Translate

domenica 31 gennaio 2010

( aggiorn. luglio 2009 )
DALLO SCAFFALE al Web

Da quando Giustiziaoggi ha inaugurato (sett. 2006) questa rubrica, dedicata alle pubblicazioni meritevoli di segnalazione per il contenuto attinente alla vita giudiziaria, continuano a giungerci volumi freschi di stampa, con garbate richieste di recensione.
Naturalmente , la scelta operata dalla Direzione non rappresenta alcun giudizio di... valore rispetto alle opere : ed infatti l'unico criterio seguito è quello della attualità del racconto e del suo possibile interesse per il mondo forense.
Quello che segue è, dunque, un altro libro fuori dal...comune, di cui ci ha fatto omaggio l'Autore Ferdinando Terlizzi, giornalista, con alle spalle un passato di cronista giudiziario per importanti quotidiani campani e nazionali. In tale veste, negli anni a cavallo tra il 1958 ed il 1962, Terlizzi ebbe modo di interessarsi ad una torbida vicenda, che vide, quale protagonista, uno stimato professionista della provincia di Caserta, resosi responsabile di un delitto efferato, maturato nel mondo del vizio in cui l'uomo era finito quasi senza avvedersene, fino a rovinarsi moralmente ed economicamente.
La storia , raccontata - com'è nello stile del cronista di razza - con accenti di crudo verismo, corredata da immagini sconcertanti e riferimenti puntuali a pagine processuali, è destinata- ne siamo certi - a riscuotere successo entro e fuori l'ambiente della provincia in cui la vicenda, ed il processo che ne seguì, si svolsero.
Ai nostri lettori regaliamo qualche anticipazione, lasciando la curiosità di sfogliare le pagine del volume che ha spesso la cadenza degna di un triller, tratto da un episodio di vita vissuta.

