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martedì 12 febbraio 2013



Osservare, dedurre, agire. La controcultura al tempo dei Dus.



Fare controcultura significa andare contro, ma con criterio. Andare contro quella che oggi ci propongono come cultura moderna. La cultura dell'individualismo, la cultura della massificazione, la cultura di una quotidianità senza cultura, la cultura del rispetto per il proprio ego. 
Fare controcultura per noi, giovani e incazzati, che non sentiamo di porci limiti territoriali, è diventata oggi un'esigenza, che la nostra volontà di non tacere ha trasformato in realtà. 
Siamo una collettività. Reporter, videomaker, fotografi, grafici, webmaster, che nella vita hanno scelto da che parte stare, a testa alta. Ci siamo riuniti grazie ad un'indignazione comune, dovuta all'assenza di voce della controcultura. Mangiamo libri e diritti sociali, e trasformiamo il pensiero in azione, agendo a volto scoperto e senza paura.  Non siamo eroi, il mondo non ne ha bisogno, né prime donne del settore, ma vogliamo fare rete insieme a tutte le realtà che ogni giorno scelgono da che parte stare.
Noi scendiamo in strada, cerchiamo il marcio e lo sporco. Ne facciamo un sol mucchio, documentiamo, raccontiamo e denunciamo, nero su bianco, alle autorità.

Siamo convinti che l'ignoranza generi l'indifferenza, quella di gramsciana memoria, ed è per questo che non vogliamo più starcene con le mani in mano. Abbiamo bisogno di dire la nostra e, nel nostro piccolo, alzare la voce. Anche se in mezzo ad una piazza piena e caotica, queste nostre parole arriveranno alle orecchie di qualcuno. Soltanto scegliendo di fare, a fine giornata riposeremo con la coscienza pulita.
Dus, letto all'italiana, sta ad indicare Dirty Urban Sentinels. Le sporche sentinelle urbane. Siamo noi, giovani ed incazzati.




Emanuele Repola



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