Osservare, dedurre, agire. La controcultura al tempo dei Dus.
Fare controcultura significa andare
contro, ma con criterio. Andare contro quella che oggi ci propongono come
cultura moderna. La cultura dell'individualismo, la cultura della
massificazione, la cultura di una quotidianità senza cultura, la cultura del rispetto
per il proprio ego.
Fare controcultura per noi, giovani e
incazzati, che non sentiamo di porci limiti territoriali, è diventata oggi
un'esigenza, che la nostra volontà di non tacere ha trasformato in
realtà.
Siamo una collettività. Reporter, videomaker,
fotografi, grafici, webmaster, che nella vita hanno scelto da che parte stare,
a testa alta. Ci siamo riuniti grazie ad un'indignazione comune, dovuta
all'assenza di voce della controcultura. Mangiamo libri e diritti sociali, e
trasformiamo il pensiero in azione, agendo a volto scoperto e senza paura.
Non siamo eroi, il mondo non ne ha bisogno, né prime donne del settore,
ma vogliamo fare rete insieme a tutte le realtà che ogni giorno scelgono da che
parte stare.
Noi scendiamo in strada, cerchiamo il
marcio e lo sporco. Ne facciamo un sol mucchio, documentiamo, raccontiamo e
denunciamo, nero su bianco, alle autorità.
Siamo convinti che l'ignoranza generi
l'indifferenza, quella di gramsciana memoria, ed è per questo che non vogliamo
più starcene con le mani in mano. Abbiamo bisogno di dire la nostra e, nel
nostro piccolo, alzare la voce. Anche se in mezzo ad una piazza piena e
caotica, queste nostre parole arriveranno alle orecchie di qualcuno. Soltanto
scegliendo di fare, a fine giornata riposeremo con la coscienza pulita.
Dus, letto all'italiana, sta ad indicare
Dirty Urban Sentinels. Le sporche sentinelle urbane. Siamo noi, giovani ed
incazzati.
Emanuele Repola
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