Il libro esce dopo oltre quarant'anni dall'epilogo giudiziario della torbida vicenda che vide quale protagonista uno stimato medico casertano, spinto all'omicidio da una voglia di vendetta contro l'uomo che si frapponeva al coronamento di una sua impossibile storia sentimentale con una giovane donna, avida e spregiudicata, che lo aveva irretito per ragioni di interesse. La vicenda - com'è noto perchè occupò le prime pagine di tutti i maggiori quotidiani - culminò con una sentenza di condanna ad una pena, per vero, alquanto mite a fronte della crudezza del delitto e tuttavia, l'Autore, obbedendo ad un istinto di scrittore di gialli, piuttosto che alla sua vena di cronista di noire, non esita ad insinuare pesanti dubbi sui reali contorni della responsabilità dell'imputato accertata con la pronuncia della Corte di assise di S.Maria Capua Vetere, ormai definitiva.
Si tratta di dubbi che l'Autore ispira al Criminologo Carmelo Lavorino, che ha firmato una interessante prefazione di cui riportiamo, senza commenti, alcuni brani.
Mario Romano- Direttore Responsabile
"Ci sono contorni - scrive Lavorino - ancora misteriosi e interrogativi mai risolti: se l'assassino abbia agito da solo o con altri; se abbia caricato sulla propria vita l'enorme peso di responsabilità, complicità e spinte altrui per proteggere i propri complici e/o mandanti; se alle spalle delle attività ammaliatrici della bella Anna Maria Novi possa esserci qualche invisibile suggeritore, spregiudicato regista e diabolico profittatore; se le mani che hanno fracassato la testa del povero De Luca,che gli anno trafitto il cuore, che gli hanno stretto il collo col filo di ferro, siano state sempre e solo quelle di Tafuri, oppure ce ne siano anche altre!"
E, più oltre:"Tutti gli omicidi sono delle autentiche tragedie, drammi - come ha scritto Marino Niola, Docente di antropologia culturale presso l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli - che suscitano un'attenzione morbosa.(...) Ferdinando Terlizzi nel suo lavoro evidenzia proprio l'aspetto di cui parla Niola. (...) Certamente Tafuri ha nascosto i cinque grandi elementi che costituiscono , a livello criminologico e d'investigazione criminale, la struttura interna e segreta del crimine:1) il vero e totale movente dell'uccisione; 2) l'obbiettivo principale della sua morte, se solo di tipo emozionale ovvero basata su motivi economici, di gerarchie all'interno di un gruppo di pervertiti; 3) se trattasi di un contesto di omicidio di gruppo, oppure di seguito a litigio e scontro fisico, se per motivazioni che vanno oltre il sesso e e la fissazione amorosa; 4) come, quando e da chi sia stata organizzata l'azione criminosa, anche a livello logistico;5) il ruolo avuto da diversi personaggi che orbitavano tutti intorno alla pietra dello scandalo, cioè Anna Maria Novi: non proprio un convento di educande e chierichetti, dove l'assassino Tafuri era il vaso di coccio tra i vasi di ferro"
Nelle immagini tratte dal Libro: A.Tafuri, M.De Luca, A.M. Novi
CASERTA, LIBRI: CASI GIUDIZIARI E RACCONTI MALEDETTI DELLA PROVINCIA
In arrivo nelle librerie
Un sensazionale “caso“ giudiziario ed altri racconti maledetti nel libro del giornalista Terlizzi
IL LIBRO
Il giornalista Ferdinando Terlizzi ha trasfuso in questo lavoro alcune sue significative esperienze di cronista giudiziario. Dopo aver esaminato in ogni dettaglio il “Rapporto sugli Omicidi in Italia”, il libro si snoda attraverso il racconto dei quattro processi dell’omicidio di un medico sammaritano “Il delitto di un uomo normale”. Poi il cronista ha rivisitato altri omicidi, come quello della “Circe” di Mondragone, quello di un maresciallo degli agenti di custodia, del farmacista di Baia Domizia, di un sindacalista siciliano ucciso dalla mafia, di un giudice assassinato dalla brigate rosse, il suicidio di un senatore Dc. Ha rispolverato ”La rivolta del Calcio” di Caserta e i suoi processi. Il rapimento del rampollo della famiglia Coppola e, le speculazioni di Pinetamare e Baia Domizia. I retroscena di un marchese voyer, che si suicidò, dopo aver ucciso la moglie e il suo giovane amante. Le disavventure giudiziarie dei giornalisti Tortora e Jannuzzi. Simpatico un suo spaccato sui bordelli a Caserta, e la fuga di Don Raffaele Cutolo dal manicomio di Aversa. Terlizzi non risparmia di inserire esperienze personali di vita vissuta, con arresti, detenzioni, processi, fucilazioni mediatiche e persecuzioni giudiziarie.
IL FATTO
In particolare il libro tratta integralmente la vicenda del delitto del dottor Tafuri. Ecco una sintesi. Aurelio Tafuri, nel 1958, conosce Anna Maria Novi, 20 anni, bella ma “piena di passato”. Nanà aveva fatto l’entraneuse al “Trocadero”. Nel 1959 la ballerina si innamora di uno studente che faceva l’indossatore per l’Alta moda, Gianni De Luca. Questi la mette incinta e decide di sposarla nonostante l’avversione feroce della famiglia. Il medico sammaritano intanto, invaghito della Novi, continuava a sborsare fior di milioni, mantenendo un ibrido “menage a trois”, (quando non diventava un “quartetto”, per l’inserimento del primo amante, l’ingegnere e addirittura un “quintetto”, allorquando vi si inseriva il gay). Nella comitiva non mancava, infatti, Carlo D’Agostino, un sarto omosessuale che si incaricava di vendere costosi vestiti alla ballerina, (pagati dai suoi amanti occasionali), e di organizzare “spogliarelli” privati e “poker strip”, per i più intimi frequentatori della villa di Castelvolturno, di proprietà del farmacista Giovanni Tafuri, cugino del dermatologo sammaritano. Il 9 marzo del 1960 Tafuri, stanco ormai delle vessazioni a cui il giovane sottopone la sua “amata”, decide di ucciderlo. Dopo averlo attratto in un tranello, con la scusa di avergli procurato un posto di lavoro in una clinica della provincia di Caserta, lo colpisce con una sbarra alla testa. Gli conficca un punteruolo nel cuore, gli lega due mattoni ai piedi e lo scaraventa nella limacciose acque del fiume Volturno, dal Ponte della Scafa di Caiazzo. Nel carcere scrive il racconto della sua vita. Gli avvocati non riescono a farlo passare per pazzo. Rimarrà nella storia – non solo giudiziaria – il singolare consiglio dato ad un cliente che si era rivolto a lui, ed era preoccupato per la paura di essere stato contagiato da qualche virus, in seguito al rapporto che aveva avuto con un cane di grossa taglia, con il quale si era “accoppiato”. – “Fai quello che più ti piace fare… tanto il cane non ti giudica…”. – Fu un processo clamoroso, che vide alternarsi, nei quattro giudizi, avvocati di grido come Alfredo De Marsico, Errico Altavilla, Giovanni Leone, Luigi Bagnulo, Renato Cariota Ferrara, Ciro Maffuccini, Michele Verzillo, Giuseppe Marrocco, Alfonso Marftucci e Giuseppe Garofalo.
L’AUTORE
Ferdinando Terlizzi è giornalista, cronista giudiziario dal 1960. Già direttore responsabile dell’Agenzia giornalistica “Mediapress”. E’ editorialista dell’agenzia www.casertasette.it. Ha scritto articoli per: “Il Giornale del Mezzogiorno”, “Gazzetta di Caserta”, “Napoli Notte”, “Il Roma”, “Roma Sera”, “Il Tempo”, “Il Messaggero”, “Paese Sera”, “Il Mattino”, “Il Diario”, “Il Giornale di Napoli”, “CentoCittà”, “Il Corriere del Mezzogiorno”, ”Il Denaro”.- E’ stato Direttore responsabile delle Radio libere “Capys”, “Volturnia”, “Galatea”, “Mitreo”; delle tv libere: “Telecaserta”, “Canale 57”, “Teletifata”, “New Antenna Sud”. Dal 1983 al 1989 è stato responsabile dell'Ufficio Stampa della Confocooperative di Caserta. Dal 1979 e fino al 1992 è stato responsabile delle Relazioni Esterne del gruppo agro-alimentare "Unicoop". Dal 1982 al 1988 è stato ininterrottamente eletto nel consiglio direttivo dell'Associazione Stampa di Caserta. Nel 1983, da parte della Presidenza della Stampa Europea, gli è stato assegnato il premio internazionale di giornalismo "Aquila d'Oro", per una serie di reportages dall'estero. Nel 1984 ha ricevuto a Londra, dalle mani del giornalista Ruggero Orlando (mitico corrispondente Rai da New York), il titolo accademico di "Doctor in Economic and Commercial Sciences" in forza della laurea honoris causa conferitagli dall'Università americana "Pro Deo" di New York. Nel 1986 è stato nominato consigliere della Camera di Commercio di Caserta ed in tale veste ha fatto parte della redazione del periodico camerale e, successivamente, della Camera di Commercio Europea a Bruxelles. In seno alla stessa ho ricoperto l’incarico di capo ufficio stampa e direttore del periodico “Europe News”. Ha collaborato con l’editore Tullio Pironti per la pubblicazione di “Teatro di Giustizia” e “La seconda guerra napoletana alla camorra”. Dal 1992 al 1998 è stato direttore responsabile della rivista a tiratura nazionale "Detective & Crime". In tale veste, nel 1994, è stato inviato speciale presso la "World Ministerial Conference On Organized Transnational Crime", organizzata dall' Onu.(7 luglio 2006-23:38)

· Inoltre Giudiziaria· News di redazione
Articolo più letto relativo a Giudiziaria:USURA VIP A CASERTA:RESTANO IN CARCERE IL GIOIELLIERE TRONCO E GLI IMPRENDITORI
Punteggio medio: 5Voti: 2
Ti prego, aspetta un secondo e vota per questo articolo:
Pagina Stampabile Invia questo Articolo ad un Amico

www.casertasette.it
L'autore - Ferdinando Terlizzi


LIBRI E CRIMINI: IL DELITTO DI UN UOMO NORMALE

Prefazione di Carmelo Lavorino, Criminologo, Investigatore Privato (www.detcrime.com)

