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lunedì 26 dicembre 2011


Altri particolari sull’ordinanza Misure di Prevenzione del  Tribunale

Oltre al sequestro dei beni richiesta dalla DdA anche la  sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno contro Pasquale Pirolo – Ricostruita dal Presidente Lello Magi la carriera criminale da Bardellino a Zagaria –

Coinvolti   nel traffico internazionale di droga i casertani: Giuseppe Borsi, Guido Marino., Rosario Rondinone e Emilio Boccolato -



     S. Maria C.V.  ( di Ferdinando Terlizzi ) Si sono appresi altri particolari della ordinanza,  emessa  l’altro giorno  dalla 2° Sezione del Tribunale di S. Maria C.V. Collegio D ( Presidente Raffaello Magi, giudici Paola Lombardi e Roberta Attena )  nei confronti di Pasquale Pirolo, Nicola Capaldo, Giuseppe Nocera e Michele Santonastaso.  La Sezione Misure di Prevenzione, infatti, oltre ad aver ordinato il sequestro dei beni ritenuti di provenienza sospetta, illegale o mafiosa, su precise direttive della Questura di Caserta e della Sezione  DdA di Napoli,  ha richiesto di sottoporre anche al gravissimo provvedimento della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno contro Pasquale Pirolo.
     Nelle 77 pagine della dettagliata ordinanza,  il magistrato estensore Lello Magi,  ha tracciato il profilo criminale del Pirolo,  evidenziando il suo ruolo di “general manager” di Cosa Nostra,  partendo dal suo arresto con  Antonio Bardellino in Spagna, fino alla recente cattura di Michele Zagaria. Un anello di congiunzione passato attraverso una serie impressionante di reati,  in particolare,  con il traffico internazionale di droga,  che cha visto coinvolti e condannati due casertani. 
       “Vale la pena di ricordare – scrive il Presidente Magi nella ordinanza – “che Antonio  Bardellino riuscì ad ottenere la libertà durante la procedura estradizìonale dopo il suo arresto avvenuto a Barcellona il 2 novembre del 1983. La condotta in questione, che contribuì non poco ad elevare il suo ‘prestigio’ delinquenziale, gli consentì di restare latitante sino ai fatti del .maggio 1988. Diversamente, la persona  arrestata con lui in Spagna Pasquale Pìrolo venne estradata ed iniziò nel novembre del 1984 un percorso di apparente collaborazione con l’autorità giudiziaria (dichiarazioni rese al P.M. dott. Vincenzo Scolastico), poi sostanzialmente interrotto”.   
     “Pasquale Pirolo – continua l’ordinanza -  “è stato per lunghi anni l’alter ego dì Antonio Bardellino nel delìcato settore degli investimenti economici ed ha maturato, pertanto, una innegabile e solida esperienza circa le modalità dì investimento e successivo occultamento dei profitti illeciti derivanti dai più svariati reati,
Risulta condannato in via definitiva per 416 bis nella prima sentenza “Bardellìno”, quella emessa ìl 29 aprile deI 1986,  da Tribunale di S. Maria C.V.”.
     “La sua storia - personale e giudìziaria - è davvero singolare e consente di operare più di una riflessione circa gli schemi “tradizionali” del giudizio penale - a volte insufficienti a fare  emergere i tratti caratterizzanti di un soggetto perché ancorati ai confini temporali e logico-espressivi di un capo di imputazione - schemi non trasportabili per le considerazioni fatte all’inizio, nel procedimento di prevenzione che ha confini indubbiamente più elastici e consente di “mettere insieme” più accadimenti”.
     “Costui, infatti, venne tratto in arresto a Barcellona nei novembre dcl 1983 mentre portava una consistente “provvista economica” all’allora latitante Antonio Bardellino  ed una volta estradato dalla Spagna nel 1984 apre una evidente “trattativa dichiarativa” con l’autorità giudiziaria italiana  all’epoca procedente.  Si tratta, come emerge da taluni passi della decisione di primo grado del processo Spartacus 1, che dì seguito si riportano, di una collaborazione parziale e interessata (come quella che, in buona sostanza, fingerà di realizzare anche nel dicembre 1995) che gli consente di riottenere in tempi brevi la libertà e la restituzione dei beni patrimoniali oggetto di un primo sequestro di prevenzione”.
