FOTO DI ARRESTATI
IN MANETTE SUI GIORNALI.
Sanzione dell’avvertimento per Paolo
Mieli, direttore del Corriere della Sera all’epoca del fatto, comminata in
primo grado amministrativo dal Consiglio dell’Ordine della Lombardia
(presidente Franco Abruzzo, relatore Sergio d’Asnasc). In coda la delibera del
Consiglio dell’Ordine di Milano.
Roma, 9 ottobre 2012 - Mai più foto di
arrestati con manette ai polsi sui giornali. Lo intima la Cassazione,
ricordando che la pubblicazione di simili immagini sono contrarie al codice
deontologico dei giornalisti. In questo modo, la Terza sezione civile ha
convalidato la legittimità della sanzione disciplinare dell'avvertimento nei
confronti di Paolo Mieli, ex direttore del 'Corriere della Sera'. Nel
dettaglio - come ricostruisce la sentenza 17158 – la sanzione disciplinare era
stata decisa il 10 luglio 2006 dal Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della
Lombardia (presidente Franco Abruzzo, relatore Sergio
d’Asnasc, ndr) e un secondo grado dal
Consiglio nazionale dell'Ordine dei Giornalisti (presidente Lorenzo del Boca,
ndr), in relazione alla pubblicazione di una foto, il 10 settembre 2005, che
ritraeva Guglielmo Gatti, imputato di omicidio dei coniugi Donegani, mentre
veniva portato in Tribunale con le manette ai polsi. La Suprema Corte ha
dichiarato inammissibile il ricorso di Mieli, convalidando la decisione della
Corte d'appello di Milano (maggio 2008). (fonte: Adnkronos)
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Delibera disciplinare 10 luglio 2006 del
Consiglio dell’Ordine della Lombardia
Il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia
nella sua seduta del 10 luglio 2006;
sentito il consigliere istruttore, Sergio D’Asnasch (articolo
6 della legge 7 agosto 1990 n. 241);
visti gli articoli 2 e 48 della legge 3.2.1963 n. 69 sull’ordinamento della
professione giornalistica; la Carta dei doveri dei giornalisti e
l’articolo 8 del Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali
nell’esercizio dell’attività giornalistica (meglio noto come Codice
deontologico sulla privacy);
lette la sentenza n. 11/1968 della Corte costituzionale secondo la quale l’Ordine <....con
i suoi poteri di ente pubblicovigila, nei confronti di tutti e
nell'interesse della collettività, sulla rigorosa osservanza di quella dignità
professionale che si traduce, anzitutto e soprattutto, nel non abdicare mai
alla libertà di informazione e di critica e nel non cedere a sollecitazioni che
possano comprometterla> e la sentenza n. 7543 del 9 luglio 1991 (Mass.
1991) della Cassazione civile secondo la quale ;
espletati gli accertamenti e le sommarie informazioni di cui agli
articoli 6/b della legge 241/1990 e 56 della legge 69/1963;
tenuto conto della sentenza 14 dicembre 1995 n. 505
della Corte costituzionale;
visti altresì gli atti del procedimento;
Considerato quanto segue:
1. Fatti. Avviso disciplinare e apertura del procedimento disciplinare.
La segreteria di questo Consiglio ha acquisito copia del Corriere
della Sera del 10 settembre 2005, che, alla pagina 16, pubblica
l’immagine di un cittadino in manette da ritenere ancora “innocente” o “non
colpevole”, non avendo subito condanne penali definitive. La foto porta la
firma del fotogiornalista Stefano Cavicchi (iscritto nell’elenco
pubblicisti dell’Albo di Bologna).
In data 14 settembre 2005, il presidente dell’Ordine ha fatto
notificare al giornalista professionista Paolo Mieli avviso disciplinare (che
fa parte integrante di questo provvedimento), contestando il fatto e
illustrando la normativa sul punto, con l’invito a trasmettere,
entro 30 giorni, le controdeduzioni. Mieli non ha ritenuto in questa
fase del procedimento di doversi difendere.
In data 2 maggio 2006, il Consiglio ha deliberato di aprire il procedimento
disciplinare sulla base di queste prime considerazioni:
“Il rispetto della dignità della persona (art. 2 legge 69/1963) è un limite
costituzionale (sentenza 293/2000 della Corte costituzionale)
all’esercizio del diritto di cronaca e di critica.
