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sabato 22 settembre 2012


OSSIGENO – Roma, 17 settembre 2012 - In Italia spesso querele e richieste di risarcimento consentono abusi e intimidazioni a danno dei giornalisti. Come impedirlo? Perché è necessario approvare la riforma sollecitata dell’ONU che prevede di abolire la pena del carcere e di depenalizzare la diffamazione. Come vanno le cose negli altri paesi. Le proposte diOssigeno.  Il libro di Maurizio Fumo.
Trascrizione dell’intervento di Alberto Spampinato, consigliere della FNSI, direttore diOssigeno per l’Informazione al Convegno sulla diffamazione che si è svolto il 28 maggio scorso a Roma, nella sede della FNSI in occasione della presentazione del libro di Maurizio Fumo La diffamazione mediatica (UTET 2012, 359 pagine, 40 euro).
Nel libro La diffamazione mediatica, il consigliere di Cassazione Maurizio Fumo, esperto e studioso della materia, fa una esposizione preziosa dello stato dell’arte.
Un’opera così sistematica è utile anche a noi giornalisti, che spesso in questa materia andiamo a tentoni. Molti di noi ne apprendono i rudimenti in seguito alle brutte esperienze che la vita lavorativa può riservare. Di solito accade dopo aver scritto una notizia negativa sul conto di qualcuno che conta.
E’ evidente che un giornalista non ha sempre ragione. Può sbagliare in buona fede, è umano. E può accadere che un giornalista abusi della sua professione per diffamare qualcuno. In entrambi i casi è giusto che il danneggiato possa rivolgersi al giudice e chiedere una riparazione del torto e degli eventuali danni. Ma questa facoltà non dovrebbe essere usata per altri fini, ad esempio per punire un giornalista solo perché la sua notizia, pur essendo vera, non è stata gradita. Tanto meno dovrebbe essere consentito l’uso di questa facoltà per intimidire il giornalista, per indurlo a non scrivere altre notizie sgradite. Purtroppo ciò accade ed è un grosso problema per la libertà di stampa e per la democrazia.
Nel suo saggio, il consigliere Fumo affronta il problema. Parla di “sussistenza del pericolo di strumentalizzazione  della tutela della reputazione al fine di comprimere il diritto di cronaca e, ancor più il diritto di critica, ma – aggiunge – neanche può esservi dubbio che si si sia realizzata una situazione di strapotere dei media, in alcuni casi, molto (troppo) concentrati in poche mani (si pensi ai giornali e, ancor più,  alla Tv), in altri estremamente polverizzati, in una condizione prossima all’anarchia, anche in conseguenza delle incertezze del legislatore e delle oscillazioni della giurisprudenza (si pensi all’informazione on line), in altri ancora fortemente consizionati dal potere politico o da quello economico.
In realtà in Italia siamo ben al di là del “pericolo di strumentalizzazione  della tutela della reputazione”. Assistiamo a una vera e propria degenerazione di questo istituto giuridico della querela, nato per ben altri fini, e precisamente per consentire ai cittadini di difendere la propria reputazione e i propri interessi quando si ritiene che siano stati danneggiati da una pubblicazione: spesso querele e citazioni servono proprio a frenare la libertà di cronaca o ad intimidire giornali e giornalisti.
L’osservatorio Ossigeno per l’Informazione, istituito dalla FNSI e dall’Ordine dei Giornalisti per monitorare le numerosissime minacce, intimidazioni e abusi ai danni dei giornalisti italiani,  ne ha contato un migliaio negli ultimi sei anni, come si può verificare sul sito www.ossigenoinformazione.it  Dal questo punto di osservazione, oltre alle minacce fisiche, alle aggressioni, agli attentati, vedo un sistematico abuso del diritto da parte di prepotenti che sfruttano in modo inammissibile proprio le querele e le citazioni per danni.
Negli ultimi anni l’uso strumentale della querela per diffamazione a mezzo stampa, e delle citazioni in giudizio per danni, è molto aumentato. Le querele e le richieste di risarcimento sono state impiegate con sempre maggiore disinvoltura con il secondo fine di intimidire giornali e giornalisti. Dobbiamo sapere che ciò è consentito da una legislazione arcaica sul diritto di informazione, da una procedura e da una giurisprudenza che consente al soggetto più forte di commettere impunemente questi ed altri abusi.
