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sabato 4 ottobre 2025

 

Rassegna criminale

Il processo Spartacus 20 anni dopo e i clan dei Casalesi (dove sono finiti?)

editorialista

Alessandro Trocino

 

Oggi Casal di Principe, comune del Casertano con 20 mila abitanti, è una terra liberata. I Casalesi non sono più gli appartenenti a uno dei clan più pericolosi d’Italia, ma gli innocui e innocenti cittadini di Casale. La «Nco» non è più la Nuova Camorra organizzata di Raffaele Cutolo, ma la Nuova cucina organizzata, un ristorante che ha unito la riconquistata libertà basagliana dai due manicomi di Aversa all’uso dei beni confiscati alla camorra (e che è stato visitato di recente da Sergio Mattarella). Restano le tracce di un passato recente sanguinario: i cumuli di materiale tossico con cui sono state asfaltate le strade; il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che è stato edificato proprio dai clan; la villa «Scarface» di Walter Schiavone, costruita in imitazione del film con Al Pacino, e ormai centro Asl per la salute mentale. E poi l’Aula Bunker nel carcere di San Tammaro, dove si è svolto uno dei primi maxi processi d’Italia, uno dei più riusciti insieme a quello di Palermo istruito da Falcone e Borsellino contro Cosa nostra e a Aemilia, che una decina di anni fa ha testimoniato l’avanzata della ‘ndrangheta in Emilia-Romagna e Nord.

 

L'Aula bunker in cui si tenne il maxiprocesso Spartacus, oggi

Il 15 settembre del 2005 ci fu la sentenza di primo grado del processo campano, che ha sgominato i clan dei Casalesi. I 20 anni da quel momento storico sono raccontati in un libro di Raffaello Magi, il magistrato che fu estensore della sentenza detta «Spartacus»: «Dentro la giustizia» (Terra Somnia editorie). L'anniversario è stato ricordati la scorsa settimana in una summer school di tre giorni organizzata dalla Scuola di giornalismo investigativo di Casal di Principe di Luigi Ferraiuolo e da Agrorinasce, la prima grande agenzia pubblica per la legalità, che si occupa dei beni confiscati alla criminalità organizzata.

Magi, nella tre giorni, lo ha definito «il processo della sottovalutazione». Nasce nel 1995 – poco dopo l’uccisione don Peppe Diana - con le dichiarazioni del primo pentito, Carmine Schiavone, cugino di Francesco, detto Sandokan. Viene assegnato tra mille perplessità a Santa Maria Capua Vetere, l’unico tribunale d’Italia che non ha sede nel capoluogo di provincia, Caserta: «Eravamo sottovalutati – racconta Magi – pensavano che non potessimo reggere l’impatto di un processo così importante e circolavano voci di corruzione. Eravamo molto giovani, giudici ragazzini. Il primo grado fu chiuso in un silenzio tombale. Si pensava che poi sarebbe stato aggiustato in appello, come accade spesso. C’erano cronisti locali e una sola giornalista del Mattino Rosaria Capacchione. Vedevamo i tiratori scelti sul tetto dell’aula. Si temeva per le nostre vite. Giravo con i bicchieri di Lexotan per i giurati. Ci si aspettava una reazione forte dei Casalesi alla sentenza di condanna. Ma non accadde nulla».

 

Il processo è andato avanti per 7 anni. I numeri sono impressionanti: 700 udienze, 21 ergastoli, 95 condanne per associazione camorristica, 844 anni di reclusione. Furono ascoltati 508 testimoni, il pm (Federico Cafiero de Raho) impiegò 50 udienze solo per la requisitorie finali. Gli avvocati per le arringhe ne usarono 108. Le motivazioni della sentenza, scritte da Magi, coprivano 3.200 pagine, tre volte l'Ulisse di Joyce. Fu una delle grandi, commoventi e forse inaspettate, risposte dello Stato al dilagare del crimine organizzato.

 

Luigi Ferraiuolo, Federico Cafiero de Raho e la presidente del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Gabriella Maria Casella 

Isaia Sales, nella prefazione del libro, racconta bene un fenomeno, quello dei Casalesi, che è stato sottovalutato per decenni. Era una federazione di clan con un giro d’affari di 30 miliardi di euro all’anno. Furono commessi 646 omicidi tra il 1985 e il 2004. I casalesi avevano un modello più vicino a quello di Cosa Nostra (pur non avendo un Capo) che alla camorra. Avevano legami profondi con esponenti politici e istituzionali e operatori di mercato. Hanno persino partecipato alle elezioni amministrative con propri rappresentanti. Il fratello di Antonio Bardellino è stato sindaco socialista di San Cipriano d’Aversa. Alfonso Martucci, avvocato dei boss, fu eletto dal Pli nel collegio di Casal di Principe e diventò vicepresidente della Commissione Giustizia. Nicola Schiavone divenne assessore ai lavori pubblici.

