del Tribunale civile di Milano.
Quando le fonti anonime
diffamano e portano
alla condanna degli editori
di due grandi quotidiani
nonché dell’autore di un
libro e dei giornalisti
che lo hanno recensito.
(In coda la sentenza).
“Deve rispondere del danno patito dal diffamato, il giornalista che non si attivi per verificare la verità, quanto meno putativa, delle dichiarazioni rese”. Non va infatti dimenticato che “nella diffusione del contenuto di uno scritto o di una dichiarazione anonima, non è ravvisabile alcun interesse pubblico alla informazione”. Il danno (a carico degli editori di Repubblica e della Stampa) liquidato in via equitativa nella somma di euro 150.000,00, sulla base dei seguenti parametri: falsità della notizia; gravità del fatto attribuito e sua capacità offensiva (anche in riferimento alla diffusione degli strumenti utilizzati per la sua propagazione ed alla ripetizione sia nella cronaca nazionale sia regionale); enfatizzazione contenuta nei titoli; collocazione professionale e sociale dell'attore e le sua presumibili ricadute negative in tali ambiti. Parimenti fondata anche l'ulteriore domanda con la previsione di una riparazione pecuniaria nella misura di euro 7.500,00 a carico dell’autore del libro e dei 5 giornalisti che lo hanno recensito. La causa promossa da un cittadino accusato da un teste anonima di aver fatto parte di un commando dei militanti di estrema sinistra responsabili del rogo di un bar e della morte di un ragazzo.
di Sabrina Peron
avvocato in Milano
Il Tribunale civile di Milano nella sentenza che (in coda) si pubblica è
stato chiamato a valutare la diffamatorietà di alcuni brani di un libro, nel
quale veniva ricostruita una tragica vicenda legata ad episodi di violenza
politica degli anni ’70, che portarono al rogo di un bar ed alla morte di un
ragazzo. In particolare il Tribunale di Milano ha valutato se fosse, o meno,
conforme a verità l’accusa mossa alla parte attrice del procedimento di
diffamazione, di aver fatto parte del commando dei militanti di estrema
sinistra responsabili del rogo. Difatti l’autore del libro nella “manifestata
finalità di individuare nomi di “nuovi” responsabili del tragico episodio
indicava tra questi proprio l’attore, nonostante lo stesso non fosse mai stato
coinvolto nelle varie indagini giudiziarie che si erano succedute. La fonte
utilizzata dall’autore per tali accuse era anonima. Le notizie riportate nel
libro venivano successivamente riprese, rilanciate e in qualche misura ampliate
da alcuni quotidiani. Con riferimento al libro, Il Tribunale di Milano,
accertato che nei passi del medesimo riguardanti l’attore non era stato
riportato “alcun fatto storico inconfutabile” e che lo stesso veniva indicato
tra i responsabili del rogo sulla base di un’asserita “anonima testimonianza”
priva di altri riscontri e fondamenti, ha portato il Tribunale ad escludere il
legittimo esercizio del diritto di cronaca, considerato:
da un lato, la “valenza lesiva dell’onore e della reputazione” dell’attore
per i gravi reati addebitatigli;
dall’altro lato, “l’assoluta mancanza di rispetto dei criteri sia di
verità, anche solo putativa (…), sia della continenza (non è configurabile
alcun oggettivo interesse pubblico alla conoscenza di fatti fondati su
dichiarazioni anonime), sia infine della continenza (risultando violata ogni
regola di obiettività e correttezza dell’informazione)”.
Con riferimento invece agli articoli, il Tribunale di Milano, accertava:
che nel riportare la notizia (vera) della prossima uscita del libro e del
suo contenuto, gli articoli si erano concentrati sul "fatto inedito"
dell'individuazione di altri e nuovi soggetti coinvolti nell'episodio;
che dal contenuto degli articoli (e/o dai titoli) appariva immediata la
percezione del ruolo dell’attore nel grave fatto delittuoso (anzi, in alcuni
articoli, via era stata l’attribuzione all'attore condotte penalmente
rilevanti, in termini di sostanziale certezza);
che i giornalisti non si erano limitati a recensire il libro in termini
corretti, ma avevano fatto proprie le accuse mosse all’attore affidandosi alla
"minuziosa ricostruzione dell'accaduto” descritta dall’autore del libro e
alla "fonte anonima" ivi citata, arrivando anche ad esprimere giudizi
personali e valutazioni sulla vicenda ed auspicando che tali accuse potessero
essere “sottoposte al vaglio dell'autorità giudiziaria, con una tanto evidente
quanto malcelata convinzione della loro fondatezza, concretamente idonea a
creare nel lettore una falsa rappresentazione della realtà”.