Questo genere di abuso si sta estendendo a macchia d’olio e chi ne approfitta fa leva su una condizione di insufficiente protezione del diritto di espressione, in generale, e in particolare del diritto di cronaca dei giornalisti italiani. E’ noto che, ad sempio, nella nostra legislazione il segreto professionale dei gornalisti abbia una protezione più debole di quella prevista in altri sistemi giuridici a cui l’Italia fa riferimento.
Un altro aspetto del problema italiano è l’oscuramento del fenomeno: non se ne parla abbastanza, non c’è in proposito una raccolta sistematica di dati cui fare riferimento, tant’è vero che il nostro osservatorio ha avviato un monitoraggio per colmare la lacuna.
In Italia non se ne parla ma all’estero si parla molto di “caso italiano”, e non solo per il conflitto di interessi dell’on. Silvio Berlusconi e per la concentrazione delle testate, ma anche perché ci sono troppi giornalisti minacciati e intimiditi, non solo della mafia, e anche troppi giornalisti trascinati in tribunle per querele e citazioni pretestuose e infondate.
Noi cerchiamo di non pensare a questi busillis, ma negli altri paesi fa sensazione che dal 2008 l’Italia – unico paese dell’Unione Europea – sia entrata a far parte del novero delle nazioni di serie B in cui l’informazione giornalistica è solo “parzialmente” libera. Eppure questa condizione segnala uno spread di democrazia non meno rilevante per la nostra società e per la nostra economia di quello che riguarda i titoli del debito pubblico, che, giustamente suscita allarme, apprensione, interventi di emergenza.
E’ triste vedere tanta rassegnazione rispetto a questa condizione negativa, e non è privo di conseguenze. Quando l’informazione è “parzialmente libera” si determina un clima diffuso di intimidazione, accade che molti giornalisti siano sottoposti ad abusi, intimidazioni e minacce e per tirare avanti debbano oscurare notizie di rilevante interesse generale. Perciò, in definitiva, a risentirne è la nostra democrazia e la libertà di noi tutti.
Purtroppo veniamo da una stagione triste che ha visto conculcati anche altri diritti. Non c’è nel nostro paese fame di diritti, come si vede anche da altre vicende. Ma è proprio sul terreno dei diritti umani fondamentali che questa questione va affrontata, come ci chiede, ad esempio, l’ONU, che ha rivolto numerosi richiami alle autorità italiane affinchè riformino la legge sulla diffamazione a mezzo stampa. Uno dei più energici richiami, quello del Comitato dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, e del 2006 e ci chiede di non punire la diffamazione con la reclusione, perché questa è una prerogativa dei regimi autoritari. Un appello analogo, anch’esso inascoltato, è venuto l’anno successivo dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che ha suggerito di declassare la diffamazione da reato doloso in reato colposo.
Per l’ONU e per il Consiglio d’Europa e per altre prestigiose organizzazioni internazionali punire la diffamazione mettendo in carcere i giornalisti è una anomalia gravissima, difficilmente conciliabile con le moderne democrazie, per le quali la libertà di stampa è un requisito irrinunciabile.
Sulla questione del carcere il consigliere Fumo è di diverso avviso: dice manteniamo il carcere per i giornalisti nel Codice, come deterrente, e poi noi giudici al momento della sentenza non lo comminiamo, come già avviene.
Sollevo due obiezioni. La prima: purtroppo non è così, la pena del carcere viene ancora comminata ai giornalisti, e talvolta senza neppure la sospensione condizionale dell’esecusione nei confronti di giornalisti incensurati. Chi segue il nostro notiziario conosce bene il recente caso di tre giornalisti di Pescara querelati dal sindaco di Sulmona. Seconda obiezione: chiedetevi perché non inseriamo la pena di morte nel nostro ordinamento come deterrente e capirete perchè sono contrario a mantenere la pena della reclusione per la diffamazione.
