L’omicidio volontario
in Italia. Rapporto EURES 2013
SINTESI
Meno omicidi in Italia.
Ma non al Sud
Il rischio più alto nei
grandi centri urbani
Gli uomini principali
vittime degli omicidi, ma in famiglia il 70% delle vittime sono donne.
Femminicidi: troppo
spesso ignorati i segnali di rischio
In forte aumento gli
omicidi per rapina e le vittime anziane
L’ITALIA E IL CONTESTO
INTERNAZIONALE
In Europa, Inghilterra
e Francia le più “sanguinarie” – Tra i grandi Paesi Europei sono l’Inghilterra
(843 omicidi in media tra il 2005 e il 2010), e la Francia (840) a registrare
il maggior numero di omicidi, seguite dalla Germania (759) e, con scarti più
consistenti, dall’Italia (600 omicidi in media l’anno). Più positiva, in
termini relativi, la collocazione dell’Italia tra i 27 Paesi dell’Unione
Europea, presentando uno degli indici più bassi (1 omicidio ogni 100.000
abitanti, come la Spagna e la Svezia, a fronte di 1,9 in media nell’UE), dopo
l’Austria (0,6), la Danimarca, la Slovenia (0,8), Malta e la Germania (0,9).
Superiori gli indici in Bulgaria e Finlandia (2,3), Romania (2,1), Regno Unito,
Francia e Portogallo (1,4), Grecia (1,2) e Paesi Bassi (1,1). Il rischio
omicidiario più elevato si rileva tuttavia in Lituania (con 8,4 omicidi ogni
100 mila residenti), Estonia (6,5) e Lettonia (4,6).
Brics in economia, pigs
nel rispetto per la vita: oltre 130 mila omicidi l’anno nei 5 Paesi emergenti -
Nel confronto con il resto del mondo, il Vecchio Continente risulta tuttavia
un’isola felice: in particolare, osservando il dato relativo agli omicidi
consumati nei 5 “Paesi emergenti” (i cosiddetti Brics, dove peraltro vive quasi
la metà della popolazione mondiale), il Sud-Africa con 17.900 omicidi annui
commessi in media tra il 2005 e il 2010 presenta un indice di rischio (36,5
omicidi per 100 mila abitanti) quasi venti volte superiore a quello europeo;
analoga è la situazione del Brasile, con una media di 42.200 omicidi annui e un
indice pari a 22,2, seguito dalla Russia (17.500 omicidi e un rischio pari a
12,3), dall’India (40.600 omicidi e un indice pari a 3,4) e dalla Cina che, con
una media di 16.300 omicidi annui, presenta un indice (1,2) di poco superiore a
quello italiano.
Impressionanti inoltre
gli indici di rischio a El Salvador (61,9 omicidi ogni 100 mila abitanti, con
3.789 casi in media l’anno), nella Repubblica Dominicana (24,1 e 2.315 omicidi
annui), in Ecuador (17,5 e 2.442), in Paraguay (13,7 e 844) e in Messico (13,4
e 14.801). Anche gli Stati Uniti (16.298 delitti l’anno), presentano un tasso
omicidiario (5,4) superiore di circa 3 volte quello europeo e di oltre 5 volte
quello italiano.
Omicidi in Italia: nel
2012 il minimo storico degli ultimi 40 anni. In forte calo al Centro-Nord –
Prosegue in Italia anche nel 2012 il tendenziale decremento del numero degli
omicidi (-67,8% tra il 1990 al 2012, passando da 1.633 a 526), segnando
l’ultimo anno il valore minimo dal 1970, con un ulteriore calo rispetto ai 530
casi del 2010 e ai 551 del 2011.
Il risultato
dell’ultimo anno (-4,5% in Italia) deriva da una forte riduzione dei casi nelle
regioni del Centro (-13,1%) e del Nord (-7,9%), mentre risulta sostanzialmente
stabile il dato al Sud (+0,4%), che si conferma l’area a più alto rischio, con
279 omicidi volontari nel 2012, pari al 53% del totale nazionale, ed un indice
di 1,4 vittime ogni 100 mila abitanti (0,9 il dato italiano 2012). Inferiore il
numero degli omicidi al Nord (174 in valori assoluti, con un indice di rischio
pari a 0,6) e nelle regioni del Centro (73 vittime, pari a 0,6).
Boom di omicidi in
Campania (+47,5% sul 2011). Ma è la Calabria la regione più a rischio - La Campania, con 90 omicidi commessi nel 2012 (17,1% del
totale nazionale) consolida il primato italiano di regione più cruenta,
presentando peraltro un forte incremento (+47,5%) rispetto ai 61 casi del 2011.
Al secondo posto la Lombardia (con 64 omicidi e un incremento del 4,9%),
seguita dalla Puglia (56 omicidi e +12%), dalla Sicilia (53 omicidi e -10,2%) e
dalla Calabria (52 e –11,9%); in termini relativi è tuttavia quest’ultima la
regione “più a rischio”, con 2,7 omicidi ogni 100 mila abitanti nel 2012,
seguita dalla Campania (1,6), dalla Puglia (1,4), dalla Sicilia e dall’Umbria
(1,1).
A livello provinciale
la “maglia nera” è contesa tra diverse province del Sud: l’indice più alto è
quello di Nuoro (4,7 omicidi ogni 100 mila abitanti tra il 2008 e il 2012),
seguita da Reggio Calabria (4,6), Crotone (3,4) e Catanzaro (3,1). In termini
assoluti i valori più alti si registrano nelle tre maggiori metropoli italiane,
tra cui prevale Napoli (con una media di 55 omicidi annui tra il 2008 e il
2012), seguita con uno scarto significativo, da Roma e Milano (con 35 omicidi).
Sono i grandi centri
urbani (>250 mila abitanti) a registrare l’indice di rischio più alto (con
1,4 omicidi ogni 100 mila abitanti nel quinquennio 2008-2012), che scende
progressivamente nei comuni della fascia 50-250 mila (1,1), in quelli di 15-50
mila abitanti (0,9) ed in quelli con meno di 5 mila abitanti (0,7).
