Translate

domenica 11 agosto 2013


La fuga da  manicomio Aversa del boss Raffaele  Cutolo – Processo al Tribunale di S. Maria C.V. - Arrestati 2 agenti -

    


Santa Maria Capua Vetere -  Come “infermo di mente”,  Raffaele Cutolo,  viene subito internato in manicomio giudiziario. Una vera “pacchia”: a S. Efremo l'istituto di Napoli che per primo ospita il “boss”, accade di tutto. Il padrino di Ottaviano, naturalmente, vi si trova  a suo agio: gode di rispetto e connivenze, fa e riceve telefonate, organizza i suoi molteplici  traffici, tira le fila della propria organizzazione. E come a tutti i boss, gli viene garantito un ”trattamento” speciale: cella di lusso, cortesia e cordialità, più o meno come a casa propria... “. Il direttore, prof. Giuseppe Rosapepe, fa finta di non vedere. Tenterà di impiccarsi, perché condannato a 4 anni di reclusione per il modo in cui dirigeva il manicomio. A Napoli c'è anche il boss mafioso calabrese Umberto Egidio Muraca, pluricondannato: Cutolo vi si allea immediatamente. E con i due, fanno cerchio altri pregiudicati anch’essi ritenuti “malati di mente”. Carmelo Marotta, ad esempio, un '”guaglione” della consorteria salernitana, originario di Roccagloriosa.
     Secondo l'autorità giudiziaria, che scoprirà la ”congiura” che insieme costoro architettavano, si erano associati allo scopo di commettere più delitti, fra i quali organizzare l'evasione di Michele Dattilo ( mafioso calabrese ) dal penitenziario di Porto Azzurro;  un attentato al Commissario di P.S. dì Lamezia Terme, Antonino Surace, il  contrabbando di sigarette estere, la coercizione di testi e coimputati di altri procedimenti penali”. Cutolo, poi, comunicava via cavo col Perù, e trattava indisturbato partite di cocaina.
     Tutto ciò dall'interno dell'istituto di pena: con la complicità, fuori, di pregiudicati vari, fra i quali anche due latitanti, che accedevano comodamente all'istituto senza alcun permesso o autorizzazione dell’Autorità giudiziaria. La '”congiura” finisce in Tribunale: Cutolo, Muraca, Marotta, e con loro Antonino Mazzeo e Luciano Cortese ( compaesani di Muraca ) oltre a Giovanni De Biase, ( nipote del boss calabrese ), vengono imputati di associazione per delinquere e corruzione continuata. Corruzione nei confronti di Salvatore Greco, originario di Lamezia Terme, maresciallo  degli agenti di custodia del Manicomio di Sant'Efremo, che riceveva  “donativi vari” ( olio, salumi,
vini ) ed altre utilità per consentire ai “comparielli”  di entrare e uscire indisturbati.   Il Mar. Greco viene pure accusato di peculato continuato: col telefono del manicomio, ed a spese dello Stato, faceva comunicazioni per conto suo e di Muraca. Il giudice istruttore Giuseppe Cozzolino, “ritenuto che tutto questo non era una prova sufficiente per l’accusa di associazione per delinquere'”, emette una sentenza  “estiva” di assoluzione, ordinando il rinvio a giudizio di Greco e compagni davanti al Pretore per concorso in abuso innominato di ufficio. Ma il pubblico ministero, Francesco Serpico, ricorre in appello contro tale decisione del magistrato: il processo si farà in Tribunale. I fatti risalgono al 1974: la prima sentenza arriva nel dicembre del  1977.
     Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, assolverà Cutolo per insufficienza di prove. Il 27 ottobre 1981, il boss verrà poi definitivamente prosciolto perché il ''fatto non sussiste". Il 27 ottobre è la data delle  sentenze clamorose: nella stessa giornata, la Prima sezione della Corte d'Appello di Napoli ( presidente Andrea Fenizia ) ha pure assolto Cutolo per la rocambolesca evasione dal Manicomio giudiziario di Aversa. SÌ, perché dopo la “congiura” sventata di S. Efremo, Cutolo venne trasferito ad Aversa, ospite dell’8  Reparto del Nosocomio. Direttore dell'istituto il prof. Domenico Ragozzino, che interpellato in passato dalla Corte d'Assise d'appello per il tentato omicidio di Palma Campania, l’aveva dichiarato l’infermità di mente del boss. Ragozzino, condannato a 4 anni di reclusione per maltrattamenti ai ricoverati del manicomio,  si impiccherà poco dopo tempo.
     Anche da qui costui riusciva a controllare l'andamento dell'attività della propria banda: a fare da ''trait d'union'' con l'esterno, era la sorella Rosetta, allora latitante perché considerata la "mente'' criminale dell'organizzazione. ''MI allontanai rumorosamente..." dice il boss, parlando della sua fuga, avvenuta il 3 febbraio del 1978.  Alcuni suoi gregari, con una carica di dinamite, fecero infatti saltare il muro perimetrale dell'ospedale psichiatrico giudiziario, permettendo così la fuga del  ''compare". Il ''commando'' agì certamente con molte complicità: il sostituto procuratore Ettore Maresca, della Procura di Santa Maria Capua Vetere emise infatti ordine di cattura nei confronti di due agenti di custodia, l'appuntato Pasquale Mallardo e la guardia Salvatore Stabile, perché ritenuti responsabili di favoreggiamento personale.

