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giovedì 4 luglio 2013

GAROFALO IN LECTIO MAGISTRALIS



Incontro studio organizzato dal Consiglio dell’Ordine
LA MOTIVAZIONE DEI  PROVVEDIMENTI CAUTELARI E LA PRESUNZIONE DI ADEGUATEZZA

INTERESSANTE DIBATTITO CON  LA PARTECIPAZIONE DEGLI AVVOCATI ALESSANDRO DIANA, ANGELO RAUCCI, GIULIANO DOMINICI  E GIUSEPPE GAROFALO E DEI MAGISTRATI ALESSANDRO D’ALESSIO,   RAFFAELE PICCIRILLO E VALERIA BOVE



Santa Maria Capua Vetere ( di Ferdinando Terlizzi) -   “La motivazione dei Provvedimenti Cautelari e la presunzione di adeguatezza”, questo il titolo scelto per il convegno che si è tenuto mercoledì pomeriggio presso l’Aula D’Antona di Palazzo Melzi, organizzato dall’Ordine degli Avvocati e dalla Camera Penale del Foro di Santa Maria Capua Vetere in collaborazione con il Dipartimento di Giurisprudenza della Seconda Università degli Studi di Napoli.
L’incontro, come ha spiegato il moderatore Alessandro Diana, presidente dell’Ordine degli Avvocati, è nato dalla volontà degli addetti ai lavori di confrontarsi sul dovere e sul valore che assume la motivazione dei provvedimenti limitativi della libertà della persona.
Nei saluti introduttivi Angelo Raucci, Presidente della Camera Penale, ha ribadito che non va persa l’impostazione garantista che ha contraddistinto il nuovo Codice di Procedura Penale fin dalla sua entrata in vigore.
Spunto per il dibattito lo ha fornito anche la sentenza della Corte Costituzionale dello scorso 29 Marzo, con cui è stata dichiarata l’illegittimità dell'articolo 275 del Codice di Procedura Penale nella parte in cui non rendeva possibile applicare una misura diversa dalla custodia cautelare in carcere a coloro che erano gravemente indiziati di delitti commessi avvalendosi della forza intimidatrice derivante dall’associazionismo di tipo mafioso.
Pur riconoscendo le novità scaturite da tale decisione, il sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, Alessandro D’Alessio, ha evidenziato quegli elementi di contraddittorietà che, a suo avviso, sono presenti nella sentenza della Corte Costituzionale, in particolare il non aver distinto in maniera chiara i diversi gradi di partecipazione ad un sodalizio mafioso.
Giuliano Dominaci, avvocato e responsabile dell’Osservatorio sulla Corte di Cassazione dell’Unione Camere Penali Italiane, ha invece evidenziato come l’attuale sistema penale non riesca a tutelare appieno la presunzione di non colpevolezza: “Ci possiamo permettere il carcere per una persona in attesa di giudizio solo grazie alle garanzie introdotte dalla Carta Costituzionale, ma c’è ancora da lavorare: la misura cautelare può essere necessaria, ma deve essere il meno possibile ingiusta”.
Raffaele Piccirillo, Giudice delle Indagini Preliminari presso il Tribunale di Napoli, ritiene che l’adozione di una misura cautelare deve fondarsi anche su massime d’esperienza, strumento utile per distinguere una motivazione da un semplice elenco delle fonti di prova. “La motivazione, infatti, deve essere argomentata- ha precisato il GIP – per evitare ogni tipo di applicazione analogica quando si interviene nella sfera della libertà personale”.
“La motivazione deve essere un momento di piena cognizione. Le massime d’esperienza servono come indice presuntivo” ha aggiunto la Dott.ssa Valeria Bove, Giudice del Riesame presso il Tribunale di Napoli.
L’intervento conclusivo è toccato all’Avvocato Giuseppe Garofalo, Presidente emerito della Camera Penale. Il decano dei penalisti sammaritani ha tracciato un excursus storico del ruolo della motivazione. Fu Bernardo Tanucci, segretario di Stato della Giustizia sotto il regno di Carlo di Borbone e di suo figlio Ferdinando IV, ad imporre l’obbligo di motivare gli atti adottati dai magistrati dell’allora Regno di Napoli. «La motivazione era un conto che il magistrato doveva dare allo Stato e ai cittadini – ha spiegato l’avvocato- e ciò vale ancor di più oggi”.
“Assistiamo continuamente all’appiattimento dei giudici su quanto in precedenza già deciso dalla Cassazione. La motivazione non può essere un semplice rimando, ma deve avere carattere innovativo: il giudice può essere d’accordo con quanto stabilito in precedenza, ma deve spiegare il perché». Soffermandosi su quelle che devono essere le caratteristiche di una motivazione, l’avvocato Garofalo ha aggiunto che: “vi si deve poter rintracciare l’onestà di esposizione e le modalità con cui si motiva. Le massime d’esperienza sono sì utili, ma non va dimenticato che esse vanno sempre rapportate alla personalità di colui che giudica” ha concluso l’avvocato.







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