     “Immediatamente dopo, infatti, riprende a fare “affari” con Bardellino  sino alla morte di costui, avvenuta in Brasile nel maggio del l988.  Vi è dunque un periodo “grigio” (1984-1988) in cui la sua condotta è rimasta immune da censure in sede penale, perché il successivo processo che lo coinvolge (il cd. Spartacus 1) vede contestato a suo carico il reato dì appartenenza ai cosiddetto clan  dei casalesi, nato come si diceva solo nel 1988.  Con sentenza emessa dalla I Sez. Corte di Assise di S. Maria CV. nel settembre del 2005 (cd. processo Spartacus 1) il Pasquale Pirolo  veniva infatti assolto dall’accusa di aver fatto parte del clan  dei casalesi nel periodo che va dal 1988 al 1996”.
     “Come può leggersi in motivazione, che di seguito si riporta, - continua a scrivere il  Presidente Magi – “le ragioni della assoluzione del Pirolo sono da ricercarsi nella “ontologica diversità” tra ìl  “gruppo Bardellino” - di cui lo stesso Pirolo ha sicuramente fatto parte sino al 1986 ed il successivo “clan  dei casalesi”. Appare tuttavia evidente come la Corte di Assise sottolinei la complessiva “pericolosità” del soggetto in questione, pur ritenuto -  allora - non coinvolto nelle dinamiche evolutive del gruppo criminale”.
     “L’analisì della posizione di Pasquale Pirolo è strettamente correlata al tema della esatta “delimitazione” dell’oggetto del giudizio, tema che questa Corte ha trattato in via generale al capitolo 2 ed al capitolo 5.  Come si è notato in tal sede, e come si è delineato anche trattando le posizioni di Cosimo Graniglia  e  Amedeo Mazzara, l’oggetto del presente giudizio non “ricomprende” le forme di adesione al clan Bardellino, già oggetto di verifica processuale conclusa (in primo grado) con la sentenza emessa dal Tribunale in sede il 29 aprile 1986.  Le concrete modalità di esercizio dell’azione penale portano, infatti, ad identificare come “contestata” nel presente processo la partecipazione al clan dei casalesi, entità che viene ad esistenza solo nel maggio del 1988, attraverso la progettazione e l’esecuzione degli omicidi in danno di Antonio Bardellino e Paride Salzillo”.
     “Ciò che rileva, dunque, è l’identificazione di una qualsiasi adesione che, pur se “nata” in precedenza (e dunque nel periodo bardelliniano ) sia proseguita dal maggio del 1988 in poi, Eventuali condotte che -  oggetto o meno di verifica giudiziaria nel 1986 - non abbiano “superato” tale momento di “transito” (tra gli agglomerati associativi) non possono ritenersi forme di adesìone al clan  dei casalesi.  Ed è questo il caso di Pirolo Pasquale, per ciò che è emerso - a giudizio della Corte - dal lungo dibattimento.
Pirolo è stato, con assoluta certezza, un uomo di fiducia di Antonio Bardellino, specie nel settore del reimpiego dei capitali illeciti. Come emerge dalla lettura della sentenza emessa in primo grado Pasquale Pìrolo ha dato un rilevante contributo alla “ramificazione” del dan Bardellino in una serie di attività economiche (tra cui, di particolare rilievo, è la costituzione dell’impianto dl produzione del calcestruzzo Generai Beton, avvenuta per conto dì Bardellino proprio con la intermediazione del Pirolo) ed è stato un sicuro “riferimento” del Bardellino sia per il settore dei rapporti con gli imprenditori che per le sue esìgenze “logistiche”.
     “Particolare capacità dimostrativa dell’esistenza del rapporto e notevole “risonanza ambientale” ebbe infatti l’arresto del Pirolo in Barcellona il 2 novembre del 1983, posto che in tale occasione - proprio seguendo Pasquale Pirolo e Roberto Ferrara -  la polizia italiana riuscì a catturare Antonio Bardellino, da tempo latitante.  In quella occasione, tra l’altro, Pirolo venne trovato in possesso dì una rilevante somma dì denaro ( 15mila  dollari) destinata al Bardellino, e di altro materiale di interesse. Il prosieguo di tale operazione è noto, ma va brevemente rievocato: Antonio Bardellino non verrà mai estradato dalla Spagna, posto che riuscirà ad ottenere la libertà nel corso della procedura di verifica delle condizioni per la consegna e si renderà di nuovo latitante (ed infatti, come è emerso dalle narrazioni deì collaboranti escussi nel presente processo, tornerà in Italia da latitante per promuovere la “guerra” al gruppo Nuvoletta, andando a guidare personalmente l’assalto a Poggio Vallesana, del 10 giugno 1984, che determinerà la morte di Ciro Nuvoletta)”.
