QUINTA PAGINA
Gabriella
di Candida Morvillo
Corriere della sera
Seva Borzak, con gli occhi del bambino che è stato, chi era la Gabriella Ferri «voce di Roma» e chi era la Gabriella Ferri mamma?
«La stessa persona, che metteva visceralmente il “core” sia nella musica sia nella maternità. Quando aveva forze e tempo, era una mamma meravigliosamente vicina. Poi, quando il lavoro la portava via, ne soffrivo: ho capito quanto fosse grande la sua arte solo quando ho lasciato casa. A 14 anni, sono andato da solo in America per frequentare l'Accademia aereonautica e, lì, ascoltare le sue canzoni mi faceva sentire a casa».
Sabato RaiTre ha mandato in prima serata il documentario di Red Film Gabriella . Gabriella, senza cognome, come c'è scritto sulla sua tomba al Verano, «perché Gabriella, a Roma, è lei», dice Seva, suo unico figlio. Nessuno come lei ha cantato l'anima della città eterna, rendendo celebri brani come Quanto sei bella Roma o Te possino dà tante cortellate . In Sud America, fu prima in classifica per tutto il 1969 con Ti regalo gli occhi miei , vendendo un milione e mezzo di dischi in Venezuela, due milioni in Messico, tre in Argentina... Quell'anno, a Sanremo, cantò con Stevie Meraviglia. Gabriella con le sue tute bianche o rosse tintinnanti di chincaglieria oi vestitini alla Zorro o un cucciolo di leopardo fra le braccia incarnava la Dolce Vita celebrata da Federico Fellini. Quando ancora faceva la commessa vicino a piazza del Popolo («per porta' a casa pasta e patate a mia mamma», diceva lei), il pomeriggio andava a sedersi da Rosati ed era già famosa senza essere famosa. Racconta Renzo Arbore nel documentario: «Fu la prima persona che incontrai arrivando da Foggia sulla mia 600. Mi fa: 'namo a balla'. Mi porta alla taverna Margutta e, lì, ci fidanziamo la sera stessa». Seva, oggi arcidiacono della Chiesa ortodossa e guida turistica a Roma, sei figli, nasce nel '73, quando Gabriella era già la star del Bagaglino e la star del sabato sera di RaiUno con Dove sta Zazà , regia di Antonello Falqui e 19 milioni di spettatori a puntata.
Com'era quella ragazza che diceva «'namo in via Margutta, qualcosa succederà»?
«Timidissima, ma nascondeva la timidezza con la spavalderia che le serviva per conoscere, apprendere: aveva la quarta elementare, ma era affascinata da intellettuali e artisti, apparteneva a una generazione uscita dalla guerra senza niente ma con tanta voglia di esprimersi. Mia nonna Lucia veniva da una famiglia benestante di Testaccio, ma nonno Vittorio era di origini umili, per cui vivevano essenzialmente in povertà. Lui non faceva nulla, scriveva poesie. Al massimo, portava mamma a dieci anni a vendere lamette alle fiere di paese».
Sua madre lo descrisse così: «Sfacciato, bugiardo, traffichino, s'inventava la vita minuto per minuto».
«Lo amava moltissimo. Quando lui morì, fu un dolore inaccettabile. Era malato e lei si era messa in testa che doveva salvarlo e, poi, che era morto perché lei non lo aveva salvato. Hanno scritto insieme anche delle canzoni. Lei diceva: papà quando scriverai una canzone come Dio comanda, io la canterò e la porterò a Sanremo. Lui scrisse Se tu ragazzo mio e lei la cantò al Festival con Stevie Wonder».
Quali personaggi famosi ricordano nel presepe della sua infanzia?
«Mara Venier era di casa con suo figlio Paolino e così Anita Pallenberg coi tre figli avuti con Keith Richards dei Rolling Stones. Renato Zero mi portava in giro sulle sue Bentley. E poi c'erano Enrico Montesano e Pippo Franco e Pino Strabioli, che sono anche ora nel documentario...».
Come è arrivata la folgorazione di sua madre per la musica folk?
«Da una di quelle bravate che si fanno a volte da ragazzi e che, se ti va bene, ti aprono porte mai immaginate».
In questo caso?