In famiglia il maggior
numero di omicidi. Ma il crimine predatorio è la vera emergenza (+25,8% nel
2012) – Gli omicidi in famiglia, pur in leggero calo nel 2012 (-10,3%), si
confermano il principale contesto omicidiario italiano, con il 33,3% delle
vittime totali (175 nel 2012); al secondo posto si collocano gli omicidi
compiuti dalla criminalità comune (122 vittime nel 2012 pari al 23,2% del
totale, in aumento del 25,8% sul 2011), seguiti da compiuti dalla criminalità
organizzata (84 vittime, pari al 16% del totale). Inferiore il numero delle
vittime maturate nel contesto amicale/infragruppo (58, pari all’11%), nel
contesto lavorativo (18, pari al 3,4%) e di vicinato (13, pari al 2,5%).
Le tre Italie dell’omicidio:
la famiglia uccide al Nord, la criminalità comune al Centro, quella organizzata
al Sud – Osservando la distribuzione del fenomeno omicidiario per macroarea
territoriale, emergono tre differenti scenari: al Nord la famiglia si conferma
il principale ambito omicidiario (con 82 vittime, pari al 47,1% delle vittime
dell’area), prevalendo significativamente sulla criminalità comune (37 vittime,
pari al 21,3%), sugli omicidi tra conoscenti (14,9%) e sugli altri minoritari
contesti (4% gli omicidi di vicinato, 2,9% in ambito lavorativo/economico e
1,1% di criminalità organizzata).
Nelle regioni del
Centro è invece la criminalità comune a registrare il primato delle vittime (28
quelle censite, pari al 38,4% dell’area), prevalendo di poco sull’ambito familiare
(27 casi, pari al 37%); residuale il peso degli altri contesti (5,5% per gli
omicidi tra conoscenti e in ambito lavorativo e 2,7% per la criminalità
organizzata e i rapporti di vicinato).
È il Sud a distaccarsi
dal restante territorio, prevalendo anche nel 2012 gli omicidi compiuti dalla
criminalità organizzata (28,7%), che superano quelli del contesto familiare o
affettivo (23,7%) e della criminalità comune (20,4%), peraltro in forte aumento
(+54,1%) rispetto al 2011; seguono gli omicidi tra conoscenti (10%), in ambito
lavorativo/economico (3,2%) e di vicinato (1,4%).
Più premeditazione che
impeto - Nel 2012 in base ai dati disponibili (437 casi), si rileva una netta
prevalenza degli omicidi premeditati (64,8% del totale) su quelli d’impeto; su
tale valore incidono soprattutto i delitti della criminalità organizzata che,
per definizione, programma e ordina i propri omicidi. Tuttavia nella maggior
parte dei casi di omicidio (66,2% nel 2012) si giunge entro un anno
all’individuazione dell’autore, un dato sostanzialmente in linea con quello
degli anni precedenti.
Dopo il tramonto 4
omicidi su dieci. Lunedì e venerdì i giorni più a rischio - Il venerdì e il
lunedì, i giorni del cambiamento dei ritmi e delle abitudini settimanali, sono
anche i giorni in cui avviene il maggior numero degli omicidi (rispettivamente
il 15,1% ed il 14,9% di quelli censiti nel quinquennio 2008-2012). Elevata
anche l’incidenza dei casi durante il sabato e la domenica (14,6% in entrambi i
giorni), mentre il giorno meno “cruento” è il giovedì (13,1% degli omicidi
totali). Relativamente alla fascia oraria, emerge una forte prevalenza degli
omicidi commessi tra le 18 e mezzanotte (38,4%), mentre più omogenea è la
distribuzione nelle altre fasce (20,8% tra le 24.00 e le 6.00; 20% tra le 6.00
e le 12.00; 20,9% tra le 12.00 e le 18.00).
Un omicidio su due con
armi da fuoco – Nel 2012 in Italia un omicidio su due (49,9%) è stato commesso
con un’arma da fuoco (in crescita rispetto al 42,9% del 2011); contestualmente
scende il ricorso alle armi da taglio (21,3%, a fronte del 26,6% del 2011) e di
quelle improprie (9,2%, rispetto all’11,9%). Meno frequenti gli omicidi
compiuti attraverso le percosse (6,7%) e per strangolamento o soffocamento
(3,3%). Residuale, infine, il ricorso ad altri mezzi.
L’utilizzo delle armi
da fuoco, quasi esclusivo negli omicidi di criminalità organizzata (88,1%),
prevale anche nei delitti della criminalità comune (52,5%), in quelli di
lavoro/rapporti economici (38,9%) e in quelli familiari (35,4% a fronte del 30,9%
delle armi da taglio), denotandosi quindi una stretta correlazione tra
disponibilità di armi e “passaggio all’atto”. L’utilizzo di armi improprie
risulta invece generalmente riconducibile agli omicidi familiari, della
criminalità comune e di vicinato (rispettivamente 8%, 14,8% e 23,1%), così come
la morte seguita a percosse.
Uomini, in 7 casi su 10
(69,8%), le vittime di omicidio - L’analisi di genere conferma anche per il
2012 (nonostante la crescente attenzione al tema del femicidio), una forte prevalenza
degli uomini tra le vittime di omicidio, pari al 69,8% del totale (367 in
valori assoluti), contro il 30,2% delle donne (159 in termini assoluti), con un
rapporto pressoché immutato rispetto al triennio precedente. Coerentemente, gli
uomini presentano un “indice di rischio omicidiario” (1,3 vittime per 100 mila
abitanti), quasi 3 volte superiore a quello delle donne (0,5); tale scarto
appare più ridotto nelle regioni del Nord (0,7 per gli uomini e 0,5 per le
donne), aumentando invece al Centro (0,9 contro 0,4) e soprattutto al Sud, dove
entrambi gli indici presentano i valori più alti, ma quello degli uomini (2,2)
supera di quattro volte quello femminile (0,6).
Relativamente
all’ambito, se oltre due terzi dei femicidi si consumano all’interno delle relazioni
familiari o affettive (67,3% nel 2012, pari a 107 casi), seguiti dagli omicidi
di criminalità comune (16,4%), gli uomini risultano principalmente vittime
della criminalità, con il 26,2% delle vittime attribuite alla criminalità
comune e il 22,6% a quella organizzata, collocandosi la sfera familiare
soltanto al terzo posto (con 68 vittime, pari al 18,5% del totale).
