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sabato 6 ottobre 2012


C.EDU: la collettività ha diritto a ricevere notizie sulle indagini in corso. Le dichiarazioni rese alla stampa dal magistrato inquirente su un procedimento per corruzione in atti giudiziari a carico di un giudice non violano la Convenzione in punto di presunzione di innocenza e diritto all’equo processo (CEDU causa n. 39820/08, Shuvalov c. Estonia)



Il caso. Un giudice è indagato per corruzione in atti giudiziari; durante la fase istruttoria il magistrato inquirente rilascia alcune dichiarazioni e comunicati stampa riguardanti lo svolgimento delle indagini sul caso. Il giudice, condannato all’esito del processo, una volta esauriti i ricorsi interni, presenta ricorso innanzi alla Corte di Strasburgo contro il procuratore, ritenendo che le esternazioni di quest’ultimo rivolte ai mezzi di comunicazione abbiano influenzato i giudici nella decisione. E' prospettata, in particolare, la violazione dell’art. 6 CEDU, in materia di presunzione di innocenza e garanzia dell’ equo processo.

Diritto all’informazione e diritti dell’indagato. La decisione della Corte EDU si basa sul bilanciamento tra diritto della collettività a ricevere informazioni su fatti di rilievo pubblico e garanzia di svolgimento di un processo equo. Nel caso di specie, il primo viene ritenuto prevalente sul secondo, dato che non ne causa la violazione. Infatti, l’informazione su questioni di interesse collettivo – quale risultano essere le indagini su un magistrato corrotto – se resa in forma adeguatamente precisa non rappresenta un nocumento  allo svolgimento del giusto processo come previsto dalla Convenzione. Il procuratore si era limitato, in effetti, a fornire notizie sul procedimento, senza tuttavia sbilanciarsi sul suo esito e sottolineando, anzi, che non era stata ancora accertata la colpevolezza dell’indagato. Ne consegue che i diritti che la Convenzione garantisce all’indagato per lo svolgimento del processo penale, su tutti la presunzione di innocenza, non sono stati lesi dalle dichiarazioni dell’inquirente lette nel loro complesso. Conclude la Corte che lo Stato contro cui il ricorso è promosso non è da ritenersi responsabile, poiché non si è realizzato alcun effetto negativo sull’equo processo e non è stata scalfita la presunzione di innocenza per il magistrato indagato. 





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