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giovedì 24 ottobre 2013

DA LETTERA 43



POLITICA

De Gregorio: storia di un voltagabbana

Alleato di Prodi. Poi uomo del Cav. Ora teste nel processo sullacompravendita dei senatori. Le piroette di Sergio.

di Giulia Romiti
Parlava di un «grande movimento», con «milioni di attivisti e di elettori in tutti i Continenti», ma, in realtà, la sua creatura, Italiani nel mondo, era una associazione nata nel 2004 per l'esportazione di prodotti tessili con sede in una palazzina diroccata di Fuorigrotta, alla periferia di Napoli.
Per non parlare del suo house organ, Italiani nel mondo channel, che era un canale per le televendite e poco più.
Sergio De Gregorio era uno così, capace di vendersi bene, millantare cause nobili e amicizie importanti, ma pronto a 'vendersi' per una presidenza o qualche milione di euro.
Il problema è che in molti, a sinistra come a destra, gli hanno dato credito.
Tanto è vero che quel giornalista corpulento che rischia di trascinare Silvio Berlusconi in carcere, in sette anni è passato dalla periferia occidentale del capoluogo partenopeo alla presidenza della commissione Difesa del Senato della Repubblica e addirittura all'assemblea parlamentare della Nato.
La parabola dell'uomo che è stato decisivo per rovesciare le sorti di un governo si è conclusa altrettanto rapidamente in un istituto di pena e prosegue nelle aule di tribunale.
SCOPERTO DA DI PIETRO. La responsabilità di aver portato Sergio De Gregorio a Palazzo Madama è di Antonio Di Pietro.
Il 10 aprile 2006 fu candidato capolista al Senato per la sua Italia dei Valori, in Campania. «La mia candidatura nell’Italia dei Valori la volle fortissimamente Tonino, mi fece un grande corteggiamento», spiegò l'ex presidente di Italiani nel mondo. «Ma, vede, io mi candidai con Di Pietro per dimostrare a Berlusconi che esistevo e infatti i miei 35 mila voti in Campania gli fecero perdere le elezioni in tutta Italia…», chiarì sei anni dopo.
Logico: si candidò col centrosinistra per dimostrare al centrodestra che aveva bisogno di lui.

Da alleato di Prodi a sodale del Cav

Appena entrato nel Palazzo, dove l'Ulivo aveva una maggioranza risicatissima, cominciò a trattare col centrodestra. E in cambio della presidenza di una commissione, la Difesa, fece il grande salto. «Quando mi ricevette, a Berlusconi dissi: 'Hai un sacco di cretini attorno'. Ne ha tanti, guardi non mi faccia far nomi, ma non è circondato bene: mai una decisione che si portasse fino in fondo...», ha spiegato ricordando quei giorni.
Poi, in seguito, ha accusato gli stessi di essere stati fin troppo decisi e di averlo incaricato di portare a termine 'l'Operazione libertà', che sarebbe consistita nella compravendita di senatori del centrosinistra nel biennio 2006-2008.
IN MISSIONE PER CONTO DI SILVIO. La missione, a suo dire «finalizzata a ribaltare il governo di Romano Prodi», fu finanziata, ha ammesso in seguito, con tre milioni di euro.
«Silvio ha una sensibilità straordinaria. Quando sono stato operato ai calcoli venne personalmente in clinica per verificare da vicino il mio stato di salute. È capace di attenzioni emotive particolari verso di me dice sempre di avere una fiducia istintiva», raccontava del Cavaliere, suo «prezioso alleato», nel 2007.
Ora fa stalking all'ex presidente del consiglio dell'Ulivo. Gli porge le sue scuse per iscritto, gli telefona, chiede di poter essere ricevuto: eppure ai tempi non ci andava certo leggero.
Nell'imminenza del fatidico 24 gennaio 2008, quando l'esecutivo del Professore andò in crisi anche grazie alla sua sfiducia, diceva: «È evidente che Romano Prodi voglia uscire dalla vicenda della politica italiana di questa fase sfidando l'Aula parlamentare. Ma sarebbe opportuno che facesse un po' i conti e si rendesse conto che sbaglia a forzare la mano...».
Di più: «Sarebbe un suicidio affiancare Prodi in questo tentativo di rimanere a galla. Il Paese ne riceve uno spettacolo terribile, con un governo che traballa e non dà fiducia agli investitori e alle famiglie». Caduto quel governo c'era il centrodestra pronto a raccattarlo.