     “Pasquale Pirolo verrà invece estradato da detenuto - e ìn data 20 novembre 1984 renderà al P.M. dì S. Maria Capua Vetere alcune dichiarazioni di  “stampo collaborativo” (in merito ai suoi rapporti con il Bardellino, alla infiltrazione della organizzazione camorristica nel settore della produzione del calcestruzzo, ai rapporti intercorsi tra il gruppo Bardellino ed alcuni esponenti politici) che di certo influiscono sul suo successivo trattamento cautelare (posto che in data 21 dicembre ‘84 ottiene gli arresti domiciliari) e che comportano una valutazione a lui favorevole anche nel settore della prevenzione patrimoniale (posto che in data 27 dicembre ‘84 ottìene anche la restituzione delle quote e dei beni della società Generai Beton)”.
     “Ora, per ciò che riguarda tali eventi il Pirolo è stato condannato, in via definitiva, alla pena di anni 2 e mesi sei (con giudicato che ‘copre’ sino alla data del febbraio 1984 ed è dunque rapportato all’art.4l6 bis c.p.) in virtù delle decisioni prima indicate.
Dunque, il tema da trattare, al fine di comprendere cosa è avvenuto dopo, è il seguente:
 dopo le dichiarazioni “collaborative” del novembre 1984 Pirolo ha o meno ripreso i  rapporti con Antonio Bardellino?;  che ruolo ha svolto Pirolo nei fatti del maggio ‘88 e, soprattutto, quale è stata la condotta del Pirolo dal maggio ‘88 in poi?”.
      “Circa il primo aspetto, questa Corte ritiene che il Pirolo abbia, in verità, ripreso i contatti con l’organizzazione facente capo a Bardellino tra il 1985 ed il 1988. Tale
aspetto, pur se “fuori dalla contestazione”  (operata nel presente processo) ha il suo interesse storico, posto che aiuta a comprendere alcune vicende, di estremo rilievo “economico”, relative anche ad altri imputati. Va infatti ricordato che Pasquale Pirolo, anche attraverso il suo “atteggiamento collaborativo” (di fine ‘84) rientra in possesso della Genera Beton (libera da vincoli di sequestro a far  data dal 27 dicembre del 1984).
Ed il Pirolo imrnedìatamente si attiva affinché la GeneraI Beton, società che era stata da lui fondata in un preciso ed inequivoco contesto “relazionale” con Antonio Bardellino (l’altro socio formale era Vincenzo Zagaria, ma è del tutto pacifico che l’investimento in questione venne realizzato per consentire ad Antonio Bardellino ed al suo gruppo di intervenire in via diretta nell’affare rappresentato dalla distribuzione del calcestruzzo nelle opere pubbliche legate alla ricostruzione post-terremoto) non solo venga recuperata come realtà produttiva, ma soprattutto riesca, nonostante la “chiusura forzata” di più dì un anno (il sequestro è del novembre ‘83, subito dopo l’arresto del Pirolo a Barcellona) ad entrare a far parte del consorzio CEDIC che nel frattempo (dal 5 aprile del 1984) aveva “riunito” tutti i maggior produttori della provincia di Caserta”.
