Cossiga taoista e fioriera killer: il giallo ispirato da Montanelli

Una delle scene più esilaranti – di quelle che fanno poggiare il libro semiaperto sul bracciolo del divano o della poltrona per ridere meglio – riguarda il Cossiga picconatore dalla vetta del Colle. Dopo un misterioso viaggio in Oriente, il presidente torna e fa un messaggio a rete unificate alle sette del mattino, comprensivo persino di un saluto al sole in diretta dai Giardini del Quirinale.
Quindi il Cossiga taoista si siede nella posizione del loto davanti al caminetto acceso, butta il piccone nel fuoco e comincia: “C’è un tempo per picconare e c’è un tempo per costruire”. Tira poi una “profonda boccata” da “un grande narghilè di cristallo”, sorride e predice una reincarnazione istituzionale: “Avverto forti vibrazioni positive per il futuro… Sono convinto che la Prima Repubblica si reincarnerà molto presto nella Seconda”. Oggi che il boom letterario (massì usiamo pure questo aggettivo) del giallo vanta anche un floridissimo filone satirico, laddove si ammazza e si ride e viceversa, Nanni Delbecchi, firma dalla magnifica scrittura del Fatto, ha l’indiscusso merito di avere iniziato a scrivere I misteri di via dell’Anima ben trentaquattro anni fa. Un pioniere, in pratica. Il romanzo ebbe una genesi epica e casuale allo stesso tempo. Era il 1991 e il giovane Nanni era al Giornale montanelliano, alla redazione Spettacoli. Capitò che i due presero insieme l’ascensore in redazione. Una volta arrivati, il grande direttore si rivolse in modo secco al giornalista: “Giusto tu. Vieni un momento con me”.
Il Novantuno era ancora l’anno della Gladio italiana, l’esercito clandestino e anticomunista voluto da Cia e Nato, e Montanelli chiese a Delbecchi di vergare un romanzo d’appendice “come si faceva una volta” e da pubblicare a puntate. Un giallo politico, per la precisione: quello era il Malpaese del Caf, il patto tra Craxi, Andreotti e Forlani, saturo di pentapartiti e quadripartiti intorno alla Dc e al Psi. Il direttore del Giornale dettò al cronista finanche trama, attacco e luogo del delitto: “Ascoltami bene. Un distinto signore passeggia a notte fonda per via dell’Anima; all’improvviso, da un cornicione cade un vaso di fiori, centra l’uomo e lo uccide… Si scopre che quel distinto signore al di sopra di ogni sospetto era un ex Gladiatore”. Via dell’Anima era una via di quel potere, dove c’erano il quartier generale craxiano, l’Hotel Raphael, e la prima residenza romana di Silvio Berlusconi, all’epoca editore del Giornale. Così Delbecchi macinò cartelle su cartelle, un centinaio, ma nel frattempo arrivò il Novantadue di Tangentopoli e Montanelli disse a Nanni di fermarsi e non fare più niente.
Tre decenni dopo a quelle cento cartelle battute con la macchina per scrivere se ne sono aggiunte altre, stavolta al computer, ed ecco finalmente il libro. L’ex Gladiatore stecchito dalla fioriera killer è un cuoco friulano di nome Arrigo Lorenzon. E a trovarlo morente per terra è un giornalista: Diego Stella, che alla Nuova Onestà scrive ogni giorno trame di film, ciascuna di cinquecento battute, vero esercizio di stile e di sintesi ma altamente frustrante. Il vaso è precipitato dalla sontuosa dimora della bellissima Flaminia dell’Ongaro, regina dei salotti romani nonché eterna amante del conte Inigo Saverio Primoli. La fioriera killer diventa per Stella un’occasione di riscatto professionale e da quel momento in poi sale su una rutilante giostra di spie, intrighi, generali e politici insabbiatori che farebbe pensare all’esistenza di un’altra Gladio, la numero due.
Tra nomi falsi che vanno e vengono, si scopre che nella fioriera c’erano dei garofani. Chiaro indizio contro i socialisti. Ma quando poi spuntano dei myosotis, Ugo Intini, fedelissimo di Bettino, rilancia sull’organo del Psi, l’Avanti!: “La fioriera che ha ucciso Lorenzon non era coltivata solo a gerani e garofani, ma anche a myosotis… Perché nascondere la presenza dei myosotis ed esaltare quella dei garofani?”.
Il talento acuminato ed elegante di Delbecchi mostra il teatrino della politica italiana di allora, compreso un Bossi che scappa in Marocco per paura di essere rapito, per quello che era: una parodia gialla fluttuante tra vero e verosimile, come annota nella postfazione un altro montanelliano di quella stagione, il nostro direttore Marco Travaglio. Nanni alterna colpi di scena e miniature satiriche di somma efficacia, come quella centrata su un’enorme commessa di beluga bianco della Siberia, cioè caviale di qualità suprema (il motivo di questa commessa lo scoprirete da soli). E senza tralasciare nulla. Come la verifica permanente da Craxi, Andreotti e Forlani. Verifica: termine ferale del teatrino di Palazzo. In questi giorni l’ha ritirata fuori il grigio Antonio Tajani per proporla agli alleati Meloni e Salvini. Chissà, magari a Delbecchi verrà in mente un nuovo omicidio fintamente casuale. Sarebbe bello.
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