Ferdinando Terlizzi ci racconta un fatto di cronaca nera e il suo iter giudiziario del 1960, una storia criminale di alto effetto emotivo, drammatica e inquietante. “Non ci interessano i bei delitti, ma i “casi” i cui moventi restano misteriosi, casi che sfuggono alla psicologia tradizionale”. Un “caso”, appunto, quello descritto in questo libro, il cui vero movente resta ancora un mistero nonostante quattro processi. Un delitto cruento ed eccezionale per il comportamento criminale dell’assassino, privo di pietà e deumanizzante la vittima, con l’esecutore materiale del delitto affranto dal pentimento e schiacciato dalla volontà di espiazione dopo l’azione omicidiaria e di occultamento del cadavere.
Un caso criminale e giudiziario dai contorni ancora misteriosi, commesso in modo premeditato da un uomo buono e normale, così buono e normale che come lavoro faceva il medico in carcere e lo specialista in malattie delle pelle e veneree. Un uomo conosciuto come onesto, probo, di buona famiglia e timorato di Dio, che un giorno decide di oltrepassare il Rubicone della normalità e del confine bene-male. Oggi lo descriverebbero come “il buon vicino della porta accanto” dalla doppia vita e dalla doppia personalità, che nasconde le depravazioni e il crimine dietro la classica facciata di bigotteria e falso perbenismo, oppure, che si è scatenato dopo il classico corto circuito del “raptus” omicida. Quando il suo cervello ha fatto click!
Il medico dona la vita perché la salva, perché la tutela, perché ne cura i nemici naturali: invece nel libro di Terlizzi il medico da uomo normale si trasforma, improvvisamente, spinto da più motivi, a donatore di morte eseguendo un progetto criminoso ben definito e organizzato: attira la vittima in tranello con la scusa di avergli procurato un posto di lavoro, la invita a controllare la ruota della macchina, la colpisce con una sbarra alla testa, gli conficca il punteruolo nel cuore, poi, lo stringe al collo col filo di ferro e gli lega due mattoni ai piedi, infine lo scaraventa nelle limacciose acque del fiume Volturno, dal Ponte “Annibale”, in agro di Caizzo, nella provincia di Caserta.
La vittima è uno studente di 18 anni, Gianni De Luca, napoletano, che faceva l’indossatore per l’Alta moda. L’assassino reo confesso è “l’uomo normale” Aurelio Tafuri, 32enne di Santa Capua Vetere. Il movente è sicuramente del tipo passionale, a sfondo sessuale, di gelosia e invidia, di autotutela, punitivo e di vendetta. Ma c’è di più, c’è un “quid” misterioso e invisibile che Terlizzi insegue ed alla fine individua. Sicuramente il movente dell’omicidio è collegato al fatto che vittima ed assassino erano ambedue amanti di Anna Maria Novi, una ballerina napoletana di 22 anni, entreneuse, donna avvenente e spregiudicata, avvezza a giochi erotici, oltre che perdutamente innamorata della bella vita e dei soldi altrui, tanto che era riuscita a spillare ad Aurelio Tafuri fior di milioni. Ma ridurre il tutto al classico delitto del triangolo sessuale è riduttivo, banale ed antistorico: Terlizzi nel suo libro approfondisce anche questo aspetto.
Il movente omicidiario senza ombra di dubbio ha un’altra componente, quella del disturbo mentale, sia esso la schizofrenia incapsulata come hanno ritenuto gli psichiatri che periziarono l’imputato ed assassino reo confesso, sia un disturbo narcisistico di personalità, oppure un disturbo del tipo istrionico o del tipo borderline, o qualcos’altro. Ci sono delitti di passione e delitti di logica. Il confine che li separa è incerto. E’ quel confine che Terlizzi definisce “la frontiera invisibile”. Ma si tratta di una follia sfuggente, fredda, lucida, intelligente, organizzata e… logica, perché ogni azione e comportamento dell’assassino può avere diverse spiegazioni, non soltanto quello di un assassino compulsivo e ossessionato, ma anche quelle del killer pianificatore, dominatore che poi diviene preda di altri dominatori e delinquenti. Certamente l’assassino era capace di intendere e di volere, anche se la capacità volitiva poteva essere stata ottundata dall’odio, dal senso di morte e dalle traversie sessuali-passionali di Aurelio Tafuri; certamente l’assassino ha dimostrato le cosiddette capacità cognitive, organizzative, previsionali, decisionali ed esecutive… ma, come giustamente ipotizza l’autore, non è stata tutta farina del sacco di Tafuri. Infatti, in molti casi, le costruzioni deliranti degli assassini si reggono su un’evanescente parvenza di logica. Nel libro di Terlizzi si legge e si sospetta molto di più!
Ci sono contorni ancora misteriosi e interrogativi mai risolti: se l’assassino abbia agito da solo o con altri; se abbia caricato sulla propria vita l’enorme peso di responsabilità, complicità e spinte altrui per proteggere i propri complici e/o mandanti; se alle spalle delle attività ammaliatrici della bella Anna Maria Novi possa esserci qualche invisibile suggeritore, spregiudicato regista e diabolico profittatore; se le mani che hanno fracassato la testa del povero De Luca, che gli hanno trafitto il cuore, che gli hanno stretto il collo col filo di ferro, siano state sempre e solo quelle di Tafuri, oppure ci siano anche altre!
Come si vede l’enigma resta tuttora aperto grazie a due persone: 1) Aurelio Tafuri che si è fatto carico di espiare per tutti, come se volesse appropriarsi di tutti i messaggi d’odio pratico e simbolico scatenatisi contro il corpo della vittima fracassata al cranio, colpita al cuore, strangolata ed annegata; 2) Ferdinando Terlizzi che ha esplorato tutte le piste, ha proposto ed enunciato un’opera colossale e riproposto il problema di come siano realmente le cose: compito dello storico, del cronista giudiziario e del giornalista investigativo.
