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mercoledì 23 ottobre 2013

IL DIRITTO ALL'OBLIO


Oblio, le news non sono eterne. Archivi online da modificare in caso di fatti ormai irrilevanti. A patto che non ne accadano di nuovi. In Italia c'è il diritto a essere dimenticati. Nell' Ue non ancora. 
(Interviste a Franco Abruzzo e Paolo Grasso). 

di Andrea Secchi-ItaliaOggi 


Milano, 17 ottobre 2013. «Nel 1995 il Messaggero fece un concorso, ripubblicando le sue prime pagine di vent'anni prima. Una di queste raccontava la storia di un delitto, ma nel frattempo l'assassino era stato condannato, aveva scontato la sua pena con 20 anni di galera e si era rifatto una vita. Ha fatto causa e ha vinto. Ora un altro esempio: la rapina di via Osoppo a Milano. Passano quarant'anni, uno dei protagonisti di allora commette un'altra rapinetta. Ha 80 anni e viene arrestato. Ma in quel caso nessun tribunale avrebbe potuto condannare il giornale che ha ricostruito tutta la storia. Il fatto nuovo ha dato nuova vita a quello vecchio».

I due esempi fatti da Franco Abruzzo, decano dell'Ordine dei giornalisti, spiegano con semplicità cosa sia il diritto all'oblio nella sua sostanza. Se pensiamo però a come si è trasformata l'informazione con internet, e a come sia ormai facile imbattersi nel passato delle persone, si capisce quanto il diritto all'oblio sia importante oggi e lo diventi sempre più.

Finché c'erano solo gli archivi cartacei, infatti, le ricerche erano difficili ma soprattutto dovevano essere mirate. Oggi scrivendo un nome su un motore di ricerca può capitare di imbattersi in fatti passati della persona, che non rispecchiano più la sua attuale vita o, peggio, che nel tempo sono cambiati, vedi l'imputato di un processo che viene successivamente assolto.

Ebbene, il diritto all'oblio, non previsto da alcuna legge, ma ormai in Italia è una realtà, grazie alle pronunce giurisprudenziali, mentre a livello europeo la nuova direttiva della protezione dei dati personali che dovrebbe prevederlo si è arenata ancora la scorsa settimana su un'altra questione. «Il diritto all'oblio è una creazione giurisprudenziale dell'ultimo decennio», spiega l'avvocato Paolo Grasso, che in passato si è occupato di uno dei primi casi in quest'ambito. «Più che di diritto è giusto parlare dell'interesse di un soggetto, che è stato oggetto di attenzione nelle cronache in anni passati, a far dimenticare il proprio nome, se non venuto nuovamente alla ribalta per fatti successivi. Questo si scontra con le nuove tecnologie. Non sempre si può invocare, non solo dal punto di vista giuridico, ma tecnico. La sentenza del giudice si scontra con gli ampi confini web e soprattutto con la duplicazioni delle notizie sulla rete».

Ma come stanno in pratica le cose? Una persona può chiedere, e ottenere, che un sito di informazione modifichi una determinata pagina del proprio archivio, inserendo gli aggiornamenti sul suo caso (nel testo o a margine), ma può anche chiedere, e ottenere a volte, che l'informazione lesiva del suo diritto all'oblio non sia raggiungibile dai motori di ricerca, o sia addirittura cancellata sul web restando solo nell'archivio cartaceo del giornale se c'è. Questo quanto deciso dalla giurisprudenza nelle ultime sentenze.

A queste posizioni si è arrivati per gradi. Prima era soltanto l'Autorità per la protezione dei dati personali che nei suoi interventi garantiva una certa protezione, in genere imponendo che il sito non permettesse più ai motori di indicizzare le pagine incriminate, poi è intervenuta la Cassazione, con diverse sentenze ma soprattutto la n. 5525 del 2012 considerata una pietra miliare in quest'ambito. In quel caso, un politico della Brianza si era rivolto alla Cassazione dopo che il tribunale aveva rigettato la sua richiesta di intervenire sul Corriere della Sera perché cancellasse o modificasse un suo vecchio articolo. Ogni volta che il suo nome veniva ricercato su Google, infatti, il primo risultato era relativo a un pezzo su una sua incriminazione per tangenti avvenuta nel 1993, accusa da cui era stato poi prosciolto. Nella sua sentenza la Cassazione ha bocciato la decisione del tribunale e rimandato la questione a un nuovo giudizio. Non senza però stabilire che l'articolo dovesse essere aggiornato, sia per tutelare la persona sia per la correttezza dell'informazione.

A marzo di quest'anno una nuova sentenza, questa volta del tribunale di Milano (5820/2013), che ha imposto addirittura la cancellazione di un articolo dall'archivio online di un giornale.

I motori di ricerca restano fuori da questi obblighi, una posizione che è stata ribadita dall'avvocato generale della Corte di giustizia europea lo scorso giugno. In un parere alla Corte su un caso spagnolo, l'avvocato ha sostenuto che in quanto fornitore di servizi il motore non è titolare del trattamento dei dati personali, anche se la normativa in materia è applicabile. Perciò è all'editore che deve esserne chiesta la modifica o l'eliminazione.

Discorso simile per la rettifica, che deve essere chiesta alla testata, non al motore di ricerca. Ma qui, rispetto al diritto all'oblio, siamo su un fronte più incerto per l'online. «Rispetto al diritto all'oblio, che è giurisprudenziale, vi è un vero e proprio diritto di rettifica con la legge sulla stampa», dice Grasso. «Non riguarda però la testata telematica ma solo quella cartacea. C'è qualche giudice che interpreta la legge sulla stampa in maniera estensiva, includendo nell'obbligo di rettifica anche i siti a carattere informativo, le testate giornalistiche». Questo almeno finché non andrà in porto una delle proposte di legge sulla diffamazione.



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