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venerdì 18 luglio 2014




Giustizia: Valerio Spigarelli (Ucpi); su amnistia e indulto manca il coraggio politico

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intervista a cura di Nello Scavo

Avvenire, 18 luglio 2014


Si fa presto a parlare di riforma della giustizia, e della necessità di velocizzare i procedimenti, se poi a Roma i cinquanta metri che separano il tribunale di primo grado dalla corte d'appello vengono percorsi alla bruciante velocità di venti centimetri al giorno. "Ci vogliono otto mesi perché un fascicolo dalla corte d'assise raggiunga la corte di secondo grado", dice Valerio Spigarelli, l'avvocato che presiede l'Unione delle camere penali.
Un modo come un altro per sostenere che il progetto di riforma della Giustizia non vi piace?
Quella proposta non ci sembra una riforma. Nel senso che alcuni dei nodi di struttura della giustizia penale non vengono affrontati: riforma del Csm, terzietà del giudice, rivisitazione dell'obbligatorietà dell'azione penale. Però l'obbligo di indagare davanti alle notizie di reato è una garanzia di equità.
Lasciare alla discrezionalità degli inquirenti non sarebbe molto più rischioso?
In realtà non è più così. Negli ultimi tempi si sono succedute direttive dei capi degli uffici inquirenti i quali stabiliscono quali reati devono avere priorità, perché evidentemente il sistema non sopporta il carico di lavoro e dunque le procure privilegiano alcuni reati rispetto ad altri, sulla base di scelte autonome.
Con quali conseguenze?
Che la prescrizione, ad esempio, non si matura nella maggioranza dei casi durante il dibattimento, ma negli armadi delle procure, perché lì i fascicoli rimangono bloccati. Credo perciò che dovremmo fare in modo che i criteri di priorità non siano stabiliti "motu proprio" dai singoli uffici. Però nel progetto di riforma questo tema non viene affrontato.
Intanto che si discute e si polemizza, le carceri continuano a sovrabbondare di detenuti e non si vede nell'immediato una soluzione definitiva al sovraffollamento...
In un paese che viene condannato perché riserviamo trattamenti disumani ai detenuti bisognerebbe trovare il coraggio di parlare prima di tutto di amnistia e indulto. Ma alla politica questo coraggio manca.
Qual è l'anello debole del dibattito?
La politica deve tornare ad assumere il suo primato, finché contratta le norme con i magistrati e ne subisce i diktat non andremo da nessuna parte. Ricordo che all'epoca della Commissione D'Alema arrivò un fax da settanta procuratori che intimava di fermare la riforma. E così avvenne. Tornare su questa strada non si può e non si deve. Le leggi in nome del popolo italiano non vanno contrattate.
Anche gli avvocati hanno i loro interessi. E tutto sommato neanche voi siete esenti da colpe. Lo dimostra il moltiplicarsi di casi giudiziari nei quali alcuni suoi colleghi sono coinvolti. Non dovrebbe essere riformata anche la vostra categoria?
Non ho preclusioni a discuterne. Capisco che 250mila avvocati sono troppi. E per far calare questo numero aumentando la qualità occorre una seria riforma dell'Università, istituendo una scuola unitaria delle professioni forensi post laurea per magistrato e avvocato, raggiungendo l'obiettivo di vere specializzazioni.

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