“Tutti gli omicidi sono delle autentiche tragedie. Drammi – ha scritto Marino Niola (insegna antropologia culturale all’Istituto Suor Orsola Benincasa di Napoli ) che suscitano un'attenzione morbosa. Non solo perché ci sono delle vittime ma per l’assurda efferatezza del crimine. Per il valore simbolico che certe vicende assumono nell’immaginario collettivo. Per la loro capacità di far balenare dei grumi oscuri dell’essere trasformando un episodio di cronaca nera in una cartina di tornasole che ci rivela inaspettatamente qualcosa di noi. Qualcosa che ci riguarda come individui e soprattutto come società. E’ questo lampo improvviso che fa di un semplice fatto di sangue un dramma collettivo, una rappresentazione pubblica che richiama in questione i fondamenti stessi della vita sociale. E soprattutto li investe in una luce pietosa che ce li fa vedere fino in fondo, nei loro particolari più spaventosi. Proprio quel che faceva lo spettacolo tragico nell'antica Grecia mescolando atrocità e fiction, orrore e mitologia splatter e morale per mostrare alla collettività il suo lato oscuro. In questo senso oggi l'opinione pubblica si appassiona ai grandi casi giudiziari come gli Ateniesi dell'età di Pericle si interessavano alle sanguinose vicende di Edipo, alla inesorabile crudeltà di Medea, alla interminabile catena di vendette incrociate che decima la stirpe degli Atridi. Infanticidi, parricidi, matricidi, incesti, squartamenti, stupri, cannibalismo. La mitologia antica è un catalogo completo di archetipi dell'atrocità. Soffrendo, commuovendosi, interrogandosi immedesimandosi in quelle terribili storie, i cittadini della polis cercavano un filo che li aiutasse ad orientarsi nelle tenebre dell'essere, a trovare ragioni per ciò che non ha ragione. Per liberarsi da quella quota di male che è in tutti gli uomini proiettandola sui protagonisti di quelle terribili finzioni che davano un nome e un volto a un’oscurità destinata altrimenti a restare senza nome”.
Ferdinando Terlizzi, infatti, nel suo lavoro evidenzia proprio l’aspetto di cui parla Niola … ”Questa è la storia, truce e aberrante, di un delitto che ha coinvolto uno di noi. Uno “normale”, almeno dall’apparenza, travolto, però, da una passione ignominiosa. Un professionista. Una storia nella quale l’assassino avrei potuto essere io, e finire in manette a “S. Francesco”. Oppure uno di voi, la vittima, gettata nei fondali del Volturno, con il cuore trafitto da un punteruolo, con due mattoni legati ai piedi”.
Certamente Tafuri è un assassino che nelle sue contraddizioni, menzogne, confessioni e mille verità ha nascosto i cinque grandi elementi che costituiscono - a livello criminologico e d’investigazione criminale - la struttura interna e segreta del crimine, quei cinque elementi che invece, se ben definiti e collegati, aiutano a comprendere la realtà delle cose: 1) il vero e totale movente dell’uccisione del povero Gianni De Luca, la cui morte oltre a gratificare psicologicamente Aurelio Tafuri, ha gratificato qualcun altro e sotto altri aspetti; 2) l’obbiettivo principale della sua morte, se soltanto del tipo emozionale basato su sentimenti personali, oppure per motivi economici, di gerarchie all’interno di un gruppo di pervertiti, con qualche collegamento ad attività malavitose di vario genere; 3) se trattasi di un contesto di omicidio di gruppo, oppure in seguito a litigio e scontro fisico, se per motivazioni che vanno oltre al sesso ed alla fissazione amorosa; 4) come, quando e da chi sia stato organizzata l’intera azione criminosa, anche a livello logistico; 5) il ruolo avuto da diversi personaggi della vicenda che orbitavano tutti attorno alla pietra dello scandalo (Anna Maria Novi): il sarto omosessuale Carlo D’Agostino, il primo amante fisso Egano Lambertini, l’industriale floricoltore Antonio Delle Cave, il noto Dongiovanni e cugino di Aurelio, Giovanni Tafuri: non proprio un convento di educande e chierichetti, dove l’assassino Tafuri era il vaso di coccio fra i vasi di ferro.
Ferdinando Terlizzi, nel sistemare al punto giusto i tasselli dell’intero mosaico della vicenda, si riporta agli atti del processo, all’intera documentazione storica e giornalistica, agli atti d’indagine, poi, da buon giornalista investigativo scava, ipotizza, ricerca, deduce, conclude e pone ulteriori interrogativi. Scava nei propri ricordi e nel vissuto personale, scatena un’attività di segugio e di ricostruzione degli eventi, dei sentimenti, delle emozioni, dei clamori e del sentito dire. Lo fa perché è sempre stato un giornalista “ficcanaso” e d’assalto, oltre che attento osservatore dei costumi e del divenire sociale. Lo fa perché è nato a Santa Maria Capua Vetere ed è un profondo conoscitore del territorio, dei luoghi della vicenda e delle relative problematiche processuali e criminali. Lo fa perché l’omicidio di Gianni De Luca avviene a pochi chilometri dalla sua città, perché l’assassino è di Santa Maria. Lo fa perché conosce gli uffici giudiziari di Santa Maria, i protagonisti legali, gli avvocati, gli investigatori, il tessuto sociale, culturale e giudiziario. Anzi, lui stesso è stato travolto dal “tritacarne” della giustizia, per vicende che lo hanno visto arrestato, processato e poi assolto!
Addirittura Terlizzi conosceva l’assassino, il fratello Mario, la madre, il padre, il farmacista Manlio Tafuri. Terlizzi ricorda che quando era giovinetto andava a trovare il proprio padre Raffaele, noto come “Don Raffaele”, proprietario di un negozio di riparazioni radio e televisioni, un negozio che era situato quasi vicino alla farmacia di Don Manlio Tafuri, padre di Aurelio, il futuro protagonista del suo libro. Quelle volte che gli sguardi di Tafuri e Terlizzi si sono incrociati, mai poteva esserci il minimo sospetto da parte di entrambi di essere il primo il futuro protagonista di un crimine e di questo libro, il secondo l’acuto affabulatore e critico della storia criminale dell’altro.
Quattro sono gli aspetti dell’opera di Terlizzi che mi piace sottolineare: 1) l’abnormità della normalità e la logica illogicità del vissuto e della storia; 2) gli aspetti criminologici e giudiziari affrontati da Terlizzi in chiave moderna nonostante sia una storia di circa mezzo secolo fa; 3) il fatto che se all’epoca fossero esistite le indagini difensive e un processo moderno, molto probabilmente sarebbero venuti allo scoperto gli eventuali mandanti e fiancheggiatori del capro espiatorio Aurelio Tafuri; 4) la figura, il comportamento e la personalità di Tafuri.