«Da giovanissima, mamma era diventata amica di Luisa De Santis, figlia di Giuseppe, il regista di Riso amaro . Facevano entrambe le comparse e le ballerine nei film. Un giorno, andarono a Milano da un'amica modella. Partono cariche di lettere di presentazione di Mario Monicelli, di Alberto Bevilacqua, che dicevano pressappoco “queste due ragazze non si sa che sanno fa', ma sono brave”. Camilla Cederna le ospita a casa sua e le porta a vedere uno spettacolo al Derby. Mamma va dal proprietario e gli dice: siamo cantanti di canzoni popolari e vorremmo cantare qua. È stato un successo incredibile. Mike Bongiorno le vide e le portò alla Fiera dei sogni ».
E lei la definisce timida?
«Era lei stessa a dirlo. Le facevano paura il pubblico, lo spettacolo e, col successo, la responsabilità di portare avanti un percorso musicale fuori dalla norma e dalle regole del profitto. Se faceva uno spettacolo, se incideva un disco, dava talmente tanto da dover poi restare a letto per una settimana prima di riprendersi. Io credo di essere andato via di casa così presto per fuggire da una sua complessità a volte difficile da sostenere per un ragazzo. Solo crescendo ho capito che quella sofferenza era necessaria perché la creazione viene dalla sofferenza: la madre che partorisce soffre; l'artista che crea soffre».
In una vecchia intervista, sua madre raccontava di essere stata costretta a vari ricoveri e diceva: «Per i giornali, ero un'ubriacona, poi non ero ubriacona, ero drogata, e mai che avessero una foto in mano, qualcosa».
«È stata spesso ferma per motivi legati all'ansia o alla depressione, ma solo a periodi. Purtroppo, a volte, il giornalismo esagera, distorce. Però, quegli articoli scandalistici non hanno fatto soffrire mamma o me e mio padre, che sapevamo cosa era vero e cosa era falso. Oggi, resta più interessante ricordare che cosa l'ha resa famosa, l'esempio che è stato. Le mie figlie ne traggono continua ispirazione: la dovrà un esempio di libertà, anticonformismo e autodeterminazione».
Due di loro che hanno partecipato al documentario: hanno fatto in tempo a conoscerla?
«Xsenia, che oggi studia da attrice, aveva solo un anno quando la nonna è mancata, ma Nadia, aveva nove anni e l'ha vissuta tanto anche se abitavamo a New York. Oggi, canta, come la nonna».
Sua madre quali canzoni amava di più, quali cantava in casa?
«In casa cantava brani non suoi: Ray Charles, Joe Cocker, il blues. Ma quelli del suo repertorio li amava tutti. Forse amava di più Ciccio Formaggio e una canzoncina che scrisse per me da piccolo: E dormi pupo dorce ».
Come incontrò suo padre Seva Borzak senior, americano di origini russe?
«Avvenne in tournée in Sud America, dove papà era presidente della Rca. Lui raccontava che lei non l'aveva colpito molto, mamma che vedendolo si era sentita come “Tito in carrozza” e che però lui non se la filava. In realtà, papà mi confessò che anche per lui era stato un colpo di fulmine, ma che, data la posizione di discografico e avendo 17 anni più di lei, un divorzio alle spalle e tre figli, aveva mascherato. Poi, un giorno, al mare, mamma gli disse: se davvero mi ami, fai il bagno vestito. E lui si buttò in acqua in giacca, cravatta, 24 ore. Si sono amati profondamente fino all'ultimo giorno».
Che cosa ricorda del 3 aprile 2004 in cui sua madre morì cadendo dal balcone di casa a 61 anni?
«Fino alla sera prima, parlavamo di progetti da portare avanti insieme. Avevo 31 anni e avevo iniziato a collaborare con lei. Il giorno dopo, Maurizio Costanzo le dedicava una puntata e mamma ne era felicissima. Certo, prendeva ancora psicofarmaci, ma non fu un suicidio: credo che abbia avuto un attacco di panico e si sia messa in pericolo senza esserne consapevole. Ci ho messo anni a riprendermi, lentamente, con sforzi non superficiali, grazie anche alla fede. Oggi, posso solo essere grato a Dio di avermi dato la forza di continuare la mia vita nel ricordo di una madre dalla vita luminosa che ha portato a tante persone gioia e felicità».
Candida Morvillo
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