La tragedia (sepolta) di Mattmark
Pochi ricordano (tantomeno i libri di scuola dei nostri figli) l’ultima tragedia dell’emigrazione italiana, quella avvenuta a Mattmark, nel Vallese svizzero, il 30 agosto 1965. Per fortuna ci sono gli anniversari tondi che ci permettono di riattivare la memoria. E per fortuna viene riproposto un libro di Toni Ricciardi, storico delle migrazioni e ora deputato democratico, che in Morire a Mattmark ricostruisce la vicenda per l’editore Donzelli (editore benemerito, ipersensibile alla nostra storia sociale). Dunque, alle 17.15 di quel giorno, in pochi secondi, una valanga di oltre 2 milioni di metri cubi di ghiaccio si rovesciò sulle baracche di un cantiere per la costruzione di una imponente diga alpina: sotto la frana rimasero sepolti 88 operai: 56 italiani, 23 svizzeri, 4 spagnoli, 2 tedeschi, 2 austriaci a e un apolide. Un sopravvissuto disse di aver visto volare per aria autocarri e bulldozer.
La Svizzera era nel pieno della crescita economica grazie ai lavoratori che provenivano dalle province italiane. Si disse che le baracche erano situate esattamente sulla traiettoria di caduta del ghiacciaio sospeso. Ma nemmeno questa fu una ragione per condannare i 17 dirigenti accusati di omicidio colposo. Tutti assolti, come i responsabili e gli ingegneri della catastrofe di Marcinelle avvenuta nel 1956. quando vengono ricordate le tragedie dell’emigrazione italiana, si formano immediatamente due schieramenti: quelli che rifiutano ogni paragone con le migrazioni attuali verso l’Italia (la motivazione, falsa, è che si trattava solo di ingaggi regolari, dimenticando peraltro che lo schiavismo sistematico di oggi è un’aggravante); quelli che vorrebbero recuperare la memoria per comprendere il presente dei cosiddetti «altri». Nel 1956 come nel 1965, l’essere morti insieme (belgi e italiani, svizzeri e italiani) attenuò molto il razzismo. Si spera che per far crescere la comprensione per gli «altri» non si debba attendere che succeda anche oggi.
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