Primo aspetto. Nel crimine tutto è normale se si parte dal presupposto che siamo fuori dalla normalità, che sono state oltrepassate le soglie della morale comune, delle regole, del vivere sociale, del confine bene-male, delle norme giuridiche. Nella normalità c’è una logica, ma tutto trova una spiegazione logica anche fuori la normalità, nel campo della follia, della violenza, dell’aggressività, dell’omicidio, delle perversioni sessuali e del comportamento criminale: il criminale quando ha deciso di uccidere si organizza, vive, respira e fantastica solo per l’esecuzione del progetto di morte. La criminologia omicidiaria è la scienza che studia la codificazione, la disciplina e la classificazione del più grave delitto dell’uomo contro l’uomo per individuare il colpevole. Per fare questo normalizza, congela, disgela, seziona, analizza, e poi classifica, crea categorie, collegamenti. Laddove Terlizzi ci pone per titolo un paradosso, cioè, “Il delitto di un uomo normale”, ci ricorda che il crimine è la regola del comportamento umano, e che il buon comportamento invece rappresenta l’eccezione che domina istinti, passione e pulsioni distruttive; Terlizzi ci ricorda che quando si perdono i freni inibitori, il controllo degli impulsi, il senso della misura dei comportamenti, l’essere umano “normalmente” può commettere atti fuori dalle norme giuridiche, etiche e morali, sino ad arrivare all’omicidio. Anche Lucio Dalla nella sua canzone “Disperato erotico stoung” ci racconta e ci canta “normalmente ho incontrato una puttana … ottimista e di sinistra”, laddove di normale non c’è nulla, tranne che la povertà e il sesso mercenario.
Secondo aspetto. Terlizzi, vecchia volpe del giornalismo investigativo e studioso della criminologia investigativa, interpreta il delitto di 50 anni fa sotto gli aspetti che noi oggi chiamiamo “indicatori del crimine”. Ecco che l’accanimento dell’assassino sulla vittima, prima colpi fracassanti di sbarra alla testa, poi colpi di certezza omicida inferti tramite un punteruolo sino alla cinzione con il filo di ferro, divengono “over killing”, cioè, oltre la morte. Un tipo speciale di accanimento verso la vittima con l’intima speranza della distruzione totale, della non resurrezione. C’è un “ma”! Perché Tafuri non ha inferto alcuni colpi di odio e di disprezzo verso i genitali del suo “concorrente”? Perché non ne ha vilipeso il cadavere? I colpi alla testa con la sbarra li ha veramente inferti lui? Non è che ci sono stati due colpitori, uno per la testa (aggressione proditoria con abilità e coraggio delinquenziali) e l’altro per il cuore (aggressione scientifica)? Altro indicatore del crimine è la firma dell’assassino nei confronti della vittima: annichilimento, cancellazione e distruzione totali … salvo poi fare i conti con la propria coscienza, confessare ed espiare.
Terzo aspetto. Terlizzi mette il dito sulla piaga mostrandoci il bicchiere mezzo pieno, pieno dell’oratoria dei dodici difensori dell’imputato e della parte offesa. Ma mezzo vuoto perché privo delle indagini difensive che, bene o male, di dritto o di rovescio, le parti potevano ben fare visto che non le fecero gli inquirenti. Su questo preferisco stendere un velo pietoso perché sono stato contrario, ancora prima di nascere, agli avvocati che basavano tutto sulla famosa arringa fiume, saccente e totalizzante, dimenticando il fatto e le sue componenti logiche e investigative.
Quarto aspetto. Tafuri è il protagonista nel bene e nel male del libro di Terlizzi e della vicenda giudiziaria. È stato ed è oggetto di studio e di discussione per le modalità preparatorie, esecutive e post crimine dell’omicidio, per i contorni criminali e per l’humus di perversioni, reati e deviazioni che lo hanno cullato, prodotto e fagocitato. Dalle indagini è emerso che Tafuri non penetrava sessualmente Anna Maria Novi, non certamente per impotenza erigendi o coeundi, ma solo perché amava masturbarsi, ammirare la sua amata, eccitarsi guardandola e guardando le sue performances sessuali con altri uomini. Tafuri era sicuramente affetto da voyeurismo, una parafilia che nel suo caso era strumentalmente speculare alle perversioni altrui di essere guardati mentre si esibivano sessualmente.
Tafuri sicuramente si era invaghito di una donna “dai facili costumi” che in tutto poteva eccellere, tranne che in fedeltà ed attaccamento ai valori etici e sociali cui egli era stato allevato. Tafuri è stato periziato, sezionato e rivoltato: il lettore seguendo il cammino proposto nel libro potrà comprendere lentamente, coordinando le emergenze processuali e scientifiche con le considerazioni di Terlizzi, la personalità di Tafuri, potrà comprendere che realmente l’uomo vive sospeso su un abisso chiamato “altissima probabilità di ammazzare un altro essere umano”, basta che se ne presentino la circostanza e la motivazione pulsionale.
Il libro di Terlizzi è sicuramente uno strumento di studio, di riflessione e di insegnamento per i giovani e per i meno giovani. Propone un caso di omicidio che si presenta immediatamente per quello che appare (violenza gratuita, slatentizzazione dell’aggressività maligna e distruttiva, sesso, soldi, depravazioni e perversioni, imbrogli, millanterie, passioni umane, il solito triangolo che poi aumenta di lati, sino a divenire un pentagono), per poi aprire la seconda porta, quelle delle verità nascoste, delle vicende processuali, della scienza che investiga, che spiega, che pone quesiti.
Quello che è accaduto a Terlizzi è un classico. Dopo anni di articoli dimenticati (gli articoli esistono per essere dimenticati, tanto che Dostoevskij è rimasto per “I fratelli Karamazov”, non per gli articoli pubblicati su “Epocha” o “Vremja”), il giornalista diventa scrittore e sforna il suo libro con la speranza che almeno quello resti. L’Autore vuole “lasciare” una tangibile testimonianza con la sua “opera”, vuole, che il suo lavoro serva ad istruire i giovani e principalmente a trarre dal succo una morale di vita. Tanto è vero che Terlizzi ad un certo punto chiosa: “Ritengo doverosa questa pubblicazione, non fosse altro che per lasciare ai giovani uno strumento di studio, di riflessione, di insegnamento. Per trarre, se possibile, dall’intera vicenda, una morale di vita”.
Molti scrittori però si limitano a raccontare la superficialità delle cose, a non approfondire, a non appesantire con le documentazioni processuali. Terlizzi invece va oltre le apparenze di comodo, va a sbucciare le bucce mai sbucciate, perché ha voluto imparare dalla vita ed ha voluto anche ricordarci una preziosa verità e famosa massima di Socrate: “Io so di non sapere”.
Carmelo Lavorino
Criminologo e Investigatore criminale
www.detcrime.com
Giovanna Canzano intervista FERDINANDO TERLIZZI
Giovanna Canzano on 19 Novembre, 2008 00:52:00 1125 numero letture
Dimensione caratteri
Nessuna novita' per questo articolo



