Translate

sabato 4 gennaio 2014


Napoli: 139 giorni in carcere da innocente, Enzo Mascia racconta l'inferno di Poggioreale





"Sono morto 139 volte. Sono morto ogni giorno trascorso dietro le sbarre di Poggioreale. E ancora non so perché, qualcuno dovrà prima o poi spiegarmelo". Un inferno quello vissuto da Enzo Mascia, dipendente della Provincia di Campobasso originario di Cercemaggiore, che il 2 febbraio del 2013 è finito in carcere con un'accusa infamante, una "macchia" che rende la cella molto peggio di quello che è: violenza sessuale su minore. Pedofilia. Enzo oggi chiede giustizia, chiede che il suo nome venga riabilitato. Sì, perché il 16 dicembre scorso (il pm aveva chiesto 10 anni di reclusione), il Gup del Tribunale di Napoli lo ha assolto "per non aver commesso il fatto". Una sentenza che rende giustizia ad un uomo, un padre, a cui un giorno il mondo è crollato addosso senza ragione. Ma che non potrà mai cancellare l'umiliazione subita e quei quattro mesi e mezzo trascorsi nel carcere partenopeo, "dove - ricorda tra le lacrime - quando mi andava bene erano sputi e insulti. Altrimenti botte. Botte da orbi, dal primo all'ultimo giorno".
È la legge dei penitenziari, regole non scritte ma subito messe in chiaro dai detenuti: se entri con l'accusa di aver approfittato di una bimba non hai scampo, "ti trattano come una larva umana, peggio di un appestato".
Il 2 febbraio è sabato, fa freddo. Enzo riceve una telefonata dalla Questura di Campobasso. Gli agenti gli chiedono di raggiungerli in fretta in via Tiberio e gli consigliano di presentarsi con l'avvocato perché devono notificargli un atto. Lui esegue alla lettera. Trova i poliziotti di Campobasso che conosce ma ci sono anche quelli di Napoli, in particolare ricorda due donne. Quando gli comunicano che stanno per arrestarlo, e le ragioni del mandato, pensa ad uno scherzo. Ma in pochi istanti realizza quanto sta accadendo. Legge in fretta l'ordinanza di custodia cautelare, capisce che probabilmente c'è un errore. Ma non basta. La Polizia di Campobasso lo conforta, gli agenti gli spiegano che avrà modo di chiarire la sua posizione al gip in occasione dell'interrogatorio di garanzia, ma l'arresto va eseguito.

Lo fanno salire in auto e lo trasferiscono a Benevento dove altri poliziotti lo prendono in consegna per portarlo fino alla Questura di Napoli. Qui resta il tempo necessario agli adempimenti e poi agenti in borghese lo accompagnano a Poggioreale. L'accoglienza non è delle migliori, già la Penitenziaria lo tratta in malo modo. Appena varca il portone del carcere arrivano le prime sberle in volto perché "il carcere cammina così".
Il primo impatto con la cella è devastante: 24 metri quadrati (6 metri per 4), 12 letti, 10 sgabelli, tre tavoli e un bagno (si fa per dire), da dividere in nove. Con sé ha un rotolo di carta igienica e una coperta. La temperatura è rigida. "Non conosco parole per descrivere quell'inferno" - ma al solo accenno le lacrime scendono di nuovo. In 139 giorni Enzo riempie 370 pagine di block notes. Scrive. Mette nero su bianco tutto quello che gli passa per la testa. Scrive tutto quello che gli accade. Gli insulti, le botte. "Tra i miei compagni di cella ce n'era uno che pretendeva che mangiassi a terra. Perché per lui ero un lurido che aveva approfittato di una bambina".
A questo punto occorre fare un passo indietro. Enzo Mascia viene arrestato (insieme ad altre persone) perché secondo l'accusa ha avuto rapporti sessuali con una 34enne di Napoli. La donna, pare tossicodipendente, sempre secondo la ricostruzione della procura partenopea, è solita far partecipare la figlia, 7 anni, agli incontri con i suoi clienti. Secondo l'accusa la piccola avrebbe riconosciuto tra i clienti della madre e tra coloro che abusano di lei anche il dipendente della Provincia di Campobasso. Riconoscimento avvenuto attraverso una foto (presente nel fascicolo), ovvero, una vecchia fototessera (probabilmente di una carta d'identità vecchia più di 10 anni) peraltro fotocopiata e poco nitida. "Ad avvalorare la tesi - racconta Enzo - un tabulato dal quale risultano alcune telefonate tra me e la donna. Attenzione - evidenzia - risulta agli atti processuali che dalla sua utenza sono partite telefonate verso il mio cellulare, ma non è mai stato trascritto il contenuto delle conversazioni". Va ulteriormente detto che la 34enne per un lungo periodo ha vissuto insieme alla figlia a Cercepiccola ed è molto conosciuta a Campobasso. Nulla di strano dunque: magari la donna chiama Enzo per un saluto o per bere una birra. O, perché no, per proporgli una serata galante (non è reato). Ma secondo gli inquirenti non è così: Enzo Mascia, 52 anni, ha approfittato della piccola. Lui è certo che qualcuno ha preso un abbaglio. Insieme al suo legale, Domenico De Rosa del foro di Napoli, prepara la strategia difensiva e aspetta l'interrogatorio di garanzia. Arriva il tanto atteso giorno, ma il gip non vuole ascoltare ragioni: "La bambina ti ha riconosciuto", gli dice e lo rispedisce in cella. Il legale di Mascia acquisisce intanto nuovi elementi e propone appello alla decisione, ma la risposta è la medesima.

