Valter Vecellio
Carceri il Consiglio d’Europa accusa. Oltre 3000 gli italiani in carcere all’estero
09-05-2013
Le statistiche sono una cosa strana. Se uno mangia il pollo e l’altro digiuna, la statistica dice che ognuno ha mangiato mezzo pollo. E tuttavia, dicono anche che, chiunque l’abbia fatto, un pollo è stato mangiato. Le statistiche sui delitti e l’ordine pubblico dicono che non è vero che siano in aumento; è anzi vero il contrario; sono in calo, in costante calo. Gli omicidi volontari nel quadriennio 1993-1997 sono stati circa 3.800. Tra il 1997 al 2001 sono stati 3.215. Tra il 2001 al 2005, 2.740. E via calando. Sono statistiche ufficiali, del ministero dell’Interno. In flessione anche gli altri reati. L’Italia, tra i paesi europei, è tra le nazioni meno violente. Il punto dolente – sempre dati ufficiali – non è tanto l’ordine pubblico, quanto la situazione delle carceri: sempre cronicamente strapiene, veri e propri luoghi di tortura: le strutture scoppiano anche a causa dell’ingiusta carcerazione preventiva, di cui sono vittime coloro i quali attendono il giudizio. Pendono 5 milioni di processi e i magistrati affogano nelle carte.
Il Consiglio d’Europa nel frattempo, punta l’indice: l’Italia ha le carceri con un problema drammatico di sovraffollamento e si colloca al terzo posto dopo la Serbia, la Grecia e l’Ungheria. La triste media nazionale vede 147 detenuti dietro le sbarre contro i 100 previsti, con l’aggravante di condizioni spesso disumane. La popolazione carceraria è costituita per lo più da stranieri con a carico reati minori, non certo da ergastolani mafiosi, e proprio per questa ragione è ancor più grave che nessuno sia riuscito a metter mano a questa emergenza che non va risolta con la costruzione di nuove carceri, ma con una depenalizzazione di alcuni reati per rendere intanto le condizioni dietro le sbarre umane e compatibili con una reale possibilità di recupero. Come previsto dalla nostra Costituzione.
Giornalista professionista, attualmente lavora in RAI. Dirige il giornale telematico «Notizie Radicali», è iscritto al Partito Radicale dal 1972, è stato componente del Comitato Nazionale, della Direzione, della Segreteria Nazionale.
“Nel sistema giuridico italiano le ipotesi di reato sono migliaia, si fa prima a dire cosa è consentito rispetto a cosa è proibito. Tutto questo si traduce con una sola parola: carcere”.
E’ un’analisi impietosa quella del Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, Francesco Saverio De Martino, intervenuto al seminario di studi “La revisione critica ai tempi del sovraffollamento”. De Martino sottolinea le contraddizioni che portano alla violazione dei diritti umani e ha sottolineato come alcuni reati siano strettamente legati al comportamento. Ad esempio, in Italia è reato gettare rifiuti solidi urbani, essere immigrati clandestini o fare accattonaggio simulando una mutilazione: “Chi commette questi comportamenti va in galera, mentre non ci va chi commette frode fiscale. Così ci sono più di 20mila detenuti tossicodipendenti o che hanno commesso reati bagatellari. Sembra quasi una sorta di predestinazione che decide chi andrà in galera e chi no, a seconda dello status sociale”.
I detenuti che commettono reati differenti, andrebbero indirizzati in differenti istituti di pena ma, nel nostro paese, vengono separati dagli altri solo i detenuti che devono subire un regime di massima sicurezza. Così, su 66mila detenuti, solo 10mila hanno un trattamento diverso e idoneo alla pena da scontare, quelli più pericolosi. I restanti 55mila, vivono insieme senza avere una forma di detenzione diversa, adeguata al rispetto della persona.
Infine: se ne parla solo per casi eccezionali e che riguardano solo fatti eclatanti come quello dei due marò in India che hanno innescato una querelle internazionale come poche precedenti, ma sono migliaia, per la precisione 3103, i nostri connazionali detenuti attualmente all’estero. Non solo, quindi, uomini in divisa, ma migliaia di singole storie e migliaia di famiglie che vivono quasi sempre in silenzio e senza alcun aiuto, l’angoscia di un parente arrestato quando era turista, residente o lavoratore, ma lontano anche migliaia di chilometri e con minime possibilità d’interloquire con la madrepatria. I dati ufficiali del Ministero degli Esteri rivelano che sono 3.103 gli italiani che per colpa di guai con la giustizia in un paese straniero si trovano detenuti. Il fatto più eclatante è che tra tutti coloro che sono in carcere, solo 677 stanno scontando una condanna, mentre ben 2.400 sono in attesa di giudizio. Solo 32, peraltro, attendono un provvedimento di estradizione. Venendo alla distribuzione geografica di questi nostri concittadini nel globo, quasi tre quarti di queste persone è in arresto nei paesi dell’Unione europea, 494 nelle Americhe, 129 negli stati dell’Europa dell’est, o comunque fuori dall’Unione, 76 in Asia, 64 in Medio Oriente e solo 17 in Africa. Per quanto riguarda la situazione continente per continente significativo è il dato della Germania nella quale vi è il numero più alto di connazionali detenuti: sono 1.115, ma ciò è dovuto alla numerosa presenza della comunità italiana. Numeri ben inferiori troviamo a seguire in Spagna e poi Belgio. Nelle Americhe il maggior numero di italiani in carcere si trova in Brasile: 83 persone, 81 in Venezuela, 76 in Perù e 69 negli Stati Uniti, anche in ragione dell’elevato numero di connazionali e dove si reca il maggior numero di turisti. Esistono anche piccoli paesi, che non sono mete di grande flussi turistici, tra questi l’Honduras, dove risulta un italiano in prigione. Tra Asia e Africa spiccano i casi di Congo e Tanzania, mentre 24 italiani si trovano ad oggi in stato di detenzione in Australia. 17, invece sono detenuti in India: sette hanno già subito una condanna mentre 10 risultano essere in attesa di giudizio come i due marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.
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