ROBERTO SAVIANO – LA MAFIA – LA CAMORRA – LA NDRANGHETA



---“La mafia, la camorra, la ndrangheta, non avvisa uccide e basta.Hai mai visto scrittori e giornalisti che vanno nella terra di camorra a provocare?Non l’ha fatto neppure Gio’ Marrazzo negli anni Ottantaquando ha scritto un libro su Raffaele Cutolo”… (Ferdinando Terlizzi)
IL GIORNALISTA FERDINANDO TERLIZZI CHE SI OCCUPA DI CRONACA GIUDIZIARIA DA OLTRE 40 ANNI NELLA TERRA DEL CLAN DEI CASALESI - CONSIDERA SAVIANO UN BUFFONE E UN PROVOCATORE E CONFUTA LE TESI SULLE MINACCE AI CRONISTI GIUDIZIARI –
CANZANO 1- Cosa ne pensi dello scrittore Roberto Saviano?
TERLIZZI - Saviano è un buffone. Un provocatore, un pusillanime. Un cronista, un giornalista, uno scrittore non va nella terra dei protagonisti del suo libro ad offenderli, a sfidarli, a provocarli. Saviano è andato egli stesso al di là della cronaca. Andare nella villa del boss (confiscata) attorniato da poliziotti e carabinieri non significa avere coraggio o essere qualcuno. Saviano non è nessuno. Salire sul palco, assieme ai politici, arringare la folla, chiamare per none i latitanti e dire: Tu Zagaria, tu Jovine ve ne dovete andare da questa terra”… significa non avere la misura delle cose. Nel corso del Festival della cultura ha offeso gli avvocati e figli di questi ultimi. E’ andato nell’aula bunker di Poggioreale a presenziare alla lettura della sentenza di appello di Spartacus (a che titolo?) pavoneggiandosi e poi si lamenta di qualche minaccia (non esiste prova alcuna). E’ solamente un pallone gonfiato.
CANZANO 2- Non sapevo che Saviano fosse giunto a questi tipi di provocazione e che altro puoi dire?
TERLIZZI - La mafia, la camorra, la ndrangheta, non avvisa uccide e basta. Hai mai visto scrittori e giornalisti che vanno nella terra di camorra a provocare? Non l’ha fatto neppure Gio’ Marrazzo negli anni Ottanta quando ha scritto un libro su Raffaele Cutolo “Il Camorrista”. Nanni Balestrini, che ha scritto un libro su Francesco Schiavone detto Sandokan, non conosce neppure sulla carta la nostra provincia. Gigi Di Fiore, inviato de Il Mattino, che ha scritto L’Impero dei Casalesi è andato forse a S. Cipriano o Villa Literno o Casal di Principe non dico a provocare ma neppure a presentare il suo libro. Raffaele Sardo, giornalista di Repubblica autore di uno spaccato sulla camorra locale (La Bestia) è di Aversa, ma non si è azzardato a fare quello che ha fatto quel buffone e parolaio di Saviano.
CANZANO 3- Ma questo Saviano oggi vive blindato è stato o no minacciato? Sono stati minacciati magistrati e giornalisti?
TERLIZZI - Sono balle. Il fatto è che non si vuole riconoscere la realtà dei fatti. Io penso che un giornalista venga minacciato quando travalica il suo compito, quando vuole fare l’investigatore, vuole attribuire ruoli e fatti a cosche avversarie e contrapposte, pubblica in anteprima il pentimento di un camorrista, vanificando il lavoro dei magistrati e mettendo in pericolo i familiari del pentito. Queste sono tutte cose che non spettano al giornalista bensì agli inquirenti. Vuoi un’altra prova del fatto che molte minacce sono inventate? Ascolta. Nel corso dell’istruttoria dibattimentale del processo di appello Spartacus (un maxiprocesso come quello di Palermo alla mafia siciliana) l’avvocato di alcuni imputati Michele Santonastaso ha letto un lungo documento in aula con il quale chiedeva il trasferimento ad altro giudice del processo a causa del clima “sfavorevole” che si era creato intorno alle gesta del clan addossando per questo la colpa ai giornali locali. Un documento di 56 cartelle che io custodisco gelosamente. Non c’è un rigo o una parola di minaccia nei confronti di Roberto Saviano, Rosaria Capacchione (giornalista de Il Mattino autrice de L’Oro della Camorra, libro che domenica 16 novembre era nella classifica del Corriere della Sera al 17° posto nella saggistica) e del magistrato Raffaele Cantone (attualmente al Massimario della Cassazione ed ex piemme della DdA, autore del libro Solo per giustizia che occupava nella stessa classifica della Capacchione il 2° posto). L’avvocato Santonastaso ha stigmatizzato l’uso indiscriminato dei pentiti da parte di molti piemme ed ha evidenziato che sia la Capacchione che il Saviano “erano da ritenersi giornalisti prezzolati”. Di minacce di morte nei confronti dei tre neppure l’ombra. Eppure tutti i giornali nel riportare l’accaduto hanno espressamente parlato di minacce ai tre. Un falso giornalistico, come tanti altri.
CANZANO 4- E il libro di Saviano tu l’hai letto?
TERLIZZI - Saviano – come un poco tutti – predica bene e razzola male. Ha sparato sentenze dalle colonne dell’Espresso contro il malcostume della Campania, contro le speculazioni sulla monnezza, sulle gesta dei clan. Ma non ha detto che il padre come medico è sotto processo per truffa al Servizio Nazionale Sanitario. Faceva fatture false per gonfiare le prestazioni mediche. Il suo libro? Frutto di scopiazzature dalle cronache dei giornali di Napoli e Caserta (la Mandadori nelle varie edizioni è stata costretta a rettificare molti capitoli) ad oggi pare siano moltissime le querele (compreso quella di Raffaele Cutolo al quale ha attribuito di essere il mandante di un delitto contro la figlia di un magistrato, laddove Cutolo, per questa vicenda, non è stato neppure incriminato). Ha omesso, per esempio, di riportare nei suoi resoconti che sotto un manifesto che inneggiava “Io sono amico di Saviano” qualcuno ha vergato “frocio”. Il suo libro non è altro che la copiatura del lavoro di alcuni magistrati (Cafiero De Rhao, Raffello Magi, Catello Marano) che si sono fatti un “mazzo così” prima per l’indagine e poi per il processo. Per avere una idea precisa basta leggere il libro “Questa Corte Condanna”, dove emerge un lavoro improbo con centinaia di udienze, migliaia di pagine e la condanna all’ergastolo del ghota del clan dei Casalesi.
CANZANO 5- Qualcuno ha parlato di Nobel a Saviano che ne pensi?
TERLIZZI - Il Nobel della pace non si può dare a chi provoca guerra. Né si può dare un Nobel della letteratura ad un poppante scribacchino che ha arraffato ciarpame dalle cronache dei giornali locali per farne un libro. Siamo seri. Basta citare la frase di uno dei magistrati che ho sopra citato per avere l’idea delle scopiazzature di Saviano: “Non credevo che quello che io ho scritto negli atti giudiziari fosse così importante per il pubblico”. E difatti Leonardo Sciascia diceva che la cronaca giudiziaria è una materia saggistica che si presta alla narrativa.

