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venerdì 8 febbraio 2013




ET.INTERVISTA/30 - DANIELE BIACCHESSI

Enzo Tortora, il successo e poi il buio

Grande innovatore e sperimentatore sia in radio che in tv. Vittima sacrificale di una giustizia fallace e credulona. Enzo Tortora è stato per il suo lavoro e la vicenda giudiziaria che lo ha riguardato un protagonista indiscusso degli anni Ottanta. Gli anni, sotto certi versi, delle apparenze e delle illusioni. Della costruzione delle cattedrali sull’argilla. All’indimenticabile conduttore di “Portobello” Daniele Biacchessi, caporedattore news diRadio24, ha dedicato il suo ultimo libro: «Enzo Tortora, dalla luce del successo al buio del labirinto» (Aliberti editore). Il lavoro editoriale di Biacchessi, che è anche regista e autore di teatro narrativo civile, si inserisce nel solco di altre pregevoli pubblicazioni. Tra queste «Passione reporter» di qualche anno fa, libro dedicato ai giornalisti italiani uccisi mentre svolgevano il loro dovere nei luoghi martoriati dalle guerre.

Perché un libro su Enzo Tortora?
Quello che leggerete è lo specchio di una nazione che crea miti, poi li distrugge e infine li riabilita, alla bisogna, spesso se conviene. È un racconto strutturato su vari piani narrativi. C’è la storia d’Italia dagli anni della ricostruzione del dopoguerra al boom economico, passando poi attraverso gli anni Settanta e Ottanta, fino al 18 maggio 1988, il giorno della morte di Tortora. C’è la storia pubblica, perché a mio avviso la vita privata deve restare tale, di un grande talento della radio e della televisione, uno sperimentatore di nuovi linguaggi di comunicazione. C’è infine la storia giudiziaria di Tortora, quella di un uomo innocente rimasto imbrigliato nelle pieghe di una giustizia ingiusta. Perché quella di Tortora è una storia che vale per tutti.
Il tuo libro scatta una fotografia degli anni ’80. Hanno gettato le basi della crisi, anche morale, che stiamo vivendo?
Si, la storia di Enzo Tortora sul piano giudiziario si snoda negli anni Ottanta dove girano molti, troppi soldi. Il benessere deriva dal liberismo economico, che si afferma negli Stati Uniti sotto la presidenza di Ronald Reagan e in Gran Bretagna con il conservatorismo di Margaret Thatcher. In Italia, la vecchia Milano è andata in soffitta e ormai si è trasformata nella Milano da bere. Gli atelier di via Montenapoleone e via della Spiga sono passerelle dove gli stilisti impongono le nuove mode. Il cosiddetto made in Italy si afferma a Parigi, a New York, ovunque. L’ondata positiva investe anche il mondo della finanza italiana.

È il periodo dell’esaltazione dei mercati azionari, che però ha generato una felicità di facciata…
La Borsa registra un incremento esponenziale e gli investitori ottengono guadagni altissimi: la febbre di piazza Affari, con le sue azioni finanziarie spericolate, contagia anche i piccoli risparmiatori. Nell’aria si respira una sorta di onnipotenza: sono anni caratterizzati da una sbornia collettiva, dove ognuno pensa di poter fare qualsiasi cosa. Tutti sembrano più ricchi, con belle macchine, ogni confort, doppia casa, ma si tratta in realtà di una ricchezza fittizia, costruita su quel debito pubblico gigantesco (che dal 1983 al 1987 i governi Craxi fecero balzare da 234 a 522 miliardi di euro), che ancora oggi impedisce alle nuove generazioni di costruirsi un futuro. Sono gli anni in cui vengono siglati patti segreti e ancora indicibili tra Stato, camorra e terrorismo, accordi che stanno sullo sfondo della storia che ho raccontato nel libro.
La vicenda umana e giudiziaria di Enzo Tortora è emblematica. Come si evitano errori come quelli che hanno distrutto Tortora?

Per i giornalisti facendo attenzione alla credibilità delle fonti. Per i magistrati analizzando i comportamenti dei cosiddetti “Pentiti” di mafia che spesso raccontano verità parziali.
Quale aspetto ti ha più colpito della figura di Tortora?
Quello che racconta nel 1969 a Edgarda Ferri di Oggi. “La televisione italiana è ormai un baraccone insostenibile. Il mio non è un processo ma un ritrattino. È un jet colossale guidato da un gruppo di dissennati. Un jet che vola a quota assai inferiore a quella di sicurezza. Farei una seconda televisione, una televisione concorrente. Finché ne avremo una sola andrà sempre così, sarà sempre in mano ai politici, non sarà mai indipendente e mai obbiettiva. Io provo infinita pena per i funzionari che, per non perdere il seggiolino, sono costretti a dire “sissignore” ai ministri, ai sottosegretari, ai parlamentari. Io non mi sono mai trovato bene con loro, perché non sono un politicante, non ho mai “tenuto” per nessuno e non ho mai chiesto protezioni anessuno.” Per questo motivo viene cacciato da Rai.

Colpisce molto il profilo che traccia Silvia Tortora nel tuo libro. Il padre non ha mai frequentato i “circolini” degli intellettuali…
Silvia, che è un’amica vera, ha proprio ragione. Suo padre era distante sul piano politico da lei e anche da me. Enzo Tortora è stato un giornalista e uno scrittore con pensiero liberale, ma certamente era un uomo per bene, un uomo colto, preparato, che non aveva bisogno di frequentare i circolini per potersi affermare. Era il pubblico, quello della provincia italiana, la maggioranza del paese, che lo sosteneva. A lui questo bastava.
Quanto manca alla comunicazione italiana un personaggio come Tortora?
Manca molto. Tortora è stato soprattutto un inventore di format di successo, una sorta di Re Mida televisivo, quello che toccava si tramutava in successo. Ma quei programmi poteva condurli solo lui, non c’erano altri in grado di coniugare informazione e spettacolo.
Tu sei anche l’autore del libro “Punto Condor”, dedicato alla strage di Ustica. La Cassazione ha stabilito che il Dc9 Itavia fu abbattuto da un missile. Il muro di gomma sta crollando?

La sentenza della Cassazione potrebbe rappresentare un punto di partenza per giungere alla verità storica su Ustica. Per spezzare il muro di gomma, però, manca ancora l’assunzione di responsabilità dei vertici dell’Aeronautica, dei servizi segreti, la caduta del velo di omertà degli Stati coinvolti.
Gennaro Grimolizzi

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