Tra i 25 e i 34 anni il
rischio più alto. Crescono le vittime tra gli over64 Considerando l’età delle
vittime, la fascia più a rischio risulta quella tra i 25 e i 34 anni, con 1,4
vittime ogni 100 mila residenti della stessa fascia di età, seguita dalle fasce
“18-24 anni”, “35-44 anni” e “45-54 anni” (tutte con un indice pari a 1,1),
mentre uguale o inferiore alla media (0,9) si presenta l’indice in tutte le
altre fasce. Tuttavia nel 2012 è tra gli over 64 che si registra la crescita
più consistente, con 98 vittime (+16,7% rispetto al 2011 e +25,6% sul 2010), a
fronte di valori stabili o decrescenti nelle altre fasce, evidenziando come la vulnerabilità
e l’isolamento degli anziani costituiscano fattori di rischio specifico in una
fase storica di forte difficoltà e marginalizzazione di quote crescenti della
popolazione giovane e adulta.
Uomo, under 45 e
italiano: ecco il profilo del killer – Tra i 419 autori noti di omicidio
volontario censiti nel 2012, il 91,4% è un uomo e l’8,6% è donna (36 in valori
assoluti). Il 45,2% ha un’età compresa tra i 25 e i 44 anni, il 15,8% tra 18 e
24 anni, il 14,8% 45-54 anni e l’8,6% 55-64 anni o oltre 64 anni. Nel 2012 sono
stati inoltre 10 i minorenni denunciati per omicidio volontario, pari al 2,4%
del totale, confermando il dato del 2011 (11 autori minorenni). Il 69,5% degli
autori “noti” è italiano, a fronte del 28,9% straniero (nell’1,6% dei casi non
si conosce la nazionalità).
In oltre 1 caso su 10
infine (l’11,2%) gli autori detenevano regolarmente l’arma con cui hanno
compiuto il delitto (8,2% nel 2011), nonostante siano stati rilevati in ben 8
casi problemi di salute mentale.
L’OMICIDIO IN FAMIGLIA
Guerra in famiglia:
1.838 vittime di omicidio negli ultimi 10 anni; 175 nel 2012. In famiglia un
omicidio su tre – Nell’ultimo decennio (2003-2012) si contano complessivamente
in Italia ben 1.838 omicidi volontari consumati all’interno della sfera
familiare o affettiva, con una media annua di 184 vittime, pari, esattamente,
ad una vittima ogni 2 giorni, ed un andamento complessivamente costante (i
valori risultano compresi tra i 167 casi del 2007 ed i 201 del 2003).
Nel solo 2012 si
contano 175 omicidi volontari consumati nel contesto familiare o affettivo (un
valore analogo a quello del 2010 ma inferiore alle 195 vittime del 2011), che
si riconferma quale principale ambito di maturazione del fenomeno (con il 33,3%
dei casi a fronte del 35,4% del 2011).
In termini territoriali
l’omicidio in famiglia continua ad investire principalmente il Nord, dove si
contano quasi la metà degli eventi complessivamente censiti (82 vittime, pari
al 46,9% del totale); inferiore il dato del Sud (66 vittime, pari al 37,7%) e
quello del Centro (27 vittime, pari al 15,4%). Considerando tuttavia l’indice
di rischio è il Sud a presentare il valore più elevato, con 3,2 delitti per
milione di abitanti (2,9 in Italia), a fronte di 3 nelle regioni del Nord e di
2,3 in quelle del Centro.
In Lombardia il più
alto numero di vittime. Seconda la Sicilia – La Lombardia si conferma anche nel
2012 la prima regione per numero di omicidi in famiglia (26 vittime, in
crescita rispetto alle 22 del 2011), che precede la Sicilia (23 vittime),
l’Emilia Romagna (18), il Piemonte (17) e la Campania (15). Nonostante il
primato evidenziato, la Lombardia presenta un indice di rischio (2,7) inferiore
alla media nazionale (2,9). Nella graduatoria provinciale Milano, con 11
vittime, precede Torino, Napoli, Brescia (9 vittime ciascuna) e Roma (8
vittime). Sono inoltre i comuni di 50-250 mila abitanti a presentare l’indice
di rischio più elevato, pari nel 2012 a 3,8 vittime per milione di abitanti, seguiti
da quelli con oltre 250 mila abitanti, dove l’indice scende a 2,7, a fronte del
dato minimo di 1,9 nei piccoli centri con meno di 5 mila abitanti; un indice
pari a 2,5 si registra infine nei comuni della fascia “5-15 mila abitanti” ed
in quella “15-50 mila”.
Donna, tra i 25 e i 44
anni, inoccupata, la prima vittima dell’omicidio in famiglia – Se, in termini generali, l’omicidio
colpisce gli uomini, nel solo contesto familiare e affettivo la vittima è
principalmente una donna (61,1% dei casi nel 2012) di età compresa tra i 25 e i
54 anni (49,2%). Le donne uccise in famiglia nel 2012 sono state infatti 107, a
fronte di 68 vittime tra gli uomini (38,9%). Coerentemente, anche l’indice del
rischio di omicidio familiare tra le donne (3,5 vittime per milione di donne
residenti) risulta superiore a quello degli uomini (2,4). In relazione all’età,
accanto alla concentrazione nelle fasce centrali della vita, colpisce il forte
numero delle vittime di 65+ anni (43 nel 2012, pari al 24,6% del totale),
confermandosi la fragilità delle persone anziane, non più in grado di
rispondere alla domanda di tutela materiale e affettiva attesa, un fattore
vittimogeno. Anche nel 2012 prevale tra le donne vittime di omicidio in
famiglia la “condizione non professionale” (studentesse, casalinghe,
disoccupate, ritirate dal lavoro, inabili), rilevata nel 67,9% dei casi (contro
il 32,1% di occupate), mentre gli uomini uccisi in famiglia risultano
prevalentemente occupati (59,2%).
Maschio l’autore di
omicidio in famiglia in oltre 9 casi su 10 – Anche nel contesto familiare
l’autore è in oltre 9 casi su 10 un uomo (90,6% nel 2012); un dato, questo, in
crescita rispetto all’82,7% del 2010 e all’86,9% del 2011. L’incidenza degli
autori uomini sale ulteriormente quando la vittima è una donna, attestandosi al
91,3% nel 2010, al 90,2% nel 2011 e al 96,9% nel 2012. Analogamente, le donne
tendono in misura maggiore a colpire soggetti del sesso opposto: nel 2012 il
19,4% degli uomini uccisi in famiglia è infatti stato ucciso da una donna, a fronte
del 3,1% delle vittime di sesso femminile, confermandosi quindi la centralità
del conflitto di genere come fattore irrinunciabile per la comprensione delle
ragioni e delle caratteristiche dell’omicidio familiare.