     “E’ evidente, infatti, che la società Generai Beton, in sequestro nel momento in cui si costituisce il Cedic (perché il principale socio Pirolo - è stato arrestato all’estero mentre portava denaro al capo della camorra casertana) non poteva certo fare “ingresso” nel consorzio all’atto della sua costituzione, ma è altrettanto evidente come il Pirolo, appena possibile, favorisce il recupero della “risorsa” General Beton attraverso una complessa mediazione societaria in cui viene coinvolto Giuseppe Borsi. Come risulta dalle verifiche operare in sede di giudizio innanzi al Tribunale, le quote societarie del Pirolo vengono cedute alla moglie dello stesso Maria Primerano Rianò al solo scopo dì realizzare-  con la regia tecnica del Borsì -  un contratto di locazione degli impianti dalla Generai Beton alla società ICM amministrata da Guido Marino, zio dello stesso Giuseppe. In buona sostanza tale operazione, cui non certo estraneo il Pirolo, consente la realizzazione di un duplice effetto a) frodare i creditori della General Beton, posto che l’azienda diventa un contenitore vuoto (cede in locazione gli impianti ed i mezzi ad ICM); b) realizzare l’ingresso “pulito” della nuova società ICM (che altri non è che la Generai Betan, ancora controllata dal Bardellino tramite Borsi e Pirolo) nel consorzio CEDIC, come avviene puntualmente in data 19 dicembre del 1986, in ciò assicurando notevoli commesse legate alle forniture del calcestruzzo presso i cantieri delle opere pubbliche in atto (prima fra tutte, la sistemazione dei Regi Legni), posto che la cd, “caratura” (quota di distribuzione interna ai consorziati delle richieste ricevute dal consorzio) è pari ad 8.15”.
     “Dunque. sul piano della sequenza logica dei fatti, non vi è dubbio che il Pirolo,  dopo la sua apparente “collaborazione”,  (che non diede luogo ad alcuna particolare verifica, sino al drammatico “momento” della ”costituzione” di Luigi Basile, del maggio ‘88),  mantiene una condotta che almeno sino 1988 è pianamente “funzionale” agli interessi del di Bardellino”. Pirolo, con la collaborazione del Borsi, traghetta infatti ciò che restava della Generai Beton all’interno del consorzio Cedic, sotto il nome ICM. il che assicura stabìli “entrate” al gruppo camorristico, come è dimostrato dal fatto che, alla morte di Bardellino. uno dei primi beni che il nuovo “gruppo di vertice” si incarica di recuperare è proprio l’impianto dì produzione del calcestruzzo ICM, impianto che successivamente (aprile ‘89) verrà affidato a Carmine Schiavone e diventerà Ba.Schi. Ciò significa che quell’impianto, nel maggio ‘88, era ancora sotto ìl “controllo” della famiglia Bardellino, anche attraverso la “mediazìone” dei Pirolo. Ma tutto ciò ha un rilievo dimostrativo solo della “prosecuzione di rapporti” tra Pirolo e Bardellino (fatto non contestato), ma non tra Pirolo ed il clan dei casalesi (fatto contestato).
Sul punto, va osservato che: - nel periodo successivo al maggio ’88,  Pasquale Pirolo non risulta più coinvolto nella gestione dell’impianto, che transita - come si è detto  - nelle mani di Carmine Schiavone (il  quale, peraltro, in alcune conversazioni telefoniche del 1989, in atti, si mostra “risentito”  verso il Pirolo, per alcuni crediti che ipotizza di avere, il che è indice rivelatore di “dìstacco”, più che di “continuità” del rapporto);
- anche in sede di interrogatorio, nel 1995, il Pirolo continua a riferire dei suoi rapporti con il Bardellino (sino al maggio 1988), ma non con l’aggregazione camorristica successiva, e dunque non può dirsi che l’interrogatorio contenga elementi di auto-accusa;
- le fonti escusse, per la massima parte, parlano di Pirolo come uomo legato da interessi economici ad Antonio Bardellino e non “segnalano” l’esistenza di particolari rapporti tra il Pirolo ed il dan dei ‘casalesi’, successivi al maggio ‘88 (si veda quanto affermato da Carmine De Simone - all’udienza del 21 .1. ’01); in particolare, l’unica fonte che evidenzia un “contatto” con il Pirolo successivo al maggio ‘88 è Giuseppe Pagano, ma la vicenda di cui parla il Pagano (il Pirolo  lo avrebbe aiutato a recarsi in Bulgaria,  nel 1993, in virtù dei suoi rapporti commerciali e politici che coltivava in quella zona )  non appare indicativa di un “perdurante inserimento” del Pirolo nella organizzazione camorristica, quanto di un rapporto personale tra i due soggetti e di una capacità “corruttiva” del Pirolo, derivante da sue attività economiche che non appaiono collegate al clan”.  