Il Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali
nell’esercizio dell’attività giornalistica (meglio noto come Codice
deontologico dei giornalisti sulla privacy) all’articolo 8 (Tutela
della dignità della persona) afferma: “Salva l'essenzialità
dell'informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o
fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesivi della dignità della
persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la
rilevanza sociale della notizia o dell'immagine. Salvo rilevanti
motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il
giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di
detenzione senza il consenso dell'interessato. Le persone non possono essere
presentate con ferri o manette ai polsi, salvo che ciò sia necessario per
segnalare abusi”.
Tra i principi della Carta dei doveri figura
quello che impegna i giornalisti “a non pubblicare
immagini o fotografie.... comunque lesive della dignità della persona”.
Dalle “carte” (pag. 16 del Corriere della Sera del 10 settembre 2005)
affiorano elementi tali da configurare, in via di ipotesi, a carico di Paolo
Mieli , l’accusa
a) di aver violato l’obbligo di esercitare con dignità e
decoro la professione (articolo 48 della legge 69/1963
sull’ordinamento della professione di giornalista);
b) di aver violato il principio di promuovere la fiducia tra la
stampa e i lettori (articolo 2 della legge 69/1963), pubblicando una
foto che lede il principio della dignità della persona;
c) di non aver rispettato la propria reputazione e
la dignità dell'Ordine professionale (articolo 48 della legge professionale
69/1963).
d) di essere venuto meno ai doveri e agli obblighi di vigilanza propri
di un direttore responsabile di quotidiano”.
In quella occasione il Consiglio sottolineò che “l’iniziativa non
comporta, neppure implicitamente, alcuna pronuncia di colpevolezza, ma
costituisce mero atto preliminare alla valutazione dei fatti da parte del
Consiglio, tenuto ad esercitare il potere disciplinare ex art. 2229
del Codice civile ed art. 1 (V comma) della legge n.
69/1963 (Cass. sez. un. civili 25 ottobre 1979 n. 5573)”.
2. La posizione del fotogiornalista
Stefano Cavicchi.
Il Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna, nella seduta
dell’11 ottobre 2005, ha archiviato la posizione del fotogiornalista Stefano
Cavicchi, ritenendo “che il lavoro del fotoreporter giornalista consista nel
fornire al collega professionista che opera al desk, e che quindi non ha avuto
la possibilità dì essere presente al fatto di cronaca, quanti più elementi
possibili per una completa e corretta comprensione della notizia. La scena, il
susseguirsi degli eventi e il luogo, vanno perciò rappresentati in tutta la
loro complessità e ampiezza, anche con particolari raccapriccianti che mai
troverebbero pubblicazione, come ad esempio in occasione di tragici incidenti o
disastri naturali. Il fotogiornalista si limita a consegnare il materiale che
ha prodotto, spesso in una corsa contro il tempo per i ritmi impostigli dalla
redazione, ben conscio che non spetta a lui decidere l'immagine che andrà in
pagina. É dunque spetta al giornalista al deslz, che disegna il menabò, sceglie
il formato orizzontale o verticale della foto, la sua collocazione (sfumandola,
pixandola, ecc.) decidere come "tagliare" l'immagine e impaginarla”.
3. La difesa di Paolo Mieli.
Nella seduta del 10 luglio 2006, Paolo Mieli non si è presentato di fronte
al Consiglio, ma ha dato delega all’avvocato Caterina Malavenda di
rappresentarlo in giudizio. Il legale ha sviluppato le linee difensive
illustrate da Paolo Mieli nella memoria datata 5 luglio 2006, che di seguito
viene riportato integralmente:
“Illustri Colleghi, ho ricevuto la delibera con la quale il Consiglio,
convocandomi per la seduta dell’11 luglio p.v., ha aperto a mio carico
procedimento disciplinare, per la pubblicazione, a pag. 16 del "Corriere
della Sera" del 10 settembre 2005, di una foto di Guglielmo Gatti,
protagonista di un grave fatto di cronaca, mentre in manette viene portato in
Tribunale.
Mi si contesta di averne così leso la dignità personale, poiché Gatti deve
ritenersi "innocente" e "non colpevole", non essendo ancora
intervenuta una sentenza di condanna definitiva.