Per quanto riguarda
l’età degli autori, il coinvolgimento più elevato si registra nella fascia di
35-44 anni (28% nel 2012), seguita dalle fasce “25-34 anni” e “45-54 anni”
(17,1% per entrambe le fasce). Così come per le vittime, anche il
coinvolgimento di autori anziani o in età matura risulta significativo, con
valori pari al 14,9% per i 55-64enni e per gli over 64, mentre nel 7,4% dei
casi gli autori avevano tra i 18 e i 24 anni.
Nella coppia la metà
degli omicidi in famiglia (49,1%). Coniugi ed “ex” le prime vittime – Nel 2012
gli “omicidi nella coppia” continuano ad interessare quasi la metà delle
vittime totali di omicidio in famiglia (49,1% del totale), con valori
sostanzialmente stabili negli anni (45% nel 2010 e 51,3% nel 2011). All’interno
della relazione di coppia coniugi e conviventi risultano le figure più a
rischio (34,9% dei casi, pari a 61 vittime nel 2012); significativa è anche la
presenza di vittime tra ex coniugi o ex partner (19, pari al 10,9%), mentre più raramente le vittime sono partner
o amanti non conviventi (6, pari al 3,4%). Significativa anche la presenza di
genitori uccisi dai figli (30 casi nel 2012, pari al 17,1%), che supera di
molto quella dei figli uccisi dai genitori (18 casi, pari al 10,3%) e quella di
fratelli (6 casi nel 2012, pari al 3,4%), mentre residuali risultano tutte le
altre figure.
La componente femminile
prevale fortemente tra le vittime dell’omicidio di coppia, rappresentando le
donne l’85,2% delle vittime tra i coniugi/conviventi, l’89,5% tra gli ex
coniugi/ex partner e l’83,3% tra i partner/amanti. Prevale leggermente la
componente femminile anche quando la vittima è un genitore (55,6% donne e 44,4%
uomini) o un figlio (52,9% e 47,1%), mentre una prevalenza di vittime maschili
si registra tra i fratelli (83,3%) e tra gli altri familiari o affini (70%),
risultando infine soltanto maschili le vittime tra i rivali in amore.
La conflittualità
quotidiana il primo movente. “Possesso”, disagio e interesse le altre cause -
La presenza di un clima familiare conflittuale, caratterizzato da continui litigi
e dissapori rappresenta il primo movente nel 2012 “spiegando” il 31,4% dei casi
(a fronte del 20% nel 2011 e del 18% nel 2010). Non a caso, considerando il
2012, ben il 62,9% delle vittime di omicidio in famiglia risultava convivente
con l’autore (78,6% tra le vittime minori, 79,1% tra le anziane e 73,8% tra le
donne, a fronte del 45,6% tra gli uomini).
Il secondo movente
individuato, coerentemente con la presenza maggioritaria degli omicidi di
coppia, deriva da un vissuto patologico dell’affettività nell’autore (i
cosiddetti omicidi del possesso); a questa tipologia è riferibile oltre un
quarto degli eventi nei diversi anni considerati, e più esattamente il 25,7%
nel 2012, il 28,7% nel 2011 e il 34,8% nel 2010. Il terzo gruppo di moventi si
riferisce all’area del disagio, che comprende insieme il disagio fisico,
psichico o sociale della vittima e quello speculare dell’autore; tra questi,
sono gli omicidi compiuti a seguito di un “raptus” dell’autore (13,7% dei casi
nel 2012, e valori di poco inferiori al 10% negli anni passati) e quelli dovuti
ad un disagio psichico dell’autore (10,9% nel 2012, 12,8% nel 2011 e 10,1% nel
2010) a pesare maggiormente. I cosiddetti omicidi pietatis causa, ovvero
compiuti per “liberare” la vittima da una condizione patologica e/o di forte
dipendenza, risultano meno numerosi, riguardando mediamente il 6% degli omicidi
domestici (il 4% nel 2012, il 6,2% nel 2011 e il 6,7% nel 2010). Una
significativa presenza (con valori compresi tra il 5% e il 10%) riguarda
inoltre gli omicidi familiari dettati da interesse o denaro, movente principale
nei fratricidi e negli omicidi contro altre figure parentali (zii, nipoti,
cugini, ecc.).
FEMMINICIDI E FEMICIDI
Fonte: EURES Ricerche
Economiche e Sociali, Archivio degli omicidi volontari in Italia
Il crime clock della
violenza di genere: colpita una donna ogni 12 secondi – Ogni giorno, in Italia,
centinaia di donne sono esposte alla violenza di genere: il crime clock dei
femminicidi (indicando con tale termine la violenza fisica, verbale e
psicologica di genere), segnala infatti nel 2010 (ultimo anno disponibile) la
presenza di oltre 105 mila reati di genere (limitando peraltro l’osservazione
ad alcuni principali reati), pari ad oltre 290 al giorno, ovvero ad uno ogni 12
secondi (e si tratta soltanto del fenomeno noto, che come molte indagini
vittimologiche hanno evidenziato, costituisce una porzione minoritaria del
fenomeno effettivo). Più in dettaglio, ogni giorno 95 donne denunciano di aver
subito minacce e 87 di aver subito ingiurie; 64 donne al giorno sono vittime di
lesioni dolose, 19 di percosse, 14 di stalking, 10 di violenze sessuali. E ogni
2 giorni una donna è vittima di omicidio. Alla forte caratterizzazione “di
genere” di alcuni reati violenti (90,5% le vittime donne nelle violenze
sessuali, 77,4% nello stalking e 53,5% per le ingiurie), si affianca inoltre
una crescente femminilizzazione per le minacce (45,4% di vittime donne), le
percosse (48,3%) e le lesioni dolose (40,6%), cui si contrappone, nel profilo
degli autori, un’assoluta dominanza degli uomini che spiega ed anzi rilancia
l’esigenza di una più incisiva sensibilizzazione e produzione normativa in
materia: sono infatti uomini nel 98% dei casi gli autori delle violenze
sessuali, nell’89,5% quelli dei femicidi, nell’85,7% per lo stalking,
nell’83,5% per le lesioni dolose, nel 75,1% per le percosse, nel 78,7% per le minacce e nel
65,5% per le ingiurie.