      “Ciò posto – continua a scrivere il Presidente Lello Magi nella sua ordinanza -  ai finì del giudizio di pericolosità - qui in valutazione incidentale posto che nei confronti del Pirolo non può ìn ogni  caso essere applicata misura personale in quanto residente all’ estero -  va anzitutto stabilito che, proprio in forza degli argomenti contenuti nella motivazione dì detta sentenza, vi è un chiaro ed inequivoco dato “storico” di elevata pericolosità sino al maggio del 1988 derivante dal suo coinvolgimento, a pieno titolo, nel dan Bardellino. E la pericolosità qualificata del Pirolo emerge anche nel periodo successivo, come sì dirà. Si è detto, infatti, che nella vicenda del “recupero” della General Beton e del suo inserimento - per conto di Antonio Bardellino nel consorzio CEDIC di distribuzione del calcestruzzo, il Pirolo si servì nel lontano 1988 di due persone a lui particolarmente legate Giuseppe Borsi (detto Pino, compagno della prima moglie del Pirolo e da qualche anno deceduto) e lo zio di quest’ultimo, Guido Marino. Orbene, è proprio insieme a tali due soggetti che il Pirolo risulta -  alcuni anni dopo, tra il 1997 ed il 1998 -  coinvolto in un enorme traffico internazionale di sostanze stupefacenti, per lo più importate dal Venezuela (circa 18  Kg di cocaina sequestrati in vari scali aeroportuali tra il 1997 ed 1998). La vicenda è di estremo interesse ai fini qui investigati. In effetti, l’autorità giudiziaria di Milano all’inizio degli anni 2000 - sulla scorta di copiose intercettazioni telefoniche e di imponenti sequestri di cocaina avvenuti nei vari scali aereoportuali ìmbastisce nei confronti del Pirolo, Borsi, Marino ed altri soggetti un processo ove è contestato il reato di cui all’art. 74 DPR 309/’90, conclusosi in primo grado con sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 19 aprile 2005.
Giova immediatamente evidenziare che in detta sentenza - ai sensi dell’art. 530 co.2 c.p.p. Pasquale Pirolo viene assolto dall’accusa di partecipazione a detta associazione finalìzzata alla importazione, ma viene ritenuto sostanzialmente compartecipe di un caso di tentato acquisto, con trasmissione - sul punto - degli atti nuovamente al Pubblico Ministero per difetto di contestazione. Nonostante l’assoluzione - per incompletezza della prova - questo Collegio ritiene molto significativi alcuni dati storici tratti dalla decisione in parola (acquisita in atti), decisione  che vede la condanna quale organizzatore del narcotraffico - proprio di quel Pino Borsi (con condanna ad anni 23 e mesi sei di reclusione) che Pasquale Pirolo volle far entrare nella famosa General Beton come prestanome suo e di Antonio Bardellino. Peraltro anche Guido Marino (zio di Borsi e anch’egli coinvolto nel recupero della Generai Beton) viene condannato in detta sentenza alla pena di anni undici e mesi undici di reclusione. La droga - in notevoli quantità -  veniva trasmessa verso l’Europa dal Venezuela ed occultata in confezioni di scarpe o in taluni computers portatili appositamente modificati da uno dei componenti dell’organizzazione. Si dirà, ma cosa può esser rimproverato al Pirolo se due suoi vecchi amici e soci decidono di mettersi a fare i narcotrafficanti (...guarda caso proprio tra il sud America e l’Italia, rotta già sfruttata negli anni precedenti da Bardellino..) e si fanno intercettare ed arrestare?”.
