Delitti, parole e numeri: perché l’Italia resta un Paese pericoloso per le donne di Ferdinando Terlizzi
Non basta che gli omicidi calino, se non cambia la cultura che li rende possibili.
È bastata una rapida occhiata alle notifiche dei motori di ricerca, in questi giorni, per capire il paradosso italiano. Nello stesso elenco compaiono:
il nuovo rapporto Istat sulle vittime di omicidio nel 2024;
i dati diffusi in occasione del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne;
l’ennesimo titolo sui “delitti in famiglia” con vittime quasi esclusivamente femminili;
e, subito dopo, la pubblicità di un “cenone con delitto” in pizzeria, dove l’omicidio diventa puro intrattenimento.
È la fotografia di un Paese in cui la violenza contro le donne è insieme tragedia quotidiana, statistica ufficiale e formato spettacolo.
I numeri Istat: meno omicidi, ma non per le donne
Secondo l’ultimo rapporto Istat, nel 2024 in Italia sono stati commessi 327 omicidi, in lieve calo rispetto al 2023 (-2,1%). Tra le vittime, 116 sono donne e 211 uomini. Di questi 116 omicidi con vittime femminili, 106 sono classificati come femminicidi presunti: donne uccise dal partner, dall’ex partner, da un parente o in contesti in cui l’accanimento sul corpo indica una matrice di genere.Istat+1
Il tasso di omicidio complessivo torna a 0,55 per 100 mila abitanti, confermando l’Italia tra i Paesi più sicuri dell’Unione europea dal punto di vista degli omicidi volontari: siamo, insieme alla Slovenia, tra i Paesi con la minore incidenza di omicidi in UE.Euroborsa
Ma la “buona notizia” si ferma qui. L’andamento è chiaro:
gli omicidi di uomini diminuiscono,
quelli delle donne restano praticamente stabili.Avvenire
Tradotto: il Paese nel complesso diventa un po’ più sicuro, tranne per le donne.
25 novembre: 44 donne uccise da partner o ex nel 2025
In vista del 25 novembre 2025, un’analisi pubblicata dal Corriere della Sera ha fotografato la situazione nell’anno in corso: 44 donne uccise da partner o ex partner nei primi undici mesi del 2025. Sullo sfondo, 98 omicidi volontari complessivi, in calo rispetto ai 122 del 2024.27esimaora.corriere.it
Ancora una volta, la dinamica è la stessa: gli omicidi “in generale” scendono, i delitti di matrice relazionale restano una costante. Quella che l’opinione pubblica fatica a riconoscere come una vera emergenza strutturale e non come una somma di casi isolati.
Quando “la regione” conta solo donne fra le vittime
Dentro i numeri nazionali ci sono poi le fotografie locali, spesso ancora più crude. In una regione italiana, racconta una cronaca regionale, il 2024 è stato definito “un anno da incubo”: quattro omicidi e tutte le vittime sono donne, nessun uomo ucciso.
Un numero assoluto piccolo, ma dal significato devastante: lì l’omicidio non è un fenomeno “neutro”. Ha un genere preciso. E quel genere è femminile.
Che cos’è davvero il femminicidio (e perché non esiste il “maschicidio”)
Un’altra linea di frattura passa dalle parole. Lo ricorda bene chi invita a “(ri)cominciare dai termini giusti”:
non basta parlare genericamente di “omicidi”,
e non è corretto mettere sullo stesso piano femminicidi e presunti “maschicidi”.
La Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio e i gruppi di lavoro internazionali a cui partecipa Istat hanno definito femminicidio l’omicidio di una donna compiuto nell’ambito familiare o affettivo, ovvero da partner, ex partner o parenti.Istat
Non si tratta solo di “una donna uccisa”, ma di una violenza che colpisce perché è donna, dentro una relazione gerarchica, di possesso, spesso anticipata da anni di:
maltrattamenti,
minacce,
controllo ossessivo,
violenze fisiche e psicologiche.
Per questo diverse analisi sottolineano che “maschicidio” non è il contrario di femminicidio: non esiste un meccanismo speculare e strutturale di donne che uccidono uomini per riaffermare un sistema di dominio di genere.Ingenere
Parlare di “maschicidi” serve più a relativizzare il fenomeno che a descriverlo.
“Delitto passionale”, “raptus”, “tragedia della gelosia”: il problema del lessico
Scorrendo i titoli di questi giorni, si ritrovano ancora espressioni vecchie e pericolose:
“delitto passionale”,
“raptus di gelosia”,
“tragedia familiare”,
“non accettava la fine della relazione”.
Sono formule che:
spostano l’attenzione dal comportamento del colpevole a una sorta di fatalità emotiva (“raptus”),
normalizzano la violenza come se fosse una possibile conseguenza dell’amore (“delitto passionale”),
attenuano la responsabilità penale e morale dell’autore del reato.
