Cassazione: estorsione per chi impone stipendi inferiori a quelli pattuiti in busta paga
31535. Le parti si erano rivolte al Tribunale di Nicosia perchè costrette, secondo l'accusa, a"restituire" al datore di lavoro, con il quale intrattenevano i rapporti di impiego , sotto minaccia, in difetto di mancata assunzione o di licenziamento, una parte delle somme ricevute a titolo di retribuzione e o comunque ad accettare somme inferiori a quelle figuranti sulle buste paga. La minaccia offensiva che va configurare il reato di estorsione è palese: la "sanzione" della mancata assunzione o del licenziamento delle varie persone offese in caso di dissenso dalle condizioni coercitive loro imposte. Il comportamento del datore di lavoro non può essere giustificato neanche dal suo scopo, ossia assicurare alle persone offese il mantenimento del posto di lavoro, ed è aggravato dal fatto che le parti avevano accettato le condizioni contrattuali, percepite come inique, perché versavano in una situazione di bisogno, e vi si erano adeguate anche nel corso del rapporto per timore di perdere il posto. Il Tribunale condanna il datore alla pena complessiva di anni sette di reclusione ed euro 3.500 di multa. Anche la Corte d'Appello ribadisce la condanna. La Corte di Cassazione conferma le statuizioni civili e ribadisce, facendo riferimento anche alla giurisprudenza di legittimità, che: "integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, in presenza di una legittima aspettativa di assunzione, costringa l'aspirante lavoratore ad accettare condizioni di lavoro contrarie alla legge e ai contratti collettivi".
(09/08/2012 - L.S.) - Cita nel tuo sito | Vedi notizie correlate
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