Quando si vogliono affrontare i problemi è sempre bene imboccare la strada maestra e in questa materia la strada maestra è quella di abolire il carcere, come chiede un comitato di lavoro di cui Ossigeno fa parte insieme alla FNSI e ad altre associazioni di giornalisti. Ma non basta. In questo Comitato l’osservatorio Ossigeno  sostiene una posizione ancora più avanzata, che prevede la depenalizzare della diffamazione a mezzo stampa. Quando lo diciamo molti si mettono le mani ai capelli. ma come si fa?, dicono. Si fa, rispondiamo,  come negli altri paesi democratici occidentali, come negli Stati Uniti, in Germania, in Francia,in cui la diffamazione è regolata dal codice civile. Come nel Regno Unito, in cui questa riforma è stata introdotta tre anni fa a conclusione di una importante battaglia civile.
Depenalizzazione non significa certo non punibilità, non significa che si possono scrivere impunemente falsità sui giornali violando la privacy e la reputazione delle persone. Non è così. Basta pensare a come viene perseguito il caso dei tabloid dell’editore Murdoch in Gran Bretagna.
Anche in Italia dobbiamo fare una battaglia civile per la depenalizzazione, sia per riprendere la strada del diritto, sia perché questa riforma sarebbe strategica.
Quando la diffamazione sarà depenalizzata, solo allora, i giornalisti potranno stipulare assicurazioni di responsabilità civile per i danni causati dai loro errori.
Questo renderà più ricca l’informazione e più sereno il lavoro dei giornalisti di fronte alle richieste strumentali di danni, che oggi creano situazioni drammatiche anche per chi è convinto in piena coscienza, e può dimostrare, di avere scritto solo cose vere e di non avere violato alcun segreto e alcun diritto alla riservatezza.
Mentre nel nostro paese gli altri professionisti lavorano con la rete di protezione di una copertura assicurativa, a un giornalista un errore può costare la perdita dell’intero patrimonio accumulato durante la vita. Questo rischio spinge a una cautela che fa a pugni con il dovere di raccontare anche le notizie sgradite a personaggi potenti e vendicativi.
Non sono situazioni ipotetiche. Ossigeno ha documentato numerosi episodi in cui è stato chiesto a un giornalista di pagare da uno a cinque milioni di euro di danni. La richiesta esosa, non giustificata da dati di fatto circa il danno presunto, di solito, rivela da sola l’intento intimidatorio, che è rivolto  anche alla testata giornalistica, visto che il giudice, può notificare all’editore, insieme alla citazione, l’obbligo di iscrivere nel bilancio aziendale, come passività, il 10% della somma richiesta fino alla sentenza definitiva, che arriva dopo alcuni anni.
E’ facile immaginare come si ripercuote questa situazione sulla vita di un giornalista. Un editore forte e coraggioso si limiterà a chiedere al suo gornalista di essere più prudente. Se il giornalista è precario, non è legato da un contratto, se è pagato 5-10 euro ad articolo, è facile che il giornale non gli faccia più scrivere un articolo. Abbiamo anche un caso in cui l’editore ha pagato la provvisionale e ha intentato causa al giornalista precario autore dell’articolo addebitandogli il 70% della colpa e dell’importo. Di fronte a queste richieste di risarcimento ci sono giornali che chiudono i battenti. Ci sono giornali che riducono l’organico.
Spero che su queste cose si apra una discussione pubblica, perché è necessario. Spero che il parlamento riprenda con altri presupposti l’obiettivo di realizzare la riforma della depenalizzazione, che fu tentata nel 2004 ma non giunse in porto. Eppure, allora, pur di raggiungere il traguardo, il legislatore non si era posto l’obiettivo della depenalizzazione, ma quello più modesto dell’abolizione della pena del carcere.
Oggi la cosa più importante è riprendere quel cammino con la consapevolezza che il problema si è fatto più grave. Dobbiamo rompere il silenzio e seminare buone idee.
Perciò dobbiamo cominciare a dire che la diffamazione a mezzo stampa non va regolata come delitto contro la persona, ma come un diritto di garanzia dei cittadini, un diritto che si deve coniugare con altri due diritti: il diritto dei cittadini di ricevere tutte le notizie di interesse generale, anche quelle sgradite al potere e a persone potenti e vendicative, e il diritto di espressione e di cronaca. Quelli che negi altri paesi, nella Carta di san francisco e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, con un linguaggio più efficace, che dovremmo usare anche noi, sono indicati come i Diritti Umani fondamentali.
Alberto Spampinato per www.ossigenoinformazione.it
      

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