Ma è interessante soprattutto la ricostruzione storica di Sales. Già nel 1860 c’erano duemila affiliati alla camorra, soprattutto a Caserta, a Marcianise e a Santa Maria Capua Vetere. I camorristi di Caserta furono incaricati della gestione dell’ordine pubblico in occasione dell’arrivo dei garibaldini. Due deputati, Pietro Rosano e Giuseppe Romano, erano considerati molto vicini alla camorra. Nel 1910 viene ucciso ad Aversa il sindaco Giuseppe Di Lieto, che aveva rifiutato un favore a un camorrista. Durante il fascismo ci fu una repressione, sul modello di quella messa in atto in Sicilia dal prefetto Mori.

 

Nuova Camorra organizzata di RaffaelServì a poco, ma il vero salto di qualità arriva negli anni ’70. La maggior parte dei clan, prima del dominio di Bardellino, aderiva alla struzzo. Eppure, per 20 anni, nessuno sembrò accorgersi di nulla. Racconta Federico Cafiero de Raho: «Quando nel 1993 iniziai le indagini sui casalesi, telefonai ai comandante delle stazioni dei carabinieri. Nessuno ammise la presenza della camorra». Non ce n'è camorra, risposero, più o meno militari e prefetti dell'epoca.

 

Dopo i primi anni ’80, scrive Magi, molti si erano accontentati della sconfitta della camorra di Cutolo. Caserta era fuori dai radar. Fu il terremoto, con la gigantesca messe di denaro pubblico intercettato, a cambiare la storia. A capo dei Casalesi in quegli anni c’era Antonio Bardellino, che sedeva anche nella Cupola siciliana. Era andato a vivere in Brasile e aveva lasciato i suoi parenti a controllare. Fu ucciso, anche se il corpo non è mai stato trovato, e furono sterminati tutti i suoi luogotenenti. Una serie di famiglie – Bidognetti, Schiavone, Zagaria, Iovine – presero il controllo. E cominciò la mattanza. Uno dei nipoti di Bardellino fu prelevato e portato in una casa. Qui gli fu messa una corda al collo e i capi dei clan tirarono insieme fino a strangolarlo, come ad assumersi la responsabilità collettiva e l’eredità.

 

La villa in stile «Scarface» di Walter Schiavone com'era, nella foto, e com'è oggi, recuperata da Agrorinasce

 

Fu «Gomorra» di Roberto Saviano, nel 2006, a sollevare il velo del silenzio, rendendo i Casalesi famosi in tutto il mondo. Il processo Spartacus arrivò a conclusione nel 2010 con le condanne che abbiamo raccontato. A quel punto il controllo militare del territorio da parte del clan aveva già cominciato a scricchiolare. Il colpo di coda dei Casalesi arriva nell’estate del 2008, con una sequenza di 18 omicidi culminati nella strage di Castel Volturno del 18 settembre 2008. Un commando di uomini armati – guidati dal boss Giuseppe Setola – uccise sei ghanesi. Era una spedizione punitiva contro alcuni spacciatori, ma in realtà si trasformò in una strage casuale: «Sono loro?», chiese il boss. «Non lo so – fu la risposta – ma sono negri, li ammazziamo». La reazione mediatica fu ancora peggiore, come racconta in un bel libro, «I diavoli dell’Averno» (Solferino), Antonio Castaldo. Si parlò di guerra tra bande di spacciatori e ci fu una marcia di ghanesi infuriati contro i Casalesi ma anche contro chi li aveva raccontati così. Sandro Ruotolo, grande cronista ora spalla di Elly Schlein, a un incontro della master class dice: «Fu la prima rivolta di popolo contro la camorra, e la fecero gli africani». Ma poi l’eccidio e tutti gli altri delitti richiamarono sul territorio l’esercito, e polizia, carabinieri e magistratura triplicarono gli sforzi nella caccia agli assassini. Ci fu la dimostrazione chiara che quelle città e quei territori non erano più in mano alla camorra. Erano tornati allo Stato.

 

E ora i Casalesi, che fine hanno fatto? C’è qualche parente residuo dei clan storici, ma non ce n’è traccia apparente. Catello Marano, presidente del collegio di Spartacus, spiega alla platea dei giovani dell’Aula bunker: «Il clan dei Casalesi non è scomparso. Non ho elementi precisi, ma sono sicuro che esiste ancora. Soltanto, ora, ci sono menti più raffinate».

 

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