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venerdì 8 agosto 2014


    


Giustizia: non vi piace la prescrizione? basta evitare gli abusi dei Pm

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di Vincenzo Vitale

Il Garantista, 8 agosto 2014

Il governo mette mano alla prescrizione, questo istituto tanto misconosciuto ed oggi bistrattato, anche perché pochi mostrano di comprenderne le ragioni profonde e giuridicamente inoppugnabili.
Il governo pensa che la prescrizione si possa allungare, accorciare, perfino congelare o sospendere come nulla fosse, trattandosi soltanto di mettersi d'accordo, a seconda di come spiri il vento del giustizialismo. Nel frattempo i diritti naturali di ogni essere umano sono dimenticati, giacciono, come una volta ebbe a notare Leonardo Sciascia, "nella valle del sonno".
E così il governo mette mano alla prescrizione, questo istituto tanto misconosciuto ed oggi bistrattato, anche perché pochi mostrano di comprenderne le ragioni profonde e giuridicamente inoppugnabili.
Si propone ora di allungarne la durata o addirittura di congelarla per uno o due anni dopo la sentenza di primo o di secondo grado. È appena il caso di notare come questa disinvoltura che il legislatore usa nel trattare un tema delicato - sia dal punto di vista giuridico che strettamente umano - come la prescrizione, sia il segno più chiaro di una grave sindrome che sembra averlo colpito in modo evidente: la sindrome dell'onnipotenza.
Una volta si diceva che il Parlamento inglese, depositario della democrazia rappresentativa per antonomasia, poteva fare di tutto, tranne che cambiare un uomo in donna: oggi invece sembrano non esserci più limiti. Per questo la prescrizione si può allungare, accorciare, perfino congelare o sospendere come nulla fosse, trattandosi soltanto di mettersi d'accordo, ma ben sapendo che tale accordo nascerà già morto, pronto cioè ad essere sostituito da un altro e poi da un altro ancora, a seconda di come spiri il vento del giustizialismo (più o meno intenso, e da quale parte).
Nel frattempo i diritti naturali di ogni essere umano sono dimenticati, giacciono, come una volta ebbe a notare Leonardo Sciascia, "nella valle del sonno". Ecco la cornice di fondo dentro la quale bisogna almeno comprendere un elemento che sfugge ai più e che invece è determinante per intendere davvero quale sia una delle cause - certo la più sconosciuta - della caduta in prescrizione di molti presunti reati: il comportamento di alcuni (non so esattamente quanti siano, ma non pochissimi) pubblici ministeri.
Infatti, come è noto, il nuovo codice di procedura penale - ispirato al modello accusatorio - ha stabilito giustamente che il pubblico ministero possa fare indagini per non più di sei mesi, prorogabili per non più di due volte, dal giudice, e solo per ragioni particolari: si giunge così ad un termine massimo di un anno e mezzo. Inoltre la legge stabilisce che le indagini svolte dopo la scadenza di tale termine sono inutilizzabili, altrimenti quel termine resterebbe soltanto uno scherzo.
Ma da quando il termine comincia a decorrere? Da quando il pubblico ministero viene a conoscenza del nome della persona alla quale è attribuibile il reato: infatti, da tale momento egli ha l'obbligo - l'obbligo, non la facoltà - di iscrivere il nome dell'indagato sull'apposito registro: da questo preciso momento comincia a decorrere il termine.
Ma che c'entra questo bel discorso con la prescrizione? Più di quanto possa sembrare. Infatti si dà il caso che alcuni pubblici ministeri abbiano il vezzo di non iscrivere il nome della persona indagata nel registro, al preciso scopo di non far decorrere quel termine, per loro tanto fastidioso e di cui vorrebbero liberarsi. Sicché, aspetta oggi, aspetta pure domani, il tempo passa inesorabile (almeno sul tempo naturale il legislatore non può aver potere) e quando si decidono ad effettuare quella benedetta iscrizione a volte son trascorsi pure tre o quattro anni. Ciò vuol dire che ne restano due o tre per celebrare l'intero processo fino in Cassazione: la prescrizione così incombe ed ha la strada spianata.
L'effetto che ne deriva è duplice ed in entrambi i casi deteriore. O non si fa in tempo ed allora il reato addebitato va prescritto. Oppure, per evitare appunto la prescrizione, si corre da forsennati al punto da conculcare i diritti della difesa (e ti pareva).
In entrambi i casi, la responsabilità è dei pubblici ministeri, ai quali sembra importare più delle proprie indagini (cioè del segmento processuale sul quale esercitano la propria signoria) che dell'esito conclusivo del processo (in un senso o nell'altro).
E il bello è che, omettendo consapevolmente l'iscrizione del nome dell'indagato nel registro - pur conoscendolo benissimo - questi pubblici ministeri commettono non solo un illecito disciplinare (per aver trascurato l'osservanza di una precisa norma processuale), ma anche un reato: omissione di atti d'ufficio.
Ma non importa. La Cassazione, investita della questione che mi pare di puro spessore teatrale - un teatro tratto da una pagina di Hugo o di Balzac (il pubblico ministero che, per far osservare la legge, la trasgredisce lui per primo) - ha affermato più volte che va bene così: le indagini svolte in tal modo, cioè commettendo due illeciti, sono perfettamente utilizzabili, perché il pubblico ministero è "sovrano" circa gli atti da lui compiuti, circa cioè quella iscrizione. Ma allora perché meravigliarsi se poi i reati si prescrivono?

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