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mercoledì 5 dicembre 2012

L'ERGASTOLO E' COME LA PENA DI MORTE 

Francesco Lo Piccolo

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Ha superato quota ventimila firme l'appello lanciato alcuni mesi fa da www.carmelomusumeci.comcontro il carcere a vita, in particolare contro il cosiddetto "ergastolo ostativo", una pena senza fine che in base all'articolo 4 bis dell'Ordinamento Penitenziario, mod. Legge 356/92, nega - in mancanza di una collaborazione processuale - ogni misura alternativa al carcere e ogni beneficio penitenziario a chi è stato condannato per reati associativi.
Hanno firmato e firmano contro l'ergastolo uomini, donne, gente di ogni partito, personaggi autorevoli, tra i tanti Margherita Hack, Gino Strada, Susanna Tamaro, Giuliano Amato, Erri De Luca, Roberto Vecchioni, Paolo Crepet... Qualche settimana fa ha aderito anche il professor Umberto Veronesi "in considerazione che il cervello di una persona, compreso chi ha commesso un crimine, cambia e si rinnova per cui dopo anni non è più la stessa persona". Più recentemente, infine, su posizioni opposte, sono intervenuti Roberto Saviano ("lo Stato non può non tentare il tutto per tutto per recuperare chiunque") e Marco Travaglio ("Ma senza carcere a vita la mafia ringrazia") e ancora, ieri, la Comunità Papa Giovanni XXIII.
Personalmente, come ho già detto in altre occasioni, sono nettamente contrario all'ergastolo, anch'io ho firmato l'appello. Ma sul caso ho voluto confrontarmi con chi vive il carcere quotidianamente: ne ho parlato con Massimo Di Rienzo, direttore pro tempore del carcere di Sulmona e direttore del casa circondariale di Lanciano il quale mi ha subito rivelato il suo pensiero: l'ergastolo equivale alla pena di morte; se la pena di morte è stata abolita perché è una barbarie altrettanto una barbarie è la pena perpetua.
Direttore Di Rienzo, anche lei dunque nettamente contrario al carcere a vita."L'ergastolo in sé, come pena, risponde ad un unico fine: quello di togliere per sempre la possibilità di agire a chi ha commesso un efferato delitto. In concreto non fa quello che dovrebbe invece essere la funzione di uno stato moderno e cioè quella restituire alla società il reo dopo un numero di anni di carcere corrispettivo all'entità del reato commesso. Dunque sono contrario".



Quindi il suo ragionamento parte dall'applicazione del principio sancito dall'articolo 27 della Costituzione.
"Esattamente. Se partiamo dal principio che la pena deve tendere alla rieducazione, e - se come è giusto che sia - questo principio generale vale per tutti, non si vede perché non dovrebbe valere anche per quelle persone la cui colpa è quella di aver commesso un delitto più grave. L'ergastolo in linea di principio non ha alcuna finalità se non quello del puro e semplice contenimento e dunque "garantisce" una astratta salvaguardia della società da eventuali rischi. Di conseguenza, se è questo il presupposto per cui teniamo una persona in carcere a vita ecco che ideologicamente l'ergastolo è equivalente alla pena di morte; da questo punto di vista tra ergastolo e pena di morte non ci sarebbe grande differenza".

E l'Italia ha abolito la pena di morte nel 1947.

"Perché era una barbarie del passato. E pertanto, se era ed è tuttora una barbarie, altrettanto è soggetta a censura anche la pena perpetua che è l'ergastolo".

Molti sostengono che l'ergastolo non esiste più, che per via di benefici vari, in realtà il carcere a vita non lo fa più nessuno.

"Una favola. Smentita dai fatti e che io stesso constato in prima persona. Conosco più di un detenuto di cinquanta e passa anni che è in carcere da almeno trent'anni per gravi delitti di mafia e che è finito in carcere giovanissimo perché era un killer della criminalità organizzata. Ed è ancora in cella. Nelle carceri italiane, inoltre, ci sono almeno 800 ergastolani cosiddetti ostativi, ai quali in forza delle leggi introdotte nel '92, sull'onda dei gravi attentati di mafia commessi in quel periodo, sono state negate tutte le possibilità di accedere alla libertà condizionata anche dopo un certo e congruo numero di anni di pena scontata. Tornando al discorso dell'ergastolo io chiedo: dopo oltre trent'anni di pena espiata, nel caso di detenuti incarcerati quando avevano vent'anni, che cosa impedisce di dare loro la speranza di poter uscire e dimostrare di essere cambiati?".

Cosa senz'altro vera, come sostiene Veronesi in forza degli studi sul cervello umano. Eppure, questa idea di rimettere in libertà dopo un tot numero di anni di carcere chi ha commesso un grave delitto non va giù a tanti; soprattutto ai parenti delle vittime. 

"Massimo rispetto per i parenti delle vittime, ai quali va la massima comprensione e vicinanza. Ma qui non si discute di sentimenti, ma di politica e di riforma dell'ordinamento penitenziario e del codice penale. E' ovvio che non si può pensare a una riforma se si ragiona sull'onda dell'emozione e della vendetta, cosa senz'altro comprensibile per chi ha subito un grave torto. L'onda emotiva non ha nulla a che vedere con chi deve gestire l'applicazione della pena in uno stato moderno...altrimenti si torna alla legge del taglione".

Torniamo all'ergastolo ostativo, ovvero al regime "di nessun beneficio" che viene applicato a chi non collabora con l'autorità giudiziaria. Quali prospettive a breve?

"Sono allo studio delle ipotesi. Ad esempio si ragiona sul fatto che ci sono situazioni in cui il soggetto non può collaborare perché impossibilitato a farlo dal momento che nell'associazione criminale di cui faceva parte aveva un ruolo del tutto marginale e dunque non era a conoscenza di fatti, nomi e altro. E poi ancora si ipotizza di dare spazio ad altre realtà, ad esempio alla prova provata che non esista più una situazione di continuità tra l'ergastolano e la criminalità organizzata; ecco queste potrebbero essere le strade per abbattere il regime ostativo, in alcuni casi ovviamente. Questo per dare una speranza a chi è in carcere da più di trent'anni. Insomma è giusto che abbia la possibilità di dimostrare che è cambiato".

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