     Nel prosieguo delle indagini, vennero pure identificati  alcuni componenti del gruppo che riuscì a far evadere Cutolo; Giuseppe Pucci, detto "'o Giappone'' per i suoi occhi a mandorla, arrestato di recente dopo una lunga latitanza, e Vincenzo Simonetti. Scattarono le manette anche per Rosetta Cutolo, e per  Franco Caronna, nipote del boss, poi successivamente scarcerate.
E dire che don Raffaele passava per un detenuto “modello”.  La fuga, proprio, non se l'aspettavano. "Era dedito alla preghiera e alla poesia" - dichiarò il direttore Ragozzino. Aveva perfino vinto un premio ad un concorso di Poesia Domenico Ragazzino, psichiatra di un certo spessore, direttore del manicomio di Aversa, autore di pregevoli opere nel campo della psichiatria, fu condannato a 4 anni di reclusione dalla Corte di Assise di S. Maria C.V ( fu difeso all’epoca da Giuseppe Garofalo )  per una serie di abusi nei confronti degli internati. Dopo qualche tempo si impiccò per lo smacco subito in seguito alla condanna.
     Quella di Cutolo fu un’evasione  clamorosa, per la quale, il 23 ottobre del 1979, la 3' Sezione penale del tribunale di Santa Maria  Capua Vetere inflisse a don Raffaele 4 anni di reclusione, nonché sei mesi di casa di cura, a pena scontata, e mezzo milione di multa. Il tutto con l'attenuante della seminfermità mentale, compensata però dall'aggravante della continuazione. Poi, il 27 ottobre dello stesso anno, la sentenza della Corte d'Appello: condanna a due anni e mezzo per il danneggiamento alle strutture manicomiale e per la detenzione del materiale esplodente, ma assoluzione ( perché il fatto non costituisce reato ) per l'evasione.
     Una decisione destinata a lasciare un segno nella storia della giustizia dl Castelcapuano: come dire che chi scappa dal manicomio non può essere condannato per evasione. “Cutolo – ha sostenuto la Corte, accogliendo la tesi della difesa - era solo, un internato per una misura di sicurezza. Nei suoi confronti era intervenuto il proscioglimento della Corte d'Assise,  che lo aveva dichiarato totalmente infermo di mente. Ancora una volta, la “pazzia” funziona.
     Raffaele Cutolo - scrive Gigi Di Fiore nel libro “La Camorra e le sue storie”- non aveva mai voluto  diventare un collaboratore della giustizia. Difese il suo diritto di essere detenuto, in passato capo camorra, che non voleva trasformarsi in “infame”. A 57 anni spiegò - di voler conservare la sua dignità. Accennando anche ai tanti magistrati che in cerca di gloria, erano corsi da lui, in carcere, per tentare di farlo diventare un collaboratore di giustizia scrisse: “Mi  hanno persino fatto capire che, se li avessi aiutati, avrei potuto subito recarmi in una villetta, con mia moglie in una località sicura  e godermi il resto dei miei giorni. Non ho voluto”. 

     Oggi Raffaele Cutolo – recentemente trasferito da Carinola in  Sardegna  - ha 73 anni. Su facebook è aperta una finestra con la quale si chiede la sua “scarcerazione” perché sarebbe un uomo vecchio e debilitato. Ma ci si domanda il carcere lo ha rieducato? Così come è previsto nella nostra carta costituzionale? Il dibattito è aperto.

     Contro la sua scarcerazione si sono espressi in molti: Federico Cafiero De Raho, procuratore aggiunto della DdA di Napoli ( e ora Procuratore blindato di Reggio Calabria ) e Giuseppe Garofalo, avvocato penalista e storico difensore del boss. Cutolo sarebbe un pericolo per tutti e non è escluso che abbia la capacità organizzativa di ricostruire la Nuova Camorra Organizzata.  

Nessun commento:

Posta un commento