Nello stesso flusso di notizie, il termine “delitto” viene usato anche per vendere un evento di intrattenimento: un “cenone con delitto” promozionato come gioco, proprio nel giorno in cui le istituzioni presentano i dati su omicidi reali e su donne uccise in casa. È uno stridore che racconta più di mille editoriali il cortocircuito culturale che viviamo.
I numeri oltre l’omicidio: una violenza che comincia molto prima
Gli omicidi sono solo la punta dell’iceberg. Istat ricorda che il 13,6% delle donne ha subìto violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner, pari a circa 2,8 milioni di donne.Istat
Non parliamo, quindi, di episodi rari, ma di un fenomeno esteso che assume tante forme:
violenza fisica (spinte, schiaffi, pugni, soffocamenti);
violenza sessuale, anche dentro la coppia;
violenza psicologica (insulti, umiliazioni, isolamento);
violenza economica (controllo del denaro, divieto di lavorare).
Nei primi mesi del 2024 sono state decine di migliaia le chiamate al numero antiviolenza 1522, con un trend che conferma una pressione costante sulle reti dei centri antiviolenza.Wired Italia
Ogni femminicidio è quasi sempre l’ultimo atto di una violenza che è iniziata molto prima. Se ci si ferma al conteggio delle vittime uccise, si ignora tutto il resto del percorso.
Italia “sicura”, ma la casa resta il luogo più pericoloso
Un altro dato che emerge da rapporti Istat e da analisi indipendenti è che molti omicidi, soprattutto quando le vittime sono donne, avvengono in ambito familiare. In diversi anni quasi la metà degli omicidi complessivi si consuma in famiglia, e in quel contesto la maggioranza delle vittime è di sesso femminile.Agenzia Giornalistica Italia+1
Significa che:
la violenza non è tanto il frutto della “strada pericolosa”,
ma della casa pericolosa,
della relazione che si trasforma in gabbia,
del partner che assume il ruolo di carnefice.
Per questo non basta dire che “l’Italia è uno dei Paesi più sicuri d’Europa”: lo è se guardiamo i numeri generali degli omicidi; molto meno se restringiamo lo sguardo alle donne, e ancora meno se guardiamo alle mura domestiche.
Cosa manca: risorse, formazione, tempi della giustizia
Ogni 25 novembre si ripetono gli stessi appelli. Ma quali sono, concretamente, i nodi che restano irrisolti?
Risorse ai centri antiviolenza
Molte strutture lavorano in cronica carenza di fondi, con personale precario e progetti a scadenza. Senza servizi stabili sul territorio, chiedere alle donne di denunciare significa – spesso – lasciarle sole a metà strada.Formazione di forze dell’ordine e magistratura
La valutazione del rischio, la lettura dei segnali premonitori, la gestione delle misure cautelari richiedono competenze specifiche. Un “litigio familiare” archiviato con leggerezza può essere, in realtà, l’anticamera di un omicidio.Tempi della giustizia e protezione immediata
Ordini di allontanamento, misure restrittive, braccialetti elettronici: strumenti esistono, ma spesso arrivano tardi o in modo disomogeneo sul territorio.Educazione alle relazioni e al consenso
Senza un lavoro profondo nelle scuole – sulla parità, sul rispetto, sul significato del consenso – continueremo a intervenire solo dopo, quando è già troppo tardi.
Tornare alle parole giuste, tutti i giorni
Le notizie che in questi giorni si accavallano – il rapporto Istat, le cronache locali con elenchi di donne uccise, i dati aggiornati per il 25 novembre – ci dicono una cosa semplice e scomoda:
non basta che gli omicidi calino, se non cambia la cultura che li rende possibili.
Per questo ha senso, come suggeriscono alcune riflessioni, (ri)cominciare dalle parole e dai dati:
chiamare femminicidio ciò che è femminicidio;
evitare narrazioni che trasformano l’assassino in una vittima del “raptus”;
distinguere tra la violenza strutturale contro le donne e gli altri omicidi;
ricordare che dietro ogni numero c’è una storia di richieste d’aiuto, di segnali ignorati, di porte chiuse.
Il 25 novembre rischia di diventare un rito: frasi di circostanza, panchine rosse, scarpe in piazza, qualche minuto di silenzio. I dati diffusi in queste ore ci ricordano che non possiamo permetterci di archiviarlo come un appuntamento simbolico.
Se è vero che in Italia, in termini assoluti, gli omicidi sono pochi e in calo, è altrettanto vero che per troppe donne la casa resta il luogo dove si rischia di morire.
È da qui che un Paese serio dovrebbe ripartire: non da un “delitto con cenone”, ma da una domanda scomoda e politica – nel senso più alto del termine:
che cosa siamo disposti a cambiare, ogni giorno, perché quelle 44, quelle 106, quelle 116 non siano solo cifre in un rapporto annuale, ma le ultime di un elenco che deve finire?
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