Delitti contro la
persona denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria in base al
genere della vittima e dell’autore. Anno
2010 – Valori assoluti e percentuali e media per giorno
Totale vittime
(V.A.) Vittime Donne %
autori uomini
V.A. Media
al giorno % sul totale
Omicidi volontari* 530 158 0,4 29,8 89,5
Violenze sessuali 3.981 3.601 9,9 90,5 98,0
Stalking 6.598 5.110 14,0 77,4 85,7
Lesioni dolose 57.716 23.406 64,2 40,6 83,5
Percosse 14.544 7.030 19,3 48,3 75,1
Minacce 76.708 34.810 95,4 45,4 78,7
Ingiurie 59.421 31.806 87,2 53,5 65,5
Fonte: Elaborazioni
EURES Ricerche Economiche e Sociali su dati Istat
Femicidi in Europa:
l’Italia tra Paesi meno esposti. Maglia
nera a Germania, Francia e Regno Unito – In Europa è la Germania (con 350
vittime donne nel 2009, pari al 49,6% delle 706 vittime di omicidio totali e un
indice di rischio pari a 0,8 per 100 mila donne residenti) a detenere il
primato negativo del numero di femicidi, seguita dalla Francia (288 vittime,
pari al 34,3% e un indice pari a 0,9) e dal Regno Unito (245, pari al 33,9% e
un indice pari a 0,8). L’Italia presenta uno degli indici di rischio più bassi
(0,5), preceduta dalla sola Grecia (0,3), pur in presenza del quarto valore in
termini assoluti (148 donne uccise nel 2010); superiore l’indice anche in
Spagna e Svezia (0,6), anche se i valori massimi si rilevano in Lettonia (4,9
donne uccise ogni 100.000 residenti), Lituania (3,6) ed Estonia (3,4).
Femicidi nel mondo -
Nei Paesi extraeuropei, si registra per le donne il rischio omicidiario più
alto in Salvador, dove nel 2008 sono stati 401 i femicidi consumati (con un
indice pari a 13,2 donne uccise ogni 100 mila residenti); tra i Paesi
dell’America Latina, un indice particolarmente elevato si registra in Brasile
(5,4, con 4.014 vittime in valori assoluti), in Ecuador (3,3 e 214 vittime) e
nella Repubblica Dominicana (3,2 e 299 vittime). Elevati anche gli indici di
rischio per le donne in Sud Africa (coerentemente con l’alto indice di rischio
generale rilevato), con 3.357 donne uccise nel 2008, pari a 10,1 ogni 100 mila
residenti.
2.200 donne vittime di
omicidio in Italia tra il 2000 e il 2012. Una ogni 2 giorni (171 in media
l’anno). Già 81 nei primi 6 mesi del 2013 -
Tra il 2000 e il 2012 si contano complessivamente in Italia 2.220 donne
vittime di omicidio, pari ad una media di 171 vittime annue (ovvero ad una ogni
due giorni), uccise nel 70,7% dei casi nell’ambito familiare o affettivo; una
“cadenza”, questa, confermata dalle 159 donne uccise nel corso del 2012 e dalle
81 censite nel primo semestre 2013 (dati provvisori), di cui il 75,3% nel
contesto familiare o affettivo. Nell’intero periodo considerato una quota
consistente di femicidi (14,2%) è comunque da attribuire alla criminalità
(12,4% alla criminalità comune e 1,8% a quella organizzata), mentre l’8,1% è avvenuto
all’interno di una relazione di prossimità diversa da quella familiare
(amicale, vicinato, economica o lavorativa).
Tra i 25 e i 44 anni il
rischio più alto – Se tra i 25 e i 44 anni (ovvero nella fase riproduttiva e
della definizione dei progetti di vita, familiari e affettivi) avviene il 35,3%
dei femicidi (con 784 donne uccise tra il 2000 e il 2012), anche le donne
anziane registrano un elevato numero di vittime (23,6%, pari a 524 in valori
assoluti). Anche la graduatoria del rischio specifico conferma al primo posto
la fascia “25-34 anni” (7,1 vittime per milione di donne, a fronte di un valore
medio pari a 5,2), cui seguono la fascia “35-44 anni” (6,9) e quella delle over
64 (6,1).
Fattori e segnali di
rischio nei femicidi di coppia -
L’analisi delle variabili relative ai femicidi nelle coppie separate
(tra il 2000 e il 2012) evidenzia in primo luogo che la decisione della
separazione era stata presa nel 93,5% dei casi univocamente dalla vittima, nel
2% dei casi dall’autore e nel restante 4,5% condivisa. Il maggior numero di
questi femicidi (delle coppie separate) è avvenuta nei tre mesi successivi alla
decisione di separarsi (48% dei casi noti, di cui il 23,4% nel primo mese e il 24,6%
tra il primo e il terzo mese), nell’11,4% dei casi tra i 3 ed i 6 mesi dalla
separazione, nel 16,2% “da 6 a 12 mesi”, e nel 15% “da 1 a 3 anni”). Il 6% dei
femicidi delle coppie separate è stato inoltre compiuto a 3-5 anni dalla
separazione e una quota ancora inferiore (3,6%) dopo 5 anni dalla separazione.
Spesso il femicidio
all’interno di una relazione di coppia rappresenta l’ultimo ed estremo atto di
una serie di violenze e/o vessazioni di carattere fisico, psicologico o
economico: sotto questo aspetto i dati disponibili confermano un’elevata
presenza pregressa di maltrattamenti (riscontrata, cioè nota, per il 21,4%
delle donne uccise all’interno di una relazione di coppia; nel 67,5% dei casi
tali violenze erano note a terze persone e nel 44% erano state denunciate alle
Istituzioni.
Entrando nel merito
delle violenze (note) subite dalle donne uccise dai propri partner o ex
partner, si riscontra in un’ampia maggioranza di casi la presenza di violenze
fisiche (nel 66,3% dei casi noti), seguite dalle violenze psicologiche (34,9%),
da altre vessazioni (7,8%) e, con percentuali ridotte (forse perché meno
“note”) dalle violenze sessuali (3%): Nel 27,1% dei casi le vittime erano state
inoltre perseguitate dal proprio assassino (stalking).