Intendo, innanzitutto, scusarmi poiché l’11 luglio non potrò essere
presente. Proprio, in quei giorni, dovrò effettuare i consueti controlli medici
che precedono le ferie.
Le mie ragioni saranno, perciò, rappresentate dal mio avvocato. Credo,
però, sia mio preciso dovere illustrare le ragioni per le quali la foto in
questione è stata pubblicata.
Mi è ovviamente noto che sia il codice di procedura penale, sia il codice
deontologico, collegato alla legge sulla privacy, vietano la pubblicazione di
immagini di persone in stato di detenzione e sottoposte all’uso di manette ai
polsi o di altro mezzo di coercizione fisica.
Per tale ragione, ho dato da tempo alla mia redazione precise disposizioni
per evitare che ciò si verifichi. Chiunque legga il giornale da me diretto, può
verificare il costante rispetto di tali indicazioni.
Venendo alla foto di Guglielmo Gatti, vorrei sottolineare che la
pubblicazione è avvenuta il 9 settembre 2005, vale a dire in un periodo in cui
abitualmente sono in ferie, pur mantenendo, ovviamente, ogni responsabilità
connessa al mio ruolo.
Ho letto, peraltro, quanto osservato dal Consiglio dell'Ordine dei
giornalisti dell’Emilia Romagna, nell’archiviare la posizione del
fotogiornalista Stefano Cavicchi, autore della foto in questione: “Spetta al
giornalista al desk, che disegna il menabò, sceglie il formato orizzontale o
verticale della foto, la sua collocazione (sfumandola, pixandola, ecc.)
decidere come «tagliare» l'immagine ed impaginarla”
Ciò non vuol dire che io mi senta sollevato dall’obbligo di verificare che
ciò, volta per volta accada, ma solo che, essendo la foto in questione stata
pubblicata a pag. 16 di una edizione sostanzialmente estiva, la stessa, di
fatto, non è stata sottoposta materialmente al mio controllo.
Pur assumendomi ogni responsabilità, sotto il profilo formale vorrei
ricordare che la struttura del "Corriere della Sera" comporta che di
ciascuna pagina si occupino, a rotazione, i giornalisti incaricati di
"disegnarle" e di chiuderle, secondo le indicazioni fornite dalla
Direzione.
Con riferimento, poi, al caso concreto, vorrei sottolineare che la
circostanza che il Gatti non fosse in alcun modo da considerarsi colpevole dei
reati contestatigli, è resa evidente dalla stessa didascalia della foto, sotto
cui si legge “Autodifesa - Guglielmo Gatti viene portato in Tribunale, dove
ieri ha parlato per la prima volta”.
Anche l’articolo, a corredo del quale la foto è stata pubblicata, è
favorevole al Gatti, illustrando la linea difensiva sostenuta davanti ai
giudici del Tribunale del riesame di Brescia, che, in quei giorni, dovevano
decidere della sua remissione in libertà.
Intendo dire che, ferma restando la opinabile decisione di pubblicare la
foto di Gatti in manette, il rispetto nei confronti della sua persona e della
verità processuale è di tutta evidenza.
La ragione per la quale chi ha “disegnato” la pagina ha deciso di
pubblicare interamente la foto risiede, probabilmente, nel fatto che quella era
il solo modo per documentare l'arrivo di Gatti in Tribunale.
L’udienza, l’unico momento nel quale le manette sarebbero state
temporaneamente eliminate, era, infatti, a porte chiuse.
Certo si sarebbe potuta tagliare la parte bassa, eliminando le manette, ma
questo mi sarebbe sembrato solo un espediente ipocrita. Guglielmo Gatti,
infatti, è rimasto costantemente fra i due agenti di scorta e, dunque, la
materiale e artificiale eliminazione delle manette non avrebbe impedito ai
lettori di percepirne ugualmente lo stato di “coercizione fisica”.
E’ sembrato, dunque, più onesto e corretto, nei confronti dei lettori e
dell’interessato, pubblicare la foto, così come realizzata da Cavicchi,
corredandola di tutti gli elementi necessari ad evidenziare la esatta
situazione processuale.