Scaricato dal centrodestra, denuncia Berlusconi ai pm

Però, dopo essersi spacciato per il liberatore della Patria, dall'anno successivo cominciò a ritrattare: «Il governo Prodi sarebbe caduto comunque. Magari lo abbiamo aiutato ad andare a casa». E ancora: «Non è stato un atto di arroganza politica, è stata la considerazione che il Paese era impantanato a una sopravvivenza legata all'esistenza in vita di una coalizione che non andava d'accordo su nulla».
Più recentemente, lo scorso 7 marzo, l'ex senatore ha fornito la penultima versione su quei giorni drammatici: «Vi erano preoccupazioni forti da parte degli americani sulle questioni di sicurezza e difesa, in ordine alle opposizioni che venivano dall'ala più radicale del governo Prodi».
De Gregorio, dunque, avrebbe agito per conto nientemeno che degli Stati Uniti. Di lì in poi, complice forse la mancata candidatura di un esponente di Italiani nel mondo alle scorse Politiche, la versione è stata solo una: i soldi del Popolo delle libertà.
I DUE MILIONI RICEVUTI DAL CAV. Che, per i berlusconiani, erano però un normale contributo all'attività politica del suo partitino. «Perché mi abbiano dato due milioni in nero me lo sono chiesto anch'io. L'ho confessato, ho commesso un reato», ha ammesso davanti ai pm romani. «Se me li avessero dati in maniera trasparente li avrei dichiarati come ho dichiarato 1 milione di euro alla Camera e sarei stato nella legge.
Ho accettato un pagamento in nero, ho sbagliato e l'ho confessato al magistrato».
Due milioni di euro in nero. Eppure, lamenta ora l'ex senatore, «con la politica mi sono impoverito, ho speso un sacco di soldi, sono ancora pieno di debiti purtroppo…».
Sono tornati a galla i suoi guai giudiziari, il centrodestra lo ha mollato. Voleva levarsi di torno, ma mantenere in vita il suo movimento: «Esiste il mio movimento politico, io non mi ricandiderò e ho chiesto per iscritto al presidente Berlusconi di candidare un giovane del movimento Italiani nel mondo. Se lui dice di no è probabile che lo portiamo in tribunale visto che ha firmato un accordo», avvisava un anno fa.
L'ex presidente della commissione Difesa si aspettava un suo uomo in parlamento, non voleva scomparire così.
Ma non è accaduto. E ora De Gregorio, quello stesso cui il Cavaliere alzava le braccia in segno di vittoria nelle convention pidielline, lo ha trascinato nei guai. «Quando ciascuno di noi mette una firma sotto un accordo è responsabile di quello che fa, quando la mette il presidente Berlusconi non deve fare per finta», diceva lo scorso dicembre.
GLI RESTA IL VITALIZIO. Lo ha accusato di tutto, anche di avergli chiesto di fermare una rogatoria da Hong Kong per un processo che lo riguardava, salvo beccarsi una rampogna da un pm milanese, che si è accorto delle date sballate, che si trattava di una storia inverosimile. Di quel Silvio così «carismatico» e così «sensibile» ora l'ex senatore non conserva nemmeno un ricordo: «Non voglio più parlare con Berlusconi perché si deve ricordare di chi ha lottato per lui. È un uomo politico che continua a lottare nonostante la sua epoca sia finita. Mi ha tradito, non ne valeva la pena», ha detto ai giornalisti, commentanto il rinvio a giudizio del Cavaliere causato dalla sua confessione.
Gli resta il vitalizio, quello sì: «Ma sono soltanto millecinquecento euro». L'ultima giravolta, forse, è il rinnegamento della politica. «Forse non avrei dovuto lasciare il mio mestiere, il giornalismo; facevo le dirette in radio da Napoli, ero bravo». Ma non avrebbe guadagnato 3 milioni di euro nemmeno in una vita intera.
 
Giovedì, 24 Ottobre 2013

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