NOTA BIBLIOGRAFICA
Direttore responsabile della radio libera “Teleradio Volturnia” a Santa Maria Capua Vetere (provincia di Caserta) Ferdinando Terlizzi è stato il mio direttore quando muovevo i primi passi nel mondo del giornalismo. Oltre ad essere cronista giudiziario del quotidiano “IL ROMA”, aveva fondato una rivista locale “CRONACHE”, sulla quale io ho scritto alcuni articoli. Sono trascorsi molti anni e poi ho “rivisto” Terlizzi sul “Web” (dopo 20 anni e più) è infatti anche direttore del quotidiano on-line “casertasette.com”.
Ferdinando Terlizzi è nato nel 1937 a Santa Maria C.V. (Caserta), è specializzato in cronaca giudiziaria. E’ direttore responsabile dell’Agenzia ”Mediapress”. Ha scritto articoli tra l’altro per: “Gazzetta di Caserta”, “Napoli Notte”, “Il Roma”, “Il Roma Sera”, “Il Tempo”, “Il Messaggero”, “Paese Sera”, “Il Diario”, “Il Mattino”, “Il Giornale di Napoli”, “CentoCitta’”, “Il Denaro”, “ Il Corriere del Mezzogiorno”, il dorso campano del “Corriere della Sera”.
E’ stato Direttore responsabile di radio e tv libere. Dal 1982 al 1988 è stato ininterrottamente eletto nel consiglio direttivo dell'Associazione della Stampa di Caserta. Nel 1998 è stato accusato da un pentito (Pasquale Pirolo, braccio destro di Bardellino) contro il quale aveva scritto articoli e dopo essere stato arrestato e tradotto nel carcere di Poggioreale (nella sua cella c’era Ciro Formicola, boss di S. Giovanni a Teduccio, condannato a vari ergastoli) è stato poi in sede di giudizio completamente scagionato e assolto con la più ampia formula.
A dicembre la casa editrice “Il Filo” pubblicherà un suo libro “Il delitto di un uomo normale”, una vicenda boccaccesca che sconvolse le coscienze bigotte della società degli anni Sessanta. Quale direttore della rivista “Detective&Crime” – edita dal criminologo Carmelo Lavorino, ha fatto parte del pool che ha scagionato Pietro Pacciani, il presunto mostro di Firenze -“La camorra non minaccia, uccide come nel caso di Giancarlo Siani” dice Terlizzi e smentisce le presunte minacce ai cronisti giudiziari di Caserta.
Nel 1983, da parte della Presidenza della Stampa Europea, gli è stato assegnato il premio internazionale di giornalismo "Aquila d'Oro", per una serie di reportage dall'estero. Nel 1984 ha ricevuto a Londra, dalle mani del giornalista Ruggero Orlando (mitico corrispondente Rai da New York) la laurea honoris causa conferitagli dall'Università americana "Pro Deo" di New York.
Nel 1994 è stato inviato speciale presso la "World Ministerial Conference On Organized Transnational Crime", organizzata dall'Onu. A novembre 2006, la trasmissione “Matrix” di Canale 5, ha riproposto un suo servizio tv degli anni 80, su di un duplice omicidio di camorra in Terra di Lavoro. Per conto dell’editore Tullio Pironti, ha curato la pubblicazione dei volumi “La seconda guerra napoletana alla camorra” e “Teatro di Giustizia” scritti dal penalista sammaritano Giuseppe Garofalo.
giovanna.canzano@email.it
2
CARCERE EINFAMITA’




Seguite questa poesia di Salvatore Di Giacomo per avere una precisa idea:
Nella poesia a S. Francisco, Salvatore Di Giacomo narra una vicenda di sangue. Un uomo entra in carcere dopo aver ucciso la moglie e nel carcere uccide l’amante di lei. Di Giacomo prende lo spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto a S. Francisco nel vecchio carcere della Vicaria di Napoli. Il silenzio tragico che precede l’uccisione è suggerito in un canto lugubre e tuttavia solare; ed è annunziato dagli sguardi perduti di un giovinetto prigioniero i cui occhi sono ammaliati di flussione: ”mariuolo a dudece anne, ò cchiù guaglione vutava atturno ll’uocchie afflussiunate”.

I

-Vuie ccà!... Vuie, don Giuvà!... Ccà dinto?!...- E’ visto?!
So benuto ‘int’ ‘a cummertazione.
-…Sango?... -Embè… sango. Mme so fatto nzisto…
- E tu? -Cuntrammenzione àmmunizione.

Sunàino è nove. Na lanterna a scisto
Sagliette cielo, mmiez’ ò cammarone:
lucette nfaccia ò muro Giesucristo
ncroce, pittato pe devuzione.

S’aizàino à quatto o cinche carcerate…
- E cchesta è n’ata notte! – uno dicette –
- Mannaggia chillo Dio ca nce ha criate! –

E ghiastemmanno se spugliaie. Trasette
nu secondino. Nfaccia è fferriate
sunaie: sbattette à porta e se ne iette.

II

-E mo?... – Mò? Nn’ ò bberite? Ce cuccammo.
-Tenite suonno? – Poco, à verità…
- Nun ve cuccate?... – No. Veglio. – E vigliammo…
-Ve faccio cunpagnia, mastu Giuvà.
- E ‘o carceriero? – E’ amico. – E… si parlammo?
- Si ce sente? E che fa? Che ce po fa?
Basta, p’ogni chi sa, mo nce ò chiammammo,
- Ò mmuccammo na lire e se ne va.
- Questa è à muneta. – Senza comprimente
à cacciasse semp’io… Ma ccà, ò ssapite,
- parlanno cu rispetto è chi me sente,
- so zuzzuse, è renare so puibbrite,
- e fossero è renare sulamente…
- Zì… sta passanno ‘on Peppe… ‘On Pè!... Sentite!...

III

- Ce sta st’ amico mio.. - Bè?... - Mo è trasuto..
- Bè?... - Suonno nun ne tene…- E c’aggia fa?
- Si premettete… rummane vestuto…
veglia... - C’ha dda viglià! S’ ha dda cuccà!
- “L’amico… mo è trasuto … mo è benuto…”
- Ma che m’ammacche? A chi vuò fà ncuità?
Addò se crere è stà? Ccà è dditinuto:
nun pozzo fà particularità…

- Ce steva na liretta… - Comm’è è ditto?
- Aggio ditto ce steva na liretta…
-V’à proio?... Fatte cchiù ccà…Parla cchiù zitto.