Vi prego di credere che non si è voluto lederne la dignità di Guglielmo
Gatti, nè anticipare un giudizio di colpevolezza, che sarà riferito ai lettori
solo se e quando dovesse intervenire una condanna definitiva. Vi ringrazio per
l’attenzione”.
4. Conclusioni.
Il Consiglio non condivide l’impostazione difensiva del direttore del
“Corriere della Sera”. Paolo Mieli scrive:
a) Mi è ovviamente
noto che sia il codice di procedura penale, sia il codice deontologico,
collegato alla legge sulla privacy, vietano la pubblicazione di immagini di
persone in stato di detenzione e sottoposte all’uso di manette ai polsi o di
altro mezzo di coercizione fisica. Per tale ragione, ho dato da tempo alla mia
redazione precise disposizioni per evitare che ciò si verifichi. Chiunque legga
il giornale da me diretto, può verificare il costante rispetto di tali
indicazioni.
b) Venendo alla
foto di Guglielmo Gatti, vorrei sottolineare che la pubblicazione è avvenuta il
9 settembre 2005, vale a dire in un periodo in cui abitualmente sono in ferie,
pur mantenendo, ovviamente, ogni responsabilità connessa al mio ruolo.
c) Ho letto,
peraltro, quanto osservato dal Consiglio dell'Ordine dei giornalisti
dell’Emilia Romagna, nell’archiviare la posizione del fotogiornalista Stefano
Cavicchi, autore della foto in questione: “Spetta al giornalista al desk,
che disegna il menabò, sceglie il formato orizzontale o verticale della foto,
la sua collocazione (sfumandola, pixandola, ecc.) decidere come «tagliare»
l'immagine ed impaginarla”. Ciò non vuol dire che io mi senta sollevato
dall’obbligo di verificare che ciò, volta per volta accada, ma solo che,
essendo la foto in questione stata pubblicata a pag. 16 di una edizione
sostanzialmente estiva, la stessa, di fatto, non è stata sottoposta
materialmente al mio controllo. Pur assumendomi ogni responsabilità, sotto il
profilo formale vorrei ricordare che la struttura del "Corriere della
Sera" comporta che di ciascuna pagina si occupino, a rotazione, i
giornalisti incaricati di "disegnarle" e di chiuderle, secondo le
indicazioni fornite dalla Direzione.
d) Con riferimento,
poi, al caso concreto, vorrei sottolineare che la circostanza che il Gatti non
fosse in alcun modo da considerarsi colpevole dei reati contestatigli, è resa
evidente dalla stessa didascalia della foto, sotto cui si legge “Autodifesa
- Guglielmo Gatti viene portato in Tribunale, dove ieri ha parlato per la prima
volta”. Anche l’articolo, a corredo del quale la foto è stata pubblicata, è
favorevole al Gatti, illustrando la linea difensiva sostenuta davanti ai
giudici del Tribunale del riesame di Brescia, che, in quei giorni, dovevano
decidere della sua remissione in libertà. Intendo dire che, ferma restando la
opinabile decisione di pubblicare la foto di Gatti in manette, il rispetto nei
confronti della sua persona e della verità processuale è di tutta evidenza. La
ragione per la quale chi ha “disegnato” la pagina ha deciso di pubblicare
interamente la foto risiede, probabilmente, nel fatto che quella era il solo
modo per documentare l'arrivo di Gatti in Tribunale.
Va detto preliminarmente che Paolo Mieli non ha fornito al Consiglio il
nome della persona, che lo avrebbe sostituito nel settembre 2005, durante il
periodo da lui “abitualmente” dedicato alle ferie, con il compito
di controllare i materiali pubblicati sul “Corriere della Sera”. Il
Consiglio pertanto si è trovato nella impossibilità di individuare la persona
che risponda dell'omissione di controllo riferita alla pubblicazione della foto
di Guglielmo Gatti in manette. Paolo Mieli peraltro non ha fornito alcuna prova
sulle “precise disposizioni” date alla sua redazione circa il
rispetto delle regole deontologiche tanto che recentemente il direttore del
“Corriere della Sera” ha ricevuto un avviso disciplinare con
riferimento agli articoli pubblicati dal “Corriere della Sera” sul Savoiagate
in violazione presunta, anche questa volta, del principio della tutela della
dignità della persona.