Ciò posto, il Tribunale di Milano ha ritenuto che la diffusione della
notizia non costituisse legittimo esercizio del diritto di cronaca. In
particolare ad avviso del Tribunale, “non è certamente sufficiente ancorare il
criterio della verità al solo fatto della pubblicazione del libro per ritenere
consentita anche la pubblicazione di specifiche affermazioni contenute nel
testo, lesive dell'onore e della reputazione altrui, senza considerare che è
rispetto a queste ultime che va valutata la sussistenza delle condizioni
fissate dalla giurisprudenza in materia, non rispettate nell'articolo in
esame”. Sul presupposto dunque che nessuna particolare attendibilità possa
riconoscersi ad un libro quale alla "fonte" ed “ancor meno al suo
anonimo interlocutore, anche quando vengono pubblicate dichiarazioni rese da
terzi, aventi contenuto diffamatorio”; deve di conseguenza rispondere del danno
patito dal diffamato, il “giornalista che non si attivi per verificare la
verità, quanto meno putativa, delle dichiarazioni rese”. Non va infatti
dimenticato che “nella diffusione del contenuto di uno scritto o di una
dichiarazione anonima, non è ravvisabile alcun interesse pubblico alla
informazione (Cass. n. 11004/2011) e che il privatissimo contesto in cui le
dichiarazioni riportate sono state rilasciate non poteva certamente esimere i
giornalisti dall'obbligo di accuratamente controllare l'attendibilità della
fonte prima di pubblicare accuse di tale gravità”.
Accertata la responsabilità dei convenuti, per i profili risarcitori, il
Tribunale di Milano ha statuito come segue.
Quanto ai danni patrimoniali, la domanda attorea è stata rigettata in
assenza di idonea prova degli stessi (ad avviso del Tribunale non era stato
provato che la lamentata interruzione del rapporto e conseguente la contrazione
del reddito, fossero conseguenza delle notizie diffamatorie; parimenti sfornita
di prova era rimasta la dedotta perdita di opportunità lavorative).
Quanto al danno non patrimoniale, ne è stata riconosciuta l’esistenza, “ex
art. 2059 c.c., nella forma della sofferenza soggettiva causata dall'ingiusta
lesione del diritto inviolabile inerente alla dignità della persona ex art. 2 e
3 Cost. sulla base dei principi enunciati dalle Sezioni Unite della Suprema
Corte con la sentenza n. 26972/08 (anche sentenze n. 26973/08, n. 26974/08, n.
26975/08)”. Ad avviso del Tribunale con tale “pronuncia non solo sono stati
composti i precedenti contrasti sulla risarcibilità del c.d. danno
esistenziale, ma si è operato anche un approfondimento della nozione di danno
non patrimoniale individuandone i presupposti e prevedendo che anche quando sia
determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona costituisce danno
conseguenza (Cass. nn. 8827 e 8828/03 e n. 16004/03) che deve essere allegato e
provato. Attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il
ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e
potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del
giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri".
Tale danno è stato liquidato in via equitativa nella somma di € 150.000,00,
sulla base dei seguenti parametri: falsità della notizia; gravità del fatto
attribuito e sua capacità offensiva (anche in riferimento alla diffusione degli
strumenti utilizzati per la sua propagazione ed alla ripetizione sia nella
cronaca nazionale sia regionale); enfatizzazione contenuta nei titoli; collocazione
professionale e sociale dell'attore e le sua presumibili ricadute negative in
tali ambiti.
E risulta parimenti fondata anche l'ulteriore domanda ex art. 12 L. n.
47/1948 con la previsione di una riparazione pecuniaria nella “misura di € 7.500,00
da porsi a carico di ciascuno dei giornalisti e dell'autore del libro, senza
vincolo di solidarietà”. Il Tribunale è pervenuto a “tale conclusione sulla
scorta di quella giurisprudenza che individua nella riparazione ex art. 12 una
ipotesi eccezionale di pena pecuniaria privata - che può essere chiesta anche
al giudice civile - che non si sostituisce ma si aggiunge al risarcimento del
danno (Cass. n. 14761/2007; Cass. n. 14485/2000), a valere nei confronti del
solo soggetto autore dello scritto, ed a carico del quale sono stati accertati
tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione, con esclusione
quindi della società editrice e del direttore responsabile la cui
responsabilità è stata individuata esclusivamente in termini di omesso controllo
(Cass. n. 17395/2007)”. Tale ultimo importo è stato determinato in via
equitativa applicando i parametri valutativi “della gravità dell'offesa nei
termini sopra illustrati e della diffusione del mezzo di comunicazione; la
natura giuridica della riparazione” (peraltro tale funzione sanzionatoria e non
risarcitoria, porta il Tribunale ad escludere la rivalutazione monetaria e
l’applicazione degli interessi legali).
Il Tribunale ha invece rigettato la domanda di cancellazione degli articoli
dai siti web, relativamente ai quali è stata tuttavia accolta, in
considerazione dell'amplificazione della notizia diffamatoria, la domanda di
pubblicazione ex art. 120 c.p.c., “da intendersi come inserimento della
decisione negli stessi”.
Da ultimo si rileva altresì che il Tribunale ha ritenuto che nel caso di
specie sussistessero le condizioni di cui “all'art. 33 c.p.c., per identità di
"causa pretendi" da individuarsi nella lesione del diritto all'onore
e alla reputazione de’’attore, determinata dalla diffusione delle medesime
notizie a lui relative in un ristretto ambito cronologico, pur con diversi
strumenti” (con ciò correttamente richiamando l’insegnamento della Corte di
Cassazione in materia: Cass. n. 11560/2004; Cass. n. 5944/1997).
(Tribunale di Milano, sez. I, 12.09.2011, G.U. Massari, Diffamazione e
fonti anonime)
Per leggere la sentenza clicca qui: Tribunale Milano
12 settembre 2011.pdf
Sentenza tratta con autorizzazione da:
Juris Data Giuffrè
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