In oltre 6 casi su 10
(il 61,3%) i maltrattamenti subiti dalle donne erano inoltre ricorrenti, nel
33% dei casi “episodici” e soltanto nel 5,7% dei casi “isolati”; nel 44,7% dei
casi le violenze erano iniziate da meno di un anno, nel 21,1% duravano da oltre
5 anni e nel 34,2% da 1 e 5 anni. Complessivamente, il 16,9% delle vittime ha
subito un’escalation di violenze e maltrattamenti prima di essere uccisa.
Esaminando invece i
femicidi avvenuti all’interno delle coppie unite (sempre tra il 2000 e il
2012), se il 40% delle coppie non presentava problematiche note, un altro 40%
viveva invece una condizione di estrema e ripetuta litigiosità; tra le ragioni
dei femicidi nelle coppie unite il 17,3% è inoltre spiegato dal “possesso”,
ovvero dalla volontà di interrompere la relazione, espressa generalmente dalle
vittime (16,1%) e marginalmente (1,2%) dall’autore. Irrilevante, infine, la
presenza di relazioni extraconiugali quali cause dei femicidi.
Focus: i cluster del
femicidio familiare
Possesso, logoramento,
interesse e irrilevanza
Accanto all’analisi
monovariata e bivariata, sono stati definiti (attraverso un’analisi
multivariata) 4 profili omicidiari (cluster), relativamente alle sole donne
uccise da un uomo in famiglia o nel contesto affettivo (533 casi in valori
assoluti tra il 2008 e il 2012), cui dovrebbero corrispondere altrettanti
profili, in termini di politiche e strumenti di prevenzione e contrasto:
- i “femicidi del
possesso” (31,1% dei casi), caratterizzati da un’affettività patologica
dell’autore, questi omicidi sono agiti principalmente da ex coniugi o ex
partner (e partner o amanti) incapaci di accettare la perdita dell’oggetto del
proprio investimento affettivo. Le vittime sono nella maggior parte dei casi
giovani e giovani-adulte, separate o divorziate. Significativa, in questo
ambito, la presenza di omicidi-suicidi e di vittime straniere.
- “femicidi del logoramento” (49,1% dei casi),
scaturiti da una convivenza intollerabile e conflittuale, logorata da continue
liti e dissapori all’interno della coppia (dove talvolta è proprio il conflitto
il fattore costitutivo del legame); l’esasperazione e l’aggressività maturata
negli anni sono peraltro spiegate dall’appartenenza a questo cluster delle
percosse, e del soffocamento o strangolamento quali mezzi utilizzati per
perseguire il femicidio, così come dalla presenza del suicidio come suo atto
conclusivo. Associata a questi delitti la presenza di un disagio (fisico o
mentale) della vittima, cui l’autore vuole porre fine (i cosiddetti omicidi
pietatis causa). Le vittime si collocano prevalentemente in età matura (50-64
anni e 45-54 anni).
- i femicidi di
interesse (15,1% dei casi): appartengono a questo cluster madri, sorelle e
nonne, in genere donne anziane, nella maggior parte dei casi vedove e sole,
uccise per interesse dai propri figli, fratelli o altri familiari.
- i “femicidi
dell’irrilevanza” (il 4,7% del totale): in questo cluster la vittimologia non è
spiegata dall’asse diretto della relazione tra vittima e autore, ma mediata da
altre relazioni (in particolare da quella di coppia). Appartengono a questo
cluster le figlie, in prevalenza minori, uccise dai propri genitori in quanto
strumento utilizzato per “punire” il partner, come vittime del disagio mentale
sottovalutato e come oggetto passivo di patologici progetti di suicidio
allargato dei family mass murderers.
GLI OMICIDI DI
CRIMINALITÀ COMUNE
Fonte: EURES Ricerche
Economiche e Sociali, Archivio degli omicidi volontari in Italia
Omicidi della
criminalità comune in forte crescita – Tra i fenomeni emergenziali emersi
nell’analisi dei dati, si rileva in Italia un forte incremento degli omicidi
compiuti dalla cosiddetta “criminalità comune”, cresciuti del 25,8% nel 2012
(da 97 nel 2011 a 122), arrivando a rappresentare il 23,2% degli omicidi
complessivamente censiti in Italia (tale ambito raccoglie, nella
classificazione dell’Eures, gli omicidi consumati al di fuori del crimine
organizzato e dei diversi contesti di prossimità, riferendosi cioè al
cosiddetto crimine diffuso trasceso nell’omicidio o maturati all’interno di
contesti di marginalità o conflittualità occasionale, come le risse nei
locali).
A livello territoriale
è nelle regioni del Centro che gli omicidi della criminalità comune assumono
l’incidenza più alta, pari al 38,4%, a fronte del 21,3% al Nord e del 20,4% al
Sud. È tuttavia ancora quest’area a presentare nel 2012 il numero più alto di
vittime (57, pari al 46,7% del totale italiano), seguita dal Nord (37 vittime,
pari al 30,3%) e dal Centro (28 vittime pari al 23%).
Il principale “movente
specifico” è costituito nel 2012 da furti o rapine (47,5% del totale), cui
seguono gli omicidi legati alle diverse attività illecite quali il traffico e/o
spaccio di stupefacenti (19,7%, che salgono al 24,3% al Nord) e la
prostituzione (4,9%, che sale al 7,1% al Centro ed al 10,8% al Nord).
Omicidi della
criminalità comune: Roma doppia Milano – A livello provinciale Roma, con 15
omicidi di criminalità comune nel 2012 (il 12,3% del totale italiano per questo
ambito), doppia il valore di Milano (8 vittime), seconda in classifica (6,6%);
al terzo posto Reggio Calabria, Caserta e Torino (7 vittime ciascuna, pari al
5,7%), seguite da Napoli e Foggia (6). Coerentemente è il Lazio la prima regione
per numero di omicidi di criminalità comune (19 nel 2012, pari al 15,6% del
totale), seguita da Lombardia, Campania e Calabria (14 vittime ciascuna). In
termini relativi è tuttavia ancora la Calabria a presentare il rischio più alto
(3,4 vittime per milione di residenti), seguita da Puglia (2,7) e Lazio (2,5).