I giorni passano sempre più lentamente. Tra insulti e botte. "In quattro mesi e mezzo sono uscito dalla cella solo quattro volte e l'ho fatto perché mi hanno costretto. Incontrare altri detenuti equivaleva all'inferno nell'inferno. Tutti avevano qualcosa da rimproverarmi e nessuno sembrava voler comprendere le mie ragioni, ascoltare la verità. La cosa che mi faceva più male di tutte era come giustificare a mia figlia quanto mi era accaduto, avevo paura che potesse non credermi. Un giorno, poi, mi hanno consegnato una sua lettera". La mostra con orgoglio, legge le prime righe e le lacrime scendono di nuovo giù copiose: "Torna presto papà, torna ad abbracciarmi, lo so che sei innocente".
"Quelle parole mi hanno dato fiducia, mi hanno ridato la forza". Adesso le speranze convergono tutte nell'incidente probatorio. La procura lo fissa per i primi giorni di marzo. Si svolge in un ambiente protetto. Ci sono, tra gli altri, l'assistente sociale che si occupa della bimba (la stessa che pare abbia fatto partire le indagini), i consulenti di tutte le parti, i legali. "Eravamo più o meno 35/40. Ognuno di noi aveva in mano un numero. Sfilavamo uno alla volta dietro un vetro".
Su circa 40 persone la bimba riconosce quattro volte l'uomo che abusava di lei: nessuno di quelli che indica, però, è Enzo Mascia. E peraltro riconosce quattro persone molto diverse fisicamente l'una dall'altra. Il quadro accusatorio, dunque, comincia a traballare. Ma non è tutto, poiché alla bimba viene chiesto nella stessa circostanza di fornire una descrizione di Enzo: "È alto (il nostro misura un metro e 67 centimetri), ciccione e pelato (Enzo Mascia è magrissimo e ha i capelli), ha peli e tatuaggi su tutto il corpo (lui non ha tatuaggi, né peli). E - dettaglio non trascurabile - le sue mani sono grandi". Particolare importantissimo perché Enzo, in conseguenza di un incidente avvenuto 30 anni fa, ha una mano menomata, ovvero, gli mancano tre dita. E non è tutto, perché il nostro ha pure una vistosissima cicatrice dallo sterno all'inguine di cui la bimba non fa menzione, nemmeno dietro sollecitazione. L'esito dell'incidente probatorio rincuora Enzo Mascia e il suo legale, che avanza immediatamente un'altra istanza di scarcerazione. Ma niente da fare.
"Ci hanno risposto che le ferite sono successive ai fatti contestati e che se la piccola non ricorda alcuni particolari è perché i bimbi sono portati a rimuovere le cose brutte".
A questo punto non resta che il Tribunale del Riesame, ma anche qui gli esiti non sono positivi per il 52enne di Cercemaggiore. L'avvocato fa appello alla decisione e gli fissano una nuova udienza per il 28 maggio. Enzo chiede tuttavia la cortesia di non essere presente "perché ogni volta che ti cacciano da Poggioreale è uno strazio. Devi essere pronto la mattina alle 6. Vengono a prenderti le guardie e ti portano in una cella dove resti fino alle 9. Mentre sei lì chiunque passa ti insulta. Poi ti ammanettano e ti trasferiscono in una stanzetta di sicurezza del tribunale dove resti fino all'udienza. È anche lì è un inferno. Dopo i 10 minuti di confronto con i giudici ti ritrasferiscono nella celletta del Palazzo di giustizia e ti fanno aspettare fino a sera tardi, fin quando qualcuno viene a riprenderti per riportarti in carcere. Allora il mio avvocato si fece autorizzare, venne a Poggioreale e mi fotografò la mano invalida e la cicatrice sul petto".
E qui pare che la sfortuna si sia davvero accanita con il 52enne. "Il presidente del collegio guardò le foto, ma al legale disse di non fidarsi troppo della tecnologia. Portatemelo qui, disse a De Rosa, voglio vedere da vicino. Tuttavia acquisì agli atti processuali le cartelle cliniche ritrovate a Campobasso dopo una lunga e complicata ricerca che certificavano sia l'incidente alla mano e sia l'operazione subita allo stomaco, entrambi risalenti a circa 30 anni fa".
