiuliano però l’ha scelto lei.
«Perché totalmente ubbidiente».
Era così ubbidiente?
«Meloni in realtà voleva Giordano Bruno Guerri, ma Sangiuliano ha cercato sponde in Vaticano, perché Guerri è stato scomunicato due volte. E la Chiesa si è fatta sentire».
Non è troppo ottimista su un prossimo declino della destra?
«No, perché conosco il potere italiano. Mai crearsi dei nemici».
Il deep state potrebbe respingerli?
«Li reputano dei dilettanti arroccati. La Meloni si è messa subito contro la Corte dei Conti, sono cose che si pagano».
Dice?
«Prenda Sangiuliano, giornalista esordiente alla guida di un ministero di prima fascia. Ha nominato un capo di gabinetto debuttante, un addetto stampa che non conosceva Roma, una responsabile di segreteria di nessuna esperienza, consigliata da Giorgetti».
E lei è affidabile?
«Altrimenti avrei chiuso dopo un anno. Ma è una cosa che ho capito da ragazzo».
Da ragazzo?
«Cominciai a collaborare in Rai nel 1976. Brando Giordani, l’inventore di Odeon, un giorno mi disse: per il via libera dobbiamo passare da una persona importante, il capo di Rai Uno. Entriamo nella sua stanza. Brando mi presenta. Quello alza lo sguardo dalle carte. Dice soltanto: “È affidabile?” “Affidabile” risponde Brando. “Buon lavoro”, ci congeda il capo di Rai Uno».
Insomma, la logica è consociativa?
«Perché De Mita, tramite Agnes, concede ai comunisti di Berlinguer Rai 3? Erano avversari, nessuna legge glielo prescriveva».
Come lavora? Frequentando le terrazze romane?
«Rispondendo a tutti, sempre. Niente puzza sotto il naso. Gli scoop nascono così».
Quanti siete in redazione?
«Sette».
Dagospia è giornalismo?
«Certamente».
Ma alludere che un ministro ha l’amante lo è?
«Sì, se l’amante entra nella macchina dello Stato».
Lei passa per essere spregiudicato.
«In che senso?»
Diciamo che è molto diretto.
«I lettori vanno sedotti. Con titoli-sommario. I pezzi li leggono in pochi».
Quanti anni aveva quando ha fondato Dagospia?
«Cinquantadue. Il primo scoop fu su Franco Tatò che voleva affidare Tele Montecarlo alla moglie, Sonia Raule. Non lo voleva scrivere nessuno. La nostra notizia fece saltare la cosa».
Cosa faceva prima?
«Ho lavorato in banca per dodici anni, entrando a vent’anni nella Cassa di Risparmio di Roma. Mi sono sposato due volte. La prima nel 1972.
Lei era già nato?».
Dago ha famiglia?
«Sì, un figlio, Rocco».
Si diverte ancora?
«Sì, moltissimo. Ma ho 77 anni, e comincio pure a sentire il peso dell’età».
Cosa dice il caso Boccia, alla fine?
«Una sconosciuta di Pompei con il suo cellulare ha messo in crisi Giorgia Meloni: questa è la modernità al tempo di internet».
Concetto Vecchio
QUINTA PAGINA
«Dove le parole non arrivano...
la musica parla»
Ludwig van Beethoven
Nona

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