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giovedì 1 novembre 2012

Il ddl sulla diffamazione
in aula il 7 novembre.

UNA VENDETTA, COSI'
SI SOFFOCA LA
LIBERTA' DI STAMPA

di Giuseppe F. Mennella
l’Unità 31/10/2012


CAPIGRUPPO: TESTO TORNA IN AULA MERCOLEDI’7/11

Roma, 31 ottobre 2012. Il ddl sulla diffamazione dovrebbe tornare all’esame dell’Aula del Senato mercoledì prossimo, 7 novembre. Lo ha stabilito la Conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama. Ma “senza precisare - spiega il presidente dei senatori Udc Giampiero D’Alia - se questo debba avvenire anche nel caso in cui la Commissione Giustizia non abbia ancora concluso il riesame del testo…”.(ANSA).



Forse è il caso di chiuderla qui: cogliere l'occasione del provvidenziale rinvio in Commissione Giustizia del disegno di legge sulla diffamazione a mezzo stampa per non farne più niente. Eviterete così di partorire un mostricciatolo di norme liberticide, aggravate da topiche di tipo teorico, logico, giudiziario e politico. Ha detto la senatrice Silvia Della Monica: "Sarebbe il caso di fermare l'iter legislativo di questo testo". Si tratta della relatrice del provvedimento e, professionalmente, è un magistrato. Diciamo: un parere autorevole e informato.

Le norme del ddl, considerate singolarmente e nel loro complesso, hanno il sapore amaro della vendetta che settori della politica stanno gustando fredda: hanno colto al volo l'occasione-Sallusti per un regolamento dei conti con giornalisti e giornali ficcanaso e cani da guardia. Il fatto che la libertà di stampa non sia un privilegio dei giornalisti ma un diritto dei cittadini non conta. Al Senato è in scena uno scontro senza precedenti tra due poteri: quello politico-legislativo e il Quarto Potere, che avrebbe la funzione di controllare gli altri tre. Sostituire gli articoli del Codice penale e della legge sulla stampa del 1948, che prevedono la pena del carcere per i giornalisti convertibile in multa, con norme bavaglio e capestro è puro sadismo, per la semplice ma decisiva ragione che imporre rettifiche non motivate, interdire dalla professione, condannare al risarcimento del diffamato e a restituire finanziamenti pubblici, non prevedere la sanzione per lite temeraria significa voler soffocare la libertà di stampa, ridurre i cronisti a velinari e i cittadini a popolo disinformato. E questo senza toccare l'attuale ordinamento: oggi un presunto diffamato può querelare l'autore dell'articolo e il direttore del giornale, attendere la sentenza e poi citarli davanti al giudice civile per chiedere il risarcimento del danno. Ma può anche esperire le due strade insieme: querela i giornalisti, costituendosi parte civile,  e chiede i danni in  sede civile all'editore della testata. O ancora: querela giornalisti ed editore, senza costituirsi parte civile, e nello stesso tempo li cita tutti in sede civile. Se perde, il presunto diffamato pagherà il suo avvocato e partita chiusa. Se il Senato non interrompesse l'iter del disegno di legge sulla diffamazione potremmo avere un effetto perverso perfino dalla buona norma che fissa a 50 mila euro il tetto di risarcimento per la diffamazione aggravata dal mezzo della stampa e dall'attribuzione del fatto determinato.  Ragiona il presunto offeso: c'è il tetto, non c'è più il carcere, avanti tutta con le cause civili e le richieste milionarie di risarcimento per danni patrimoniali e non patrimoniali. Quando - tra gli anni Ottanta e Novanta - ho avuto l'onore di fare il direttore responsabile dell'Unità non ho mai temuto le sentenze del Tribunale penale, ma soltanto le decisioni del giudice civile e i rischi di risarcimenti insopportabili per me e per il giornale.  Come quella mattina che alla porta di casa bussò l'Ufficiale giudiziario....

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Il  testo del ddl sulla riforma del reato di diffamazione a mezzo stampa





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