A livello territoriale sono i comuni con oltre 50 mila abitanti i più colpiti
dagli omicidi della criminalità comune, fenomeno prettamente “urbano”, con il
55,8% delle vittime totali.
Giovanissimo il killer
della criminalità comune. In forte crescita gli autori stranieri (+62,5%) –
Nella quasi totalità dei casi gli autori degli omicidi della criminalità comune
sono uomini (93,9%), generalmente molto giovani (gli under 35 sono il 61,2%) ed
in quasi la metà dei casi, stranieri (45,6%); ed è proprio tra questi ultimi
che si registra la crescita maggiore (+62,5% nel 2012, passando da 32 nel 2011
a 52 nell’ultimo anno), a fronte di una flessione del 7,6% degli autori
italiani (da 66 a 61).
Anche le vittime della
criminalità comune risultano prevalentemente uomini (78,7%), con un indice di
rischio (3,3 vittime ogni milione di abitanti) decisamente superiore a quello
delle donne (0,8).
È boom di omicidi per
rapina: +87% nel 2012 - La crescita degli omicidi attribuiti alla criminalità
comune deriva in larga misura dal fortissimo incremento, registrato nel 2012,
delle vittime di omicidio per furto o rapina, che hanno raggiunto le 58 unità,
con una crescita dell’87,1% rispetto alle 31 vittime censite nel 2011 (erano 33
nel 2010, 34 nel 2009 e 45 nel 2008). La percentuale più alta degli omicidi per
rapina si consuma al Sud (25, pari al 43,1% del totale italiano), cui seguono
il Centro (19 vittime, pari al 32,8%) e il Nord (14 vittime, pari al 24,1%).
Considerando
complessivamente le vittime di omicidio per rapina censite dall’Eures in Italia
tra il 2008 e il 2012 (201 in valori assoluti), si rileva una prevalente
presenza della componente anziana (42,8%, che sale al 66,7% tra le vittime
donne), e delle persone che vivono da sole (59,5%), colpite in primo luogo
all’interno della propria abitazione (53,2%) e, secondariamente, in un centro
abitato (15,9% dei casi censiti), in un “luogo isolato” (12,4%) o all’interno
di un locale o esercizio pubblico (10%), di cui spesso erano titolari.
Sempre più efferati gli
omicidi per rapina - Se la criminalità comune uccide soprattutto con armi da
fuoco (52,5% nel 2012), nei soli omicidi per furto o rapina tale ricorso scende
al 31,8%, aumentando invece significativamente il ricorso ad armi improprie
(20,4%), al soffocamento (11,9%), alle percosse (10,4%) e allo strangolamento
(4,5%), utilizzati per rendere inoffensive o sopraffare le vittime. L’uso di
armi da taglio ricorre nel 13,4% dei casi, mentre residuale appare il ricorso
ad altri strumenti. Ma è la scena del crimine a raccontare la dimensione
dell’efferatezza, sempre più presente in questa tipologia di omicidi: tra il
2008 e il 2012, infatti, nel 15% dei casi la vittima è stata trovata legata;
nel 17,5% imbavagliata e/o bendata; nell’8,5% dei casi il cadavere è stato
ritrovato nudo o seminudo; nel 7% la scena del crimine è stata alterata
dall’autore e nel 6% dei casi si è constatato un utilizzo sproporzionato della
violenza esercitata (overkilling).
GLI OMICIDI DEGLI
ANZIANI
Fonte: EURES Ricerche
Economiche e Sociali, Archivio degli omicidi volontari in Italia
L’accerchiamento:
sempre più vittime anziane, tra famiglia e criminalità – In Italia, nell’ultimo
quinquennio (2008-2012), sono state 444 le vittime di omicidio di 65+ anni (89
in media l’anno), raggiungendo nel 2012 le 98 unità (pari al 18,6% del totale
delle vittime di omicidio), con una crescita del 16,7% rispetto alle 84 vittime
del 2011, determinata soprattutto dalla componente femminile (+30%, passando da
40 a 52 vittime, rispetto a +4,5% per quella maschile, passata da 44 a 46).
Sono due i contesti
all’interno dei quali vengono uccise oltre 8 vittime anziane su 10: la
famiglia, con il 50,7% dei casi (54,4% al Centro e 63,7% al Nord) e la
criminalità comune (22,7% del totale); conseguentemente più contenuta
l’incidenza del contesto amicale (6,8%), di vicinato (4,1%), di quello
economico o lavorativo (3,8%) e della criminalità organizzata (2,7%). Sono
soprattutto le donne anziane ad essere uccise da un familiare (69% dei casi tra
il 2008 e il 2012), a fronte del 41,5% degli uomini, più frequentemente uccisi
dalla criminalità comune (28%, a fronte del 22,4% per le donne), da conoscenti
(13% contro il 2,4%), in contesti di abitazione o vicinato (5,2% contro il
3,8%), in ambito lavorativo (6,2% contro il 2,4%) o dalla criminalità
organizzata, di cui risultano vittime esclusive.
All’interno del
contesto familiare sono i figli (40,9%) i principali carnefici degli anziani,
seguiti dai coniugi (32,4%); residuale il peso dei fratelli (4,4%), dei nipoti
(3,1%) e degli altri familiari. Nel solo contesto familiare il 12,2% delle
vittime anziane è stata uccisa per motivi economici, l’11,9% a seguito di liti
e dissapori; nel 13,8% dei casi l’autore soffriva di disturbi psichici e in un
altro 11,4% l’evento è attribuito ad un raptus dell’autore, mentre l’8,8% degli
omicidi è legato alla malattia fisica o mentale e/o alla non autosufficienza
della vittima, da cui l’autore ha voluto “liberarla” (i cosiddetti omicidi pietatis
causa).
Anziani uccisi per
rapina: la solitudine fattore di rischio. In 7 casi su 10 “traditi” da un
basista – Considerando complessivamente il quinquennio 2008-2012, il 22,3%
delle vittime over 64 è stata uccisa nel corso di un furto o una rapina (tra il 2011 e il 2012 le vittime
sono raddoppiate, passando da 15 a 31). A rischio sono soprattutto gli anziani
soli, che rappresentano il 70,4% delle vittime anziane, mentre il 21% viveva
con il/la coniuge e l’8,6% con i figli.