Le responsabilità del direttore abbracciano tutto quello che viene
pubblicato sul giornale. Sta a lui organizzarsi in maniera tale che le sue
strutture redazionali vigilino sul rispetto delle regole deontologiche della
professione. A norma dell'articolo 3 della legge 47/1948 sulla
stampa, "ogni giornale (o altro periodico) deve avere "un direttore
responsabile". “Si desume dal significato complessivo della disposizione -
in cui l'articolo indeterminato (un) ha anche un valore numerale - che il
direttore indicato a norma dell'articolo 5 della stessa legge come responsabile
risponde del mancato controllo del contenuto del giornale considerato
unitariamente e in ogni sua parte” (Cassazione penale, Sez. V, sent. n. 2817 dell’11-04-1986).
Le norme citate nel punto 1 comprimono il
diritto di cronaca (anche fotografica) nel senso che la tutela della dignità
della persona è un limite invalicabile. E’ vero che “che di ciascuna
pagina si occupino, a rotazione, i giornalisti incaricati di
"disegnarle" e di chiuderle, secondo le indicazioni fornite dalla
Direzione”, ma è anche vero, soprattutto per chi ha una minima conoscenza della
vita redazionale, che sul lavoro dei redattori e dei capi dei singoli servizi,
vegliano la caporedazione e poi i vicedirettori. Nel caso specifico la catena
di comando è saltata o è stata elusa. Di queste incongruenze o
lacune organizzative anche sul piano deontologico risponde il direttore
responsabile del “Corriere della Sera”.
Sta di fatto che Guglielmo Gatti appare, su due colonne, nella
pagina 16 del giornale del 10 settembre 2005, in manette tra due
agenti di polizia penitenziaria. Le moderne tecniche fotografiche consentivano
di isolare l’immagine del protagonista del fatto. Le manette non
erano essenziali ai fini di documentare l’arrivo di Gatti in
tribunale. Il Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali
nell’esercizio dell’attività giornalistica (meglio noto come Codice
deontologico dei giornalisti sulla privacy) parla chiaro in tema di
salvaguardia della dignità della persona arrestata e in tema di essenzialità
dell’informazione. Percepire un cittadino arrestato in manette è una
realtà soggettiva. La legge non vuole che lo stesso appaia in manette,
cioè in una condizione degradante e umiliante. Un titolo e una
cronaca per quanto “favorevoli” non annullano e non possono annullare la
pubblicazione della foto. E’ cruciale quello che scrive il Consiglio
dell’Ordine dell’Emilia Romagna: “Spetta al giornalista al desk, che disegna
il menabò, sceglie il formato orizzontale o verticale della foto, la sua
collocazione (sfumandola, pixandola, ecc.) decidere come «tagliare» l'immagine
ed impaginarla”. Ciò non è avvenuto. E di ciò Paolo Mieli porta
intera la responsabilità per non aver controllato, anche tramite la sua
struttura di vertice, il giornale e per non aver impartito rigorose
disposizioni di carattere deontologico. Non basta conoscere le
regole, come rivendica Mieli, ma bisogna anche applicarle e farle
applicare puntualmente. I doveri di un direttore responsabili sono
pesanti e per questo ben retribuiti;
PQM
il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti della Lombardia,
valutati i fatti addebitati alla luce delle analisi deontologiche di cui al
punto 1 di questo atto amministrativo,
delibera
di sanzionare con la censura (articolo 53 legge n. 69/1963) il giornalista
professionista Paolo Mieli, direttore responsabile del “Corriere della Sera”: “La
censura, da infliggersi nei casi di abusi o mancanze di grave entità, consiste
nel biasimo formale per la trasgressione accertata”.
Avverso la presente deliberazione (notificata ai controinteressati ex legge
n. 241/1990) può essere presentato (dall’interessato e dal Procuratore generale
della Repubblica) ricorso al Consiglio nazionale dell'Ordine dei Giornalisti
(Lungotevere dei Cenci 8, 00186 Roma) ai sensi dell'articolo 60 della legge n.
69/1963 nel termine di 30 giorni dalla notifica del provvedimento stesso e
secondo le modalità fissate dagli artt. 59, 60, e 61 del Dpr 4 febbraio 1965 n.
115.
Franco Abruzzo, presidente dell'OgL - estensore
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