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venerdì 2 novembre 2012


A SCOMPARSE DA CASTELVOLTURNO – IL MARITO DELLA DONNA EX DIRETTORE SANITARIO DI POGGIOREALE NON NE HA DENUNCIATO LA SCOMPARSA – LE INDAGINI DELLA SQUADRA MOBILE DI CASERTA –

 

     


Castelvolturno – dall’inviato – Ferdinando Terlizzi –






Ha fatto moltro scalpore ieri la notizia  secondo la quale Elisabetta Grande e sua figlia Maria sono scomparse nel nulla. Il marito della donna, il dottor Domenico Belmonte, non ha denunciato nulla alle autorità, non ha mai chiesto aiuto ai parenti né lanciato alcun grido di allarme. La famiglia di Elisabetta ha chiesto aiuto a Chi L’Ha Visto? e l’inviato della trasmissione ha provato a raggiungere l’uomo nella sua abitazione di Castelvolturno, senza però riuscire a parlare con lui o ottenere una sua collaborazione.
In studio cera  il dottor Lorenzo Grande, fratello della donna, che  temòo addietro ha presentato una denuncia alla Questura di Caserta Nel co
Rso della trasmissione ha lanciato un appello all’ex marito di Maria Belmonte, che potrebbe conoscere qualche dettaglio in più sulla scomparsa delle due donne. Difficile crede, come sottolineato dalla conduttrice Federica Sciarelli, che nessuno tra i vicini di casa e i conoscenti di Elisabetta e Maria non sappiano nulla.
Il Dr. Grande ha dichiarato che soltanto recentemente avendo necessità di una firma della sorella per una eredità aveva riallacciato i rapporti ma non è riuscito ad avere notizie concrete della sorella e della nipote.

Scavando nella vita del Dr. Belmonte si è venuto a sapere che nel   1997 nel Carcere di Poggioreale fini’  nei guai il direttore per epidemia di epatite si trattava  proprio di Domenico  Belmonte marito e padre della coppia   "Non seppe evitare i contagi"  Il caso nacque  dalla denuncia di un detenuto poi scagionato e rimesso in liberta' mentre il dr. Belmonte venne  processato per non essersi preoccupato di evitare il contagio dell'epatite C all'interno del carcere.

Salvatore Acerra, direttore del penitenziario di Poggioreale, fu  rinviato a giudizio dai magistrati napoletani che avevano aperto un'inchiesta sulla malattia virale contratta da un detenuto, poi prosciolto dalle accuse e scarcerato. Insieme con Acerra fu  rinviato a giudizio anche Domenico Belmonte, direttore sanitario del centro clinico della prigione. I due dovevano  rispondere di lesioni gravissime "per non aver disposto l'isolamento di detenuti sospettati di avere l'epatite C e di quelli riconosciuti affetti dalla malattia a fine di evitare il contagio". L'inchiesta fu avviata in seguito a un esposto firmato da G.C., finito dietro le sbarre del carcere di Poggioreale nei primi mesi del '94 con l'accusa di associazione a delinquere. L'uomo si rivolse ai magistrati sostenendo che, durante il periodo di detenzione, aveva contratto l'epatite C per colpa delle cattive condizioni igieniche e per lo stato di promiscuita' all'interno del penitenziario.

Dopo una serie di accertamenti disposti dalla Procura vennero  a galla molte verita'. Innanzitutto che G.C fu effettivamente colpito dalla malattia mentre era detenuto e, inoltre, che il virus potrebbe essere stato trasmesso attraverso una lametta da barba. Secondo testimoni, il barbiere del carcere avrebbe usato per mesi lo stesso rasoio, senza mai sterilizzarlo, con il quale radeva decine e decine di detenuti.

Ma anche se non si fosse mai seduto su quella poltrona da barbiere, per G.C. sarebbe stato quasi impossibile sfuggire al virus: fu rinchiuso in una cella con nove persone, di cui sei affette da epatite C. Lo hanno accertato i magistrati. Che hanno scoperto pure che nel periodo in cui l'uomo era detenuto di persone in carcere affette dalla malattia ce n'erano circa 350. E i dati raccolti all'interno di Poggioreale dagli inquirenti fino all'anno scorso non sono certo piu' confortanti: 47 casi di epatite B, 286 di epatite C e 24 di Aids. Che il penitenziario napoletano sia sovraffollato e che le condizioni di vivibilita' siano davvero precarie, questo e' stato denunciato piu' volte in passato da detenuti e non. L'inchiesta ha tuttavia un record, di essere la prima in Italia a essersi conclusa con il rinvio a giudizio del direttore di un carcere per reati legati alla trasmissione di una malattia virale.


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