Approfondendo l’analisi
relativa al 2012, nel 52,6% degli omicidi di anziani per furto o rapina la
vittima conosceva direttamente l’assassino (essendo questi un vicino di casa,
un dipendente, un operaio, un giardiniere o una badante) e nel 15,8% la
conoscenza era indiretta (ovvero mediata da terzi), mentre l’omicidio è
avvenuto per mano di sconosciuti nel restante 31,6% dei casi.
Più a rischio le fasce
serali e notturne, con il 65% delle vittime tra le 18 e le 6 del mattino (il
33,3% tra le 18 e le 24 e il 31,7% tra le 24 e le 6), e la domenica (con il
23,3% delle vittime), che registra valori doppi rispetto agli altri giorni
della settimana.
Gli autori “noti” negli
omicidi di anziani per rapina risultano spesso giovani (il 41,2% ha tra i 25 e
i 34 anni) e prevalentemente stranieri (60,8%), con una forte incidenza
dell’Europa dell’Est e del Nord Africa.
STRANIERI VITTIME E
AUTORI DI OMICIDIO
Calano le vittime (108
nel 2012) di omicidio straniere. Stabili gli autori – Tra le ragioni del calo
del numero degli omicidi registrato in Italia (-4,5% nel 2012), assume un
valore significativo il forte decremento delle vittime di nazionalità non italiana,
che presentano nel 2012 il numero più basso dell’ultimo decennio (108), con una
flessione del 18,2% rispetto alle 132 vittime del 2011 (a fronte di un
decremento dello 0,7% delle vittime italiane, passate da 419 a 416). Una
vittima di omicidio su 5 (21,3% nell’ultimo decennio e 20,5% nel 2012) resta
tuttavia straniera, con un indice di rischio che, pur scendendo da 7,3 vittime
ogni 100 mila residenti nel 2003 a 2,4 nel 2012, resta ancora 3 volte superiore
a quello dei soli italiani (0,7).
Per quanto riguarda gli
stranieri autori di omicidio (121 quelli noti nel 2012, pari al 28,9% del
totale), si conferma il dato del 2011 in valori assoluti (erano 122), con una
leggera crescita in termini di incidenza (rappresentavano il 28,1% nel 2011),
ma con un decremento rispetto al triennio 2008-2010.
Al Nord oltre la metà
delle vittime straniere. Donna il 37% delle vittime - Il 55,6% delle vittime
straniere è stata uccisa in una regione del Nord Italia (60 in valori assoluti
nel 2012, pari al 34,5% degli omicidi complessivamente censiti nell’area), a
fronte del 23,1% al Sud (25 vittime) e del 21,3% al Centro (23 vittime).
Un’incidenza significativa della componente straniera si registra anche al
Centro (31,5%), scendendo al 9% al Sud, dove gli omicidi di criminalità
organizzata rappresentano la quota prevalente del fenomeno, che non coinvolge
nel 2012 alcuna vittima straniera.
Sebbene si confermi
anche tra gli stranieri una prevalenza di vittime di sesso maschile (68 contro
40 donne), aumenta progressivamente, negli ultimi 5 anni, l’incidenza delle
donne (dal 29,9% del 2008 al 37% del 2012, a fronte del 28,1% rilevato tra le
sole vittime italiane).
Dall’Europa dell’Est il
più alto tributo di sangue. Etnici 7 omicidi su 10 – La distribuzione delle
vittime di omicidio straniere in base al Continente di origine appare piuttosto
coerente con le caratteristiche della popolazione immigrata, risultando nel
46,7% dei casi di origine europea, nel 20,4% di origine africana, nel 16,7%
asiatica e nel 13% americana. In particolare nel 2012, più di una vittima su
cinque (il 20,4%) era Romena, il 14,8% Albanese e l’8,3% Marocchina (in forte
calo rispetto al 22% del 2011, quando rappresentava il gruppo prevalente).
Ancora maggiore il peso della componente romena considerando la nazionalità
degli autori (32, pari al 26,4% degli autori stranieri noti), dove si
riscontrano valori significativi anche per il Marocco (17 autori, pari al 14%),
l’Albania (12 autori, pari al 9,9% dei noti) e la Tunisia (7, pari al 5,8%).
Considerando i soli omicidi
“risolti”, oltre il 70,5% degli stranieri vittime di omicidio risulta ucciso
per mano di un altro straniero (connazionale nel 62% dei casi), mentre circa un
terzo delle vittime è stata uccisa da un italiano (29,5%, pari a 23). Inferiore
risulta invece l’incidenza delle vittime italiane uccise da un autore straniero
(14,5%), anche se più elevato è il valore in termini assoluti (38 vittime).
Famiglia a rischio
anche per gli stranieri – Se nel 2012 la criminalità comune si conferma il
contesto omicidiario più rilevante per gli stranieri (con il 26,9% delle
vittime, pari a 29 in valori assoluti, a fronte del 22,1% tra i soli italiani),
la famiglia presenta valori soltanto di poco inferiori, con il 25% delle
vittime straniere (27 in valori assoluti), a fronte del 35,6% tra i soli
italiani. Seguono gli omicidi tra conoscenti (23,1%, pari a 25), mentre isolati
risultano gli omicidi avvenuti nell’ambito di rapporti di coabitazione/vicinato
(5 vittime, pari al 4,6%) od economici/lavorativi (4 vittime, pari al 3,7%).
Sempre più giovani gli
stranieri autori di omicidio – In piena coerenza con i dati relativi alla
struttura demografica, l’età media delle vittime di omicidio straniere (34
anni) risulta di circa 15 anni inferiore a quella delle vittime italiane (49
anni). In particolare, oltre la metà delle vittime straniere (55,6%) aveva meno
di 35 anni, contro il 23,6% tra gli italiani, tra i quali invece le vittime
prevalenti risultano gli over 64 (pari nel 2012 al 22,9% di quelle totali, a
fronte di un marginale 2,8% tra gli stranieri).
Anche gli autori
stranieri risultano molto più giovani degli italiani (31,1 anni la media a
fronte di 43 tra gli italiani), caratterizzandosi peraltro il 2012 per un
consistente abbassamento dell’età media degli autori di omicidio (era pari a
33,4 anni nel 2010).
Direzione Rapporto:
Fabio Piacenti
Ufficio Stampa: Viviana
Vassura 06 87.19.58.35 - 333 6177207
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