Nuova udienza il 13 giugno (giovedì). Altri 17 giorni d'inferno e angoscia. "Pensavo che se mi fossi presentato il 28 maggio davanti ai giudici del Riesame probabilmente mi avrebbero rimesso in libertà. Non riuscivo a perdonarmi l'imprudenza commessa".
Intanto, dopo ulteriori e dolorosi giorni trascorsi in cella, arriva pure il giorno della seconda udienza. Fatta tutta la trafila, Enzo arriva davanti ai giudici. Nota subito che l'avvocato è avvilito, è scuro in volto: hanno cambiato il collegio. I magistrati - il nostro ne conta sette - sono donne, tutte.
"In quel momento ho capito che ormai l'unica via di salvezza era il processo. Pure il legale al termine dell'udienza mi chiede di avere pazienza, coraggio e di attendere con fiducia il rinvio a giudizio e la data dell'udienza".
Enzo rientra in cella e si capacita che ha il destino segnato. Il mercoledì successivo, è il 19 giugno, vanno a trovarlo i suoi familiari che nel frattempo hanno incontrato l'avvocato Domenico De Rosa. Pure loro lo invitano ad avere pazienza ed aspettare il processo.
Sono istanti interminabili in cui l'uomo cerca di farsene una ragione, ma è complicato. "Mi sentivo impotente, è come se il mondo fosse finito. Pensavo ad un brutto incubo, ma era tutto vero".
È ancora il 19 giugno, sono le 20.30 circa. Un agente del carcere lo chiama. Lo fa uscire dalla cella e lo porta al posto di guardia. Gli chiede le generalità, si accerta della sua identità. Lui pensa a nuovi guai, pensa che lo hanno fatto uscire per l'ennesimo pestaggio. Sta per chiedere pietà quando l'agente gli comunica che il Riesame ha deciso che può lasciare Poggioreale. "Vai a prendere la roba che torni a casa", gli dice. "Ho pianto come un bambino. Sentivo brividi di freddo nell'anima ma sudavo come fosse il mese di agosto. Sono scappato verso la cella, ho salutato i compagni e sono fuggito via da qual postaccio". Particolare di non poco conto: il Riesame non stabilisce alcuna misura restrittiva (alternativa al carcere) per Mascia. In buona sostanza, nonostante le gravi accuse mosse dal pm, l'uomo viene rimesso in completa libertà. Per intenderci, fino alla data del processo non ha alcun obbligo, nemmeno quello di non allontanarsi dal paese di residenza. Dopo un paio di rinvii, il 20 novembre si presenta davanti al gup del tribunale di Napoli avendo scelto il rito abbreviato (confortato anche dalla decisione del Riesame), che lo ha assolto per non aver commesso il fatto. La sentenza arriva il 16 dicembre scorso e porta la firma della dottoressa Cimma.
Adesso Enzo e il suo legale sono in attesa di leggere le motivazioni, ma è intuibile che qualcuno dovrà pagare per il torto subito e per il danno arrecato. Un torto terribile e molto difficile da giustificare. Lui non si capacita. Non si è trattato di uno scambio di persona e la pratica nemmeno può essere liquidata facendo ricorso all'errore giudiziario. E poi è lecito chiedersi: perché tanto accanimento? Perché dopo l'esito dell'incidente probatorio non è stato rimesso in libertà nonostante era evidente che mancavano gli indizi di colpevolezza?
Tutte domande per le quali la vittima di questo assurdo caso aspetta una risposta. "La devono a me, la devono a mia figlia, ai miei fratelli e alle mie sorelle. La devono a mio padre che è morto mentre ero in carcere e non mi hanno consentito nemmeno di partecipare ai suoi funerali".
Enzo un'idea di massima se l'è fatta, ma preferisce tenerla per sé. "Avremo modo di riparlarne" - dice prima di lasciare la redazione.
Il suo è un urlo di dolore a cui è giusto dare voce. Allo Stato l'onere di capire perché ciò è accaduto e di restituire dignità a un uomo che non ha nemmeno la colpa di essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ha solo subito un'accusa di quelle che lasciano il segno. Sul corpo e nell'anima.




Nessun commento:

Posta un commento