ASSASSINATO
IL DR. ENRICO GALLOZZI, SAMMARITANO, (NIPOTE DEL SEN. CARLO GALLOZZI ) E IL SUO
FATTORE VINCENZO MONTESANO DA GRAZZANISE
PER MOTIVI DI GELOSIA
L’OMICIDA, PASQUALE
RAIMONDO, FU RITENUTO TOTALMENTE INFERMO
DI MENTE E CONDANNATO A 10 ANNI DI
MANICOMIO CRIMINALE – FU DIFESO DALL’AVV. CIRO MAFFUCCINI
LA PARTE CIVILE ERA RAPPRESENTATA DAGLI AVVOCATI VITTORIO E MICHELE
VERZILLO, PER LA VEDOVA MONTESANO E DA
ENRICO ALTAVILLA PER FLAVIA BOZZA MOGLIE DEL DR. GALLOZZI. IN APPELLO SUBENTRÒ
ANCHE GIOVANNI LEONE.
Il risvolto piccante
ANGELINA FUSARO DA GRAZZANISE, ACCUSATA DI ISTIGAZIONE A DUPLICE OMICIDIO,
DI ESSERE UNA LESBICA E AUTRICE DELLE
LETTERE ANONIME… FU ASSOLTA. UN STORIA
DI CORNA, DI LETTERE ANONIME, DI AMORI SAFFICI, DI SUORE IN CONVENTO E DI
FOLLIA OMICIDA. FU DIFESA DALL’AVV.
GIUSEPPE GAROFALO.
UNA SERIE DI COLPI DI SCENA CARATTERIZZARONO TUTTA
L’ISTRUTTORIA DEL PROCESSO
Vitulazio - Spesso la realtà
supera la fantasia. E questa storia lo conferma. Un aggrovigliarsi di eventi
satanici e diabolici che sembrano usciti
dalla mente di Satana… ma che invece,
sono purtroppo, cruda realtà. Correva il mese di agosto del 1952, da dietro un cespuglio della tenuta “Piglialarmi” in tenimento di
Vitulazio, esce un individuo che con un
fucile da caccia, caricato a pallettoni, uccide il Dr. Enrico Gallozzi, chirurgo,
61 anni, latifondista, nipote del Sen. Carlo Gallozzi (deputato
del Regno d’Italia, insigne professore universitario, che succedette al
chirurgo Ferdinando Palasciano; a
lui sono intitolati una strada e una
scuola nella sua città natale) da S. Maria C.V., giunto sul posto a bordo della sua auto
condotta dall’autista Vito Di Lillo, anche lui sammaritano e il suo fattore Vincenzo Montesano, di anni 52 da Grazzanise.
A scoprire i cadaveri fu il
contadino Antonio Mercone, da
Pastorano, il quale avvisò i carabinieri e sul posto convennero il mar. Giovanni Pautasso e il Brig. Raffaele D’Alessadro, con il medico di
turno Dr. Raffaele Cuccari. Il
primo ad essere sospettato è il guardiano dell’azienda agricola Pasquale Raimondo, 49 anni da Grazzanise. Perché?
Le prime indagini sulla
perizia medico-legale eseguite dai
periti dottori Michele Sanvitale, Pasquale Tagliacozzi e Mario Pugliese, retrodatarono la morte alle 24 ore precedenti,
ed accertarono che il Gallozzi era stato
attinto ai polmoni, il Montesano agli organi interni, ma era stato finito con
un colpo alla testa. Per prima cosa
destò sospetto il fatto che il guardiano
si diede alla macchia, poi, in
seguito ad una perquisizione effettuata
dopo il delitto, dal maresciallo Luigi Bruno, comandante la Stazione dei Carabinieri di
Vitulazio, fu rinvenuto l’arma del
delitto e si consolidò il sospetto che lui fosse l’assassino anche perché vi erano stati numerosi episodi venuti
alla luce nel corso delle indagini.
Costituitosi al direttore
delle carceri Enrico Matano confessò: “Ho ucciso Gallozzi perché aveva sedotto mia figlia ed era l’amante di
mia moglie e Montesano perché, pur sapendo la cosa, ed essendo mio
compaesano, non mi aveva riferito della
tresca”.
Non mi sembra un ragