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ASTOLFO
DI AMATO, PROFESSORE DI DIRITTO PENALE E AVVOCATO
Il 50 PER CENTO DEI PROCESSI E’ INUTILE
E PATOLOGICO
Quello
che avrebbe dovuto essere uno degli snodi più delicati e significativi del
processo penale, (GIP) caratterizzato dall'ingresso in campo di un soggetto
terzo, con il potere addirittura di fermare l'accusa, si è risolto nella prassi
in uno snodo meramente burocratico. Ne abbiamo la conferma ogni giorno in
udienza. Il mio caso personale che aderisce alla tesi del Prof. Di Amato
di Ferdinando Terlizzi
Le statistiche giudiziarie parlano di una percentuale di
assoluzioni che sfiora il 50%. Molti di
coloro che sono assolti provano anche l’esperienza del carcere. La macchina giudiziaria perciò, almeno per
quello che riguarda il settore penale è intasata di processi inutili: da
processi cioè contro innocenti.
Che una parte dell'attività giudiziaria finisca con una
assoluzione è fisiologico, ma che addirittura il 50% dei casi si concluda con
la constatazione che si è trattato di un processo inutile è patologico. Ed è
una patologia che mina fortemente la stessa efficienza della macchina
giudiziaria, oltre a determinare un numero elevato di ingiustificate sofferenze
individuali e familiari.
Di chi la responsabilità? Innanzi tutto di chi imbastisce processi
inutili. Ed è difficile dire se è più grave quando la causa sia da ricercare nell'ignoranza o nel protagonismo.
Vi è, però, nel processo penale italiano una figura a cui
sarebbe affidato il compito di impedire che si svolgano processi inutili; di impedire,
cioè, che si svolgano processi destinati alla assoluzione dell'imputato.
Si tratta del giudice per l'udienza preliminare. Il quale è
chiamato a valutare se gli elementi portati dall'accusa siano idonei a
sostenerla sino ad ottenere la condanna. La funzione dovrebbe essere proprio
quella di costituire un filtro, volto a
selezionare i procedimenti meritevoli di essere portati all'attenzione del Tribunale.
Questa funzione, salvo rare ed ammirevoli eccezioni, è stata
tradita. Il giudice dell'udienza preliminare spesso, anzi purtroppo, molto
spesso, assolve ad una funzione meramente ancillare rispetto a quella del
pubblico ministero.
Privo di un'autentica autonomia di giudizio, si appiattisce
sulle valutazioni dell'accusa, facendole proprie senza alcuna valutazione critica.
Vi è, del resto, un dato formale, presente in molti tribunali, che costituisce
una oggettiva conferma di tale situazione.
Il pubblico ministero che ha istruito il fascicolo e che dovrebbe,
quindi, essere il soggetto in grado di sostenere l'accusa non è neppure
presente all'udienza.
Ad essa partecipa un altro pubblico ministero che non sa di
cosa si tratti e che si limita a confermare la richiesta di rinvio a giudizio. Perché questo può accadere? Perché l'accusa si
disinteressa dei processi istruiti? No: semplicemente
perché sa di poter fare affidamento, di regola, su di un giudice dell'udienza preliminare
compiacente.
Il quale, invece che essere il "selettore" dei processi
meritevoli di essere celebrati, è colui che nella staffetta raccoglie il
testimone dell'accusa e vigila affinché non vi siano deviazioni dal percorso
previsto.
Quello che avrebbe dovuto essere uno degli snodi più delicati
e significativi del processo penale, caratterizzato dall'ingresso in campo di
un soggetto terzo, con il potere addirittura di fermare l'accusa, si è risolto
nella prassi in uno snodo meramente burocratico.
Ed il Giudice è degradato a mero passacarte, utile solo per
verificare se le notifiche sono state fatte correttamente.
Si tratta di un ruolo ormai dato per scontato nella prassi
giudiziaria. Resta la constatazione amara che le regole non sono rispettate. E
proprio da chi, il giudice, avrebbe il compito di farle rispettare.
l danni sono immensi su diversi piani, compreso quello della
credibilità della istituzione giudiziaria.
Quanto ha affermato il prof. Di Amato è la sacrosanta verità.
Ne abbiamo conferma ogni giorno –
specie per me che sono cronista giudiziario – il Giudice per le indagini
preliminari è ridotto al ruolo di passacarte. Spesso lo fanno perché sono
intasati di lavoro e nel caso dovessero assolvere l’imputato sarebbero
costretti a motivare la sentenza. Quindi è più agevole rinviare a giudizio.
Accenno al mio caso per una “querelle” (anzi due ) con il collega Roberto Saviano.
In uno dei miei resoconti giornalistici recensii il libro di Gigi Di Fiore (
inviato de “Il Mattino”, scrittore, storico ) e affermai testualmente:”Di Fiore
nel suo “L’Impero dei Casalesi” è stato preciso e non ha raccontato “stronzate”
come ha fatto Roberto Saviano in Gomorra. Il “guru” mi ha querelato. Compaio
innanzi al Gip. Mi difendo. Sono accusato, tra l’altro, anche di aver
pubblicato articoli che non ho mai scritto né firmati ( il collega Biagio
Salvati li ha copiati da “Dagospia” e li ha messi sul blog).
Inutile – sia la mia difesa – che quella dei miei difensori:
avv.ti: Nicola Garofalo, Dario Pepe e Genny Iannotti, considerati, questi
ultimi, come un “fastidio” nel processo come giustamente è scritto nel
“Gattopardo”.
Il pubblico ministero d’udienza ( una donna con un pancione
indecente stava quasi per partorirsi in aula) senza conoscere gli atti – come un
pappagallo a comandi - chiede il mio rinvio a giudizio per tutti gli articoli (
anche quelli non firmati e non scritti da me ).
Il “Pilato” ( Sic!
Leggi GIP) di turno mi rinvia a giudizio: Il processo è a ruolo per il prossino
24 settembre innanzi al Giudice Attena. Il Prof: Astolfo Di Amato ha pianamente
ragione ma nessuno se ne fotte.
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