- E’ de carta?... - Gnernò, so’ sòrde.. - E aspetta…
Pàssele chiano chiano…aspè… Che faie?
Va quacche sòrdo nterra e tu mme nguaie!... -

IV

Pe nu minuto, dint’ ò cammarone,
nun se pepetiaie. Stracque, menate,
chisto ‘a ccà, chillo ‘a llà, ncopp’ ò paglione
steveno à na dicina ‘e carcerate.

Duie runfaveno già, vestute e bbuone,
e, mmiez’ a ll’ ate addurmute o scetate,
mariuolo a dudece anne, ò cchiù guaglione
vutava attuorno ll’ uocchie afflussiunate.

E ò cammarone se nfucava. ‘O scisto
feteva: ‘a cazettella ca felava
affummecava ‘e trave rusecate.

Ll’ombra d’ à funa nfaccia ò Giesucristo
tremmava, lenta: e ll’aria s’abbanbava
‘e ll’afa ‘e tutte st’ uommene e sti sciate…

V
- Dunque - dicette ‘o sì Giuvanno Accietto,
assettato cu Tore “Nfamità”
ncopp’ a nu scannetiello appede ‘o lietto -
dunque, aggio fatto ‘o guaio: nun c’è che fa!...

‘A n’ anno nun truvavo cchiù arricietto!
Patevo a n’anno! E…’o bbì… Mo stonco ccà…
Se fotte! ‘O core mm’ ’o diceva mpietto
Ca nu iuorno perdevo ‘a libbertà!...

Fa ò ualantomo, tratta buono ‘a gente …
Quante cchiù meglio ‘a tratte e cchiù lle faie,
cchiù nn’aie cate ‘e veleno e trarimente!

Riebbete, figlie, malatie: so’ guaie,
ma nun pogneno…’E ccorna so’ pugnente!...
To’! … Curtellate sì, ma corne maie !...

VI

- Ma… che bulite dì?... – dicette Tore –
- Io… nn’arrivo a capì … Ronna Ndriana?!...
- Leve stu donna, famme stu favore!
Chiamamela a nomme... Schiofosa, puttana!...

…Ll’ aggio accisa! - ‘On Giuvà!... - Sì!... Pe ll’onore.
- Ndriana!... Accisa!... E… quanno?... -‘A na semmana.
Mme scurnacchiava cu nu mio signore,
e io ll’aggio accisa! Sì! Comm’ a na cana!...

…Siente… E pecchè te scuoste? - Io?... Nun… me scosto…
- E pecchè te sì fatto mpont’ ’o scanno?...
- Io?...No… - Fatte cchiù ccà … - Sto ccà.. Mm’accosto…

-Tu siente ?... Siente… Mme ingannava!.. ‘A n’anno!
E… saie cu chì? - Cu… chi?... - Mo nn’ ‘o ssaie cchiù?...
St’amico…nun ‘o saie ?... - Chi?... - Chi?... Si tu!...-

VII

Lucette ‘acciaro ‘e nu curtiello. ‘O scanno
s’avutaie, s’abbuccaie. Tore cadette
e chill’ato ‘o fuie ncuollo. - E nanno, è n’anno
ca te ievo truvanno! lle dicette.

- Mamma r’ ’a Sanità!... Chiste che fanno!...
strellaie nu carcerato. E se susette
mmiez’ ‘o lietto, e guardaie…Nterra, ‘on Giuvanno
ncasava a “Nfamità”…Tre botte ‘o dette,

tutte e tre mpietto … E s’aizàie. Pareva
nu cadavere. ‘O sango ll’era sciso
p’ ‘a mano dint’ ‘a maneca e scorreva …

- Chiammate ‘on Peppe!... Ccà ce sta n’amico
- Ca… mme vuleva bene!... E io ll’ aggio acciso!
Mm’ è ccustato na lira… ‘A benerico!






“Nel carcere non si paga una volta per tutte. Si paga ogni giorno un poco, in un lento, lacerante rendimento di conti, che si chiama espiazione. Diversa dall’espiazione che gli altri possono infliggere, comunque eludibile se non altro anche nel fondo di un carcere, anche contro il muro d’esecuzione, per un intimo protervo rifiuto. L’espiazione che noi infliggiamo a noi stessi ( in noi stessi ) non si elude. Implacabile essa insedia su noi un tribunale d’ombre. Dal passato queste ombre si levano su noi, togate”. Questo ha detto Giuseppe Bottaio nel suo “Diario”. In una lettera dal carcere, per rendere l’idea della condizione disumana a cui può ridurre la prigionia, trasformando completamente gli individui, Antonio Gramsci ricorre all’esempio dei naufraghi su una zattera, che la fame può far diventare cannibali.

Come accennato, il primo impatto, per me, fu terribile. Fui piazzato al Padiglione “Genova”, in una cella con due stranieri. La cella puzzava... ma anche loro. Come non sono morto è difficile spiegarlo. Entrambi fumavano come turchi. Il cubano mi raccontò che era stato fermato da una pattuglia della finanza, al porto, e che assieme alla droga gli avevano sequestrato 50 mila dollari che però dal verbale in suo possesso ne risultavano solo ... cinquemila! Spiegai ai due che quello era quasi normale... in Italia, perchè tutti i gendarmi, ed i finanzieri in particolare, erano adusi ( quasi costretti) a rubare, per arrotondare il loro magro stipendio.

Trascorsi la prima notte, ma non riuscii a chiudere occhio. La prima mattina - io non lo sapevo - bevvi una brodaglia - che seppi successivamente era caffellatte con un sedativo, “bromuro di potassio”. Poi dopo qualche giorno, si liberò un posto nella cella di due italiani, e poichè esiste una disposizione che stabilisce che - possibilmente - si debbono mettere insieme detenuti della stessa lingua, religione, etnia, etc. etc. fui spostato, sullo stesso piano in altra cella. Fu la mia fortuna.


E meno male che esiste la “solidarietà” tra detenuti. Una solidarietà “senza interessi”, schietta, franca, leale; uguale a quella tacita che spesso sorge tra gli automobilisti, allorquando si segnalano a vicenda – con il gioco dei fari – la presenza dei ladri autorizzati dell’autovelox: quelle pattuglie di vigili, poliziotti o carabinieri che si nascondono dietro i cespugli per sferrare proditoriamente un agguato all’ignaro automobilista. La solidarietà dei compagni di cella è tutto, spesso ti salva la vita.




( In galera, in galera – 2 continua )

giovedì 28 gennaio 2010

UNA VITA DA KRIMINALE.



martedì 26 gennaio 2010

Il giornalista Ferdinando Terlizzi, direttore di "DETECTIVE E CRIME ", alla sala stampa estera
di Roma in occasione della liberazione di Pietro Pacciani , il mostro di Firenze.