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giovedì 29 dicembre 2011


La Cassazione condanna Pasquale Clemente, ma afferma che a certe condizioni il politico può essere definito 'parassita'. Ok, da domani ci divertiamo.

La Suprema Corte ha reso note le motivazioni della condanna inflitta al direttore della Gazzetta di Caserta, ma esprime una posizione importantissima a tutela della libertà di stampa e di pensiero.

NELLA FOTO, DA SINISTRA, PASQUALE CLEMENTE E GENNARO CORONELLA
CASERTA - La quinta nsezione penale della corte di cazzione ha reso note, oggi, le motivazioni della sentenza di condanna a carico dell’ex direttore della Gazzetta di Caserta, Pasquale Clemente. Ma la sorpresa è rappresentata dal fatto che Pasquale Clemente è condannato, non perchè ha definito “parassiti” Mario Landolfi e Gennaro Coronella, ma perchè non ha posto a supporto di questa sua affermazione, argomenti concreti e soprattutto omogenei.
Dunque, a certe condizioni, un giornalsta, ma anche un privato cittadino, può definire i politici parassiti, o attribuire loro delle qualificazioni affini.
Quello che conta, non è l’aggettivo, ma l’argomentazione.

E questo, a noi di Casertace, non può farci che piacere.

PER GLI AMANTI DEL GENERE, QUESTO IL TESTO DELL’AGENZIA CHE RIASSUME LE MOTIVAZIONI IMPORTANTI E, PER CERTI VERSI, RIVOLUZIONAIE, DELLA DECIZIONE DEI GIUDICI DELLA SUPREMA CORTE.
Si puo' dare del 'parassita' ad un politico, a patto che l'espressione "rientri in un percorso argomentativo e come corollario di un ragionamento". A sdoganare, a precise condizioni, l'iperbole, e' la Cassazione che, riconoscendo che "un uomo politico e' piu' esposto del comune cittadino alle critiche e ai giudizi dell'opinione pubblica in ragione del mandato rappresentativo che ha ricevuto e della necessita' di rendere conto del suo operato", spiega che e' possibile "giustificare come espressione di 'folclore giornalistico' l'attribuzione del termine 'parassita' a uomini politici". L'importante, per non offendere la reputazione dei diretti interessati, e' che l'espressione iperbolica venga motivata con una serie di ragionamenti. Nel caso in questione, la Quinta sezione penale ha ritenuto che l'espressione incriminata non ha rispettato i termini che consentirebbero la tolleranza e cosi', al di la' dell'intervenuta prescrizione del reato di diffamazione, e' stata ribadita la responsabilita' ai fini risarcitori di Pasquale C. colpevole di avere offeso la reputazione dei parlamentari, Gennaro Coronella e Mario Landolfi, definiti parassiti sulla 'Gazzetta di Caserta' in quanto ritenuti responsabili del degrado sociale e della mancanza di lavoro nella provincia diCaserta.
Per il futuro, la Cassazione - sentenza 48553 - spiega che "sarebbe stato possibile giustificare come espressione di 'folclore giornalistico' l'attribuzione del termine parassita a uomini politici che, ben remunerati, siano (o appaiano all'autore dell'articolo) come percettori di un compenso immeritato, in quanto sproporzionato (per eccesso) all'impegno profuso e ai risultati ottenuti, ma tali severi giudizi avrebbero dovuto essere espressi all'interno di un percorso argomentativo e come corollario di un ragionamento che, viceversa, nel caso in esame manca del tutto". Ecco perche' la Suprema Corte spiega che legittimamente la Corte d'appello di Salerno, il 22 marzo 2010, ha ravvisato gli estremi della diffamazione in quanto Pasquale C. "ha posto in collegamento fatti e circostanze del tutto eterogenei, senza spiegare perche' Coronella e Landolfi siano chiamati in causa dai tragici episodi con la cui descrizione si apre l'articolo e senza chiarire quali siano le loro responsabilita' (politiche, morali o di qualsiasi natura) per il degrado del Meridione e per il dilagare del potere della camorra a Caserta"


dal blog di Gianluigi Guarino - Casertacenet

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