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domenica 23 febbraio 2014


Giustizia. Professioni, condanna da valutare. Secondo la Cassazione anche un reato grave non porta necessariamente all'esclusione dall'Ordine. Per la cancellazione dall'Albo non basta l'esito negativo in giudizio.

di Giovanni Negri
Il Sole 24 Ore-14.2.2014







MILANO. Non basta una condanna penale, anche per un reato assai grave, per giustificare da sola la cancellazione del professionista dall'Albo. Al punto che il medico, al quale è stata inflitta una condanna per violenza sessuale, non può essere escluso dall'Albo, in assenza di una puntuale e dettagliata verifica funzionale sulla portata interdittiva della misura per lo svolgimento della professione. Lo afferma la Cassazione con la sentenza n. 1171 della Seconda sezione civile depositata lo scorso 21 gennaio. La pronuncia ha accolto così il ricorso presentato da un medico (assistito dall'avvocato Roberto Marinoni del Foro di Milano) contro la decisione della Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie che, confermando le delibere dell'Ordine locale, lo avevano escluso dall'Albo a causa della condanna riportata, tra l'altro, per il reato di violenza sessuale.

La Cassazione ha però accolto l'impugnazione, sottolineando innanzitutto come la motivazione della Commissione centrale non è convincente perché si fonda sul semplice richiamo dei requisiti della «specchiata condotta morale e politica» o della «buona condotta» senza svolgere alcuna indagine ulteriore sul rapporto tra i medesimi requisiti e i relativi principi costituzionali.

Un richiamo quest'ultimo che va letto alla luce della sentenza della Consulta n. 311 del 1996, la quale ha precisato, tra l'altro, che per quanto riguarda condotte rilevanti sul piano morale va effettuata una distinzione fra quelle che incidono sull'affidabilità del soggetto per il corretto svolgimento delle funzioni o delle attività svolte e quelle che vanno invece ricondotte esclusivamente alla dimensione privata o alla sfera della vita e della libertà individuale «in quanto tali non suscettibili di essere valutate ai fini di un requisito di accesso a funzioni o ad attività pubbliche o comunque soggette a controllo pubblico». In questa direzione, poi, la Corte costituzionale ha proseguito con la sentenza n. 329 del 2007 in materia di decadenza da pubblico impiego.

Alla luce di questi precedenti, la Cassazione osserva allora che non è sufficiente che si constati l'esistenza di un fatto significativo in astratto, ma è necessario verificare se quel fatto è in concreto tanto significativo da precludere lo svolgimento dell'attività cui la valutazione di ammissibilità fa da preliminare. «In altri termini – ricorda la Cassazione – ciò che si intende evitare è qualsiasi effetto di automatismo tra l'esistenza di una circostanza in ipotesi rilevante e l'esclusione dell'interessato dallo svolgimento di un'attività».

Nel caso esaminato, conclude la Corte, è stata sì inflitta anche la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, ma questa non impedisce lo svolgimento di una professione; inoltre, la Commissione centrale nel confermare il provvedimento di cancellazione ha fatto riferimento all'inesistenza del requisito della «buona condotta» per la sola esistenza della condanna su fatti che non riguardano direttamente la professione. Nessuna valutazione è stata fatta sull'affidabilità del medico e tanto basta alla Cassazione per annullare la decisione e rinviare per altro esame alla Commissione centrale in altra composizione.



LA SENTENZA



(...) posto che il provvedimento di cancellazione oggetto di ricorso dinnanzi alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie è stato da tale organo giustificato con il riferimento alla insussistenza del requisito della «specchiata condotta morale e politica» o della «buona condotta», per effetto della condanna riportata in sede penale, risulta evidente il deficit motivazionale concernente la valutazione della incidenza della condanna penale per fatti non inerenti la professione sulla affidabilità del soggetto in ordine al corretto svolgimento da parte sua della professione.



Cassazione, Seconda sezione civile, sentenza n. 1171 del 21 gennaio 2014

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