     “Ed invece dagli atti contenuti nella decisione se letti alla luce delle conoscenze che questa autorità giudiziaria (e non quella milanese) già possiede circa la vita anteatta di Pirolo -  si comprendono parecchie cose.  Anzitutto sì comprende che Pasquale Pirolo era, in quel periodo, in costante (e verrebbe da dire perdurante) contatto con Pino Borsi, posto che i due vengono sottoposti ad “osservazione” mentre stanno aspettando l’arrivo di un grosso “carìco” dì cocaina a Milano in data 31 luglio 1997, carico che per vari intoppi non arriva a destinazione, nonostante il “comune sforzo” dei due, ampiamente documentato nelle intercettazioni telefoniche. In secondo luogo, si comprende - ìn verità in modo abbastanza agevole - che Pirolo è uno dei costanti riferimenti del gruppo di trafficanti, posto che oltre l’episodio prima citato vi è, in detta sentenza, la rievocazione dell’arresto di un noto commerciante casertano, tal Rosario Rondinone  (difeso nei processo tenutosi a Milano nel 2005 proprio dall’avv. Michele Santonastaso e condannato ad undici anni di reclusione) nell’anno 1998 in Bulgaria, a Sofia con altri 2 kg. di cocaina. Si ricorderà che Pirolo era in quel periodo proprio a Sofia (si vedano sul punto i riférimenti del collaborante Giuseppe Pagano prima citati e riportati nella motivazione della sentenza Spartacus e secondo una fonte citata nella decisione Milanese quella droga doveva essere consegnata dal Rondinone proprio a Pirolo e Borsi”. Ed è inoltre significativo che Pino Borsi viene arrestato -  proprio con i Marino - il 16 ottobre del 1998 con circa 2 kg di cocaina addosso all’aeroporto di Amsterdam”. .
   “A tutto ciò sì aggiunge che l’intero narcotraffico, per come emerge dalla sentenza, era organizzato da Borsi che si serviva - sul piano logistico - di una società commerciale venezuelana che -  non certo per caso -  era “consorella” di una società italiana fondata nel  1994 proprio da Pirolo, la Hercu Italia (con sede legale in Curti). La società Hercu Venezuela è infatti il luogo… base del  narcotraffico, come viene specificato a pagina 119 della decisione emessa dal Tribunale di Milano”. Inoltre, anche in una conversazione telefonica diretta, tra i due, del 13 gennaio 1998 il Borsi  informa proprio Pirolo dei contatti presi  con altro personaggio coinvolto nel gruppo degli importatori tale Emilio Boccolato di Mondragone, (storico appartanente al gruppo cutoliano) a conferma ulteriore del pieno di  coinvolgimento di Pasquale Pirolo negli affari comuni. Non vi è dubbio, dunque, che gli episodi di fine anni ‘90 fanno emergere sul fronte del narcotraffico internazionale lo stesso “terzetto” (Pirolo, Borsi, Marino) che aveva sapientemente “traghettato” nel “nobile” consorzio CEDIC la società General Beton di Antonio Bardellino i dieci anni prima. Ve n’è abbastanza per ritenere confermata l’elevata pericolosità del Pirolo  che, si badi bene, nel frattempo è per il fisco italiano poco più di un nullatenente, avendo dichiarato redditi tra il 1966 ed il 2000 con una medìa dì 4.000 euro per anno. Ma, come si è detto, sul finire del 1998 vengono arrestati - in flagranza di narcotraffico - proprio Borsi e Marino, partners storici del Pirolo.  Ciò fa emergere, nel periodo successivo, una nuova figura di riferimento affianco a quest’ultimo, rappresentata da un personaggio di Casapesenna: Nicola Capaldo”.  
     “Il Capaldo, piccolo imprenditore che tra il 1991 ed il 2001 dichiara al fisco redditi in media per 2.000 euro l’anno (pur essendo coniugato e con due figlie) diventa socio di Pirolo nel 2001 nell’ambito della Soc.  “Espansione Commerciale”.  Ed è proprio questa società - tenuta in essere tra Pasquale Pirolo e Nicola Capaldo a realizzare nel gennaio del 2002 l’investimento “centrale” della presente decisione, ossia l’acquisto dei terreni edificabili (con annesso progetto di lottizzazione approvato) ìn località Rodi Garganico per un importo dichiarato nell’atto di circa tre miliardi delle vecchie lire. Sono i terreni (con annessi fabbricatì in corso di realizzazione) che troveremo poi nelle mani della Azzurra, società intestata  a Giuseppe Nocera  (cognato del Capaldo) e Michele Santonastaso.  Si tratta di un “affare” che è ben illustrato nella proposta inoltrata dalla Questura di Caserta: “Tra le tante società riconducibili al Pirolo va sicuramente presa in esame la società denominata “Espansione Commerciale sas di Pirolo Pasquale & C.sas, avente sede in Campli (TE) alla Strada Provinciale per Floriano - Frazione di Sant’Onofrio. e quale oggetto sociale l’attività di commercio all’ingrosso, importazione ed esportazione dì materiale elettronici. Tale società venne costituita in data 26.6.2001 tra lo stesso Pirolo (quota pari ad euro 12.911,42) ed il socio accomandante Nicola Capaldo, nato a San Cipriano D’Aversa  nel 1954, residente in Casapesenna alla via Fabozzì nr.21 ( per la restante quota pari ad euro 38.734,27). I rapporti tra i due soci, non si limitavano solo alla società sopra riportata; ìnfatti gli stessi sono risultati soci al 50% del capitale sociale  della Impresud srl, avente sede in S. Maria C.V., costituita nell’anno 1993, nella cui gestione subentrarono entrambi nell ‘anno 2001, per aver acquistato le quote detenute da   Antonio Bretto e da Giuseppe Scamperti,  entrambi da Casal di Pricipe. 
