C.EDU: la collettività ha diritto a
ricevere notizie sulle indagini in corso. Le dichiarazioni rese alla stampa dal
magistrato inquirente su un procedimento per corruzione in atti giudiziari a
carico di un giudice non violano la Convenzione in punto di presunzione di
innocenza e diritto all’equo processo (CEDU causa n. 39820/08, Shuvalov c.
Estonia)
Il caso. Un giudice è indagato per corruzione in atti giudiziari; durante
la fase istruttoria il magistrato inquirente rilascia alcune dichiarazioni e
comunicati stampa riguardanti lo svolgimento delle indagini sul caso. Il
giudice, condannato all’esito del processo, una volta esauriti i ricorsi
interni, presenta ricorso innanzi alla Corte di Strasburgo contro il
procuratore, ritenendo che le esternazioni di quest’ultimo rivolte ai mezzi di
comunicazione abbiano influenzato i giudici nella decisione. E' prospettata, in
particolare, la violazione dell’art. 6 CEDU, in materia di presunzione di
innocenza e garanzia dell’ equo processo.
Diritto all’informazione e diritti dell’indagato. La decisione della Corte
EDU si basa sul bilanciamento tra diritto della collettività a ricevere
informazioni su fatti di rilievo pubblico e garanzia di svolgimento di un
processo equo. Nel caso di specie, il primo viene ritenuto prevalente sul
secondo, dato che non ne causa la violazione. Infatti, l’informazione su
questioni di interesse collettivo – quale risultano essere le indagini su un
magistrato corrotto – se resa in forma adeguatamente precisa non rappresenta un
nocumento allo svolgimento del giusto processo come previsto dalla
Convenzione. Il procuratore si era limitato, in effetti, a fornire notizie sul
procedimento, senza tuttavia sbilanciarsi sul suo esito e sottolineando, anzi,
che non era stata ancora accertata la colpevolezza dell’indagato. Ne consegue
che i diritti che la Convenzione garantisce all’indagato per lo svolgimento del
processo penale, su tutti la presunzione di innocenza, non sono stati lesi
dalle dichiarazioni dell’inquirente lette nel loro complesso. Conclude la Corte
che lo Stato contro cui il ricorso è promosso non è da ritenersi responsabile,
poiché non si è realizzato alcun effetto negativo sull’equo processo e non è
stata scalfita la presunzione di innocenza per il magistrato indagato.
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