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mercoledì 20 novembre 2013

NELLE CARCERI ITALIANE SI CONTINUA A MORIRE E I RICOTTARI CHE ABBIAMO MANDATO A ROMA CONTINUANO A DROGARSI CON LE CAZZATE POLITICHE: LE PRIMARIE LE SECONDARIE LE CORRENTI E IL POPOLO MUORE DI FAME. L'ITALIA CONDANNATA ANCORA UNA VOLTA DALLA COMUNITA' EUROPEA

Valter Vecellio

Carcere. Tre storie “esemplari”. L’Europa condanna nuovamente l’Italia

21-11-2013
Tre storie esemplari. Gaetano Bottigliero, 25 anni, condannato in primo grado a nove anni di reclusione, è detenuto nel carcere romano di Regina Coeli. Nel gennaio scorso gli viene diagnosticata un'insufficienza renale cronica. In attesa di un trapianto di rene, è sottoposto a dialisi tre volte alla settimana. Le richieste di termine o quantomeno di attenuazione delle misure cautelari, sono state rigettate dal magistrato competente perché sussisterebbe a suo carico un "pericolo di fuga". Vincenzo Di Sarno, 35 anni, condannato in via definitiva, detenuto nel carcere napoletano di Poggioreale, è affetto da un tumore al midollo spinale. Gli è stata rigettata l'istanza di scarcerazione per incompatibilità con lo stato detentivo. Vito Manciaracina, 78 anni, condannato in via definitiva all'ergastolo, detenuto presso il Centro clinico del carcere di Bari, affetto da paralisi degli arti inferiori, epilessia e demenza senile. Il 7 novembre scorso, la Procura della Repubblica ha chiesto il rigetto dell'istanza di sospensione della pena.
Giornalista professionista, attualmente lavora in RAI. Dirige il giornale telematico «Notizie Radicali», è iscritto al Partito Radicale dal 1972, è stato componente del Comitato Nazionale, della Direzione, della Segreteria Nazionale.

Tre storie di sofferenza e di agonia. Importa poco sapere di cosa si siano resi colpevoli Bottigliero, Di Sarno e Manciaracina. L’articolo 27 della Costituzione sancisce che “l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte”. Uno Stato che viola per primo la sua legge suprema, come può chiedere e pretendere che i suoi cittadini la rispettino?
In Italia troppo spesso accade che persone fermate dalle forze dell'ordine o incarcerate subiscano maltrattamenti e che le indagini su questi episodi, quando condotte, finiscano senza l'individuazione di precise responsabilità. Questa, in sintesi, la denuncia contenuta nei due rapporti pubblicati dal Comitato per la prevenzione della tortura (Cpt) del Consiglio d'Europa sulla situazione in Italia. Nei rapporti, redatti sulla base di visite condotte nel nostro Paese tra il 2010 e il 2012, oltre che sui maltrattamenti, il Cpt torna sulla questione del sovraffollamento dei penitenziari, definito nel caso della prigione di Bari "inaccettabile"; e sul regime del 41bis, che va rivisto. Ma è sui maltrattamenti subiti da persone arrestate o incarcerate e sulle misure che l'Italia deve adottare per individuare, indagare e condannare questi casi che i due rapporti si concentrano. Per dimostrare che le autorità non stanno facendo tutto ciò che dovrebbero contro i maltrattamenti il Cpt elenca nei due rapporti una serie di casi. Dalle denunce ricevute soprattutto da persone straniere percosse nella maggior parte dei casi dalle forze dell'ordine nella zona di Milano, a quelle ricevute nella prigione di Vicenza sui maltrattamenti inflitti dalle guardie penitenziarie, o quella di un tunisino picchiato perché, per non essere rimpatriato, aveva ingoiato delle pile. Nel rapporto 2010, pur non facendo i nomi (a cui però si può risalire facilmente in base ai particolari riportati) ma riferendosi solo al "caso A" e "caso B", il Cpt analizza nel dettaglio anche le vicende di Stefano Cucchi e Mario Gugliotta, oltre a quella, indicata come "caso C", di un detenuto maltrattato nella prigione di Castrogno (Teramo); e si sottolinea che l'inchiesta è stata chiusa nonostante ci fosse una registrazione che provava i maltrattamenti. Il penitenziario abruzzese viene così descritto: "con una capacità ufficiale per 231 detenuti, la struttura che si trova alla periferia della città, costruita nel 1986 comprende una piccola sezione per un massimo di 21 donne e quattro blocchi di detenzione per gli uomini. Al momento della visita era sovraffollato: ospitava 29 donne e 360 uomini". Attraverso tutti questi esempi il Comitato mette in luce il fatto che spesso i maltrattamenti passano inosservati. E anche quando sono oggetto di indagine, queste raramente portano a delle condanne.
Il Cpt punta poi il dito sulla mancata apertura di un'inchiesta nonostante che nel 2012, nell'arco di due mesi, al carcere di San Vittore vennero redatti ben 18 referti medici su altrettante persone che quasi certamente erano state maltrattate prima di arrivare lì. Infine il Comitato, nel rapporto 2010, critica in modo esplicito il processo sulla vicenda di Bolzaneto e della Diaz durante il G8 di Genova. Secondo il Comitato "il risultato del processo mette in dubbio l'efficacia del sistema che deve determinare le responsabilità delle forze dell'ordine e del personale penitenziario per i maltrattamenti".
 

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