     “Tra i soggetti interessati nella compravendita in argomento, merita un breve cenno, anche la figura di Alvaro Giardili, indicato dallo stesso Moreno Onofri, il proprietario occulto della Immobiliare Prati, Quest’ultimo, pluripregiudicato per reati che vanno dall’estorsione, alla bancarotta fraudolenta, mìllantato credìto ecc, è stato descritto dal N.LR.O. Carabinieri di Viterbo quale “persona pericolosa con partìcolare tendenza alla commissione di reati contro il patrimonio mediante frode”. Sul conto del medesimo, lo stesso organo investigativo, riferì al Comando di Teramo che, oltre  che capace di dissimulare le proprie attività illecite, era stato nel passato coinvolto nei seguenti fatti:
Sottoposto ad indagini nell’anno 1983,  su segnalazione dell’Alto Commissariato per il Coordinamento per la lotta contro la delinquenza mafiosa, le quali, pur non consentendo di accertare il presunto legame del predetto ad organizzazioni mafiose. ne delineò la elevata pericolosità”. Ed inoltre dalla sentenza emessa dalla Corte  di Assise di Roma, nella quale era imputato. unitamente a altri, tra i quali anche Francesco Pazienza, per i delitti di cui all’art. 416 bis ed altro, si rileva che lo stesso aveva la disponibilità della vettura blindata del Pazienza, era in contatto con vari esponenti della camnorra e che sul cadavere del camorrista Vincenzo Casillo venne rinvenuto un suo biglietto da visita  nonché che era stato sottoposto ad indagini nell’ambito dell’ inchiesta relativa all’evasione di Licio Gelli, avvenuta da un carcere svizzero.  Che avrebbe, infine, avuto contatti anche con il noto “faccendìere” Roberto Calvi, sul cui cadavere, all’atto del rinvenimento in Londra, venne trovato un biglietto da visita del Giardilì.
     “Dunque, già fermandosi a tali primi  aspetti, a dir poco inquietanti, va detto che: Pirolo poco dopo la brusca interruzione del narcotraffico (cui, come sì è detto, era interessato insieme al Borsi) entra unitamente al Capaldo nell’ affare/lottizzazione “Cala dei Templari”,  investendo una notevole somma di denaro che nè lui nè il socio possono legittimamente avere come disponibilità finanziaria.  Le circostanze di fatto dell’acquisto, prima sintetizzate, lasciano presumere - ragionevolmente contatti con la malavita romana ed in particolare con la nota Banda della Magliana attraverso la figura dì Alvaro Giardili. Tutto ciò, a ben vedere, non fa altro che rappresentare la “continuità” dell’ inserimento criminale di alto livello da parte del Pìrolo e, pertanto, rappresenta un chiaro ”indice rivelatore” di pericolosità anche a carico del suo socio Nicola Capaldo.  Delle due l’una: o Pirolo ha investito una quota dei proventi del narcotraffico (unitamente al Capaldo che é comunque portatore di una sua quota di dubbia provenienza) oppure i due si sono resi disponibili (quantomeno in parte) ad. una catena dì reinvestimento di profitti maturati in altra sede e riconducibili alle attività criminose poste in essere dal Giardili.  In entrambi i casi, la fiducia loro accordata negli ambienti criminali romani e la capacità di realizzare un così massiccio investimento finanziario sono elementi che denotano un elevato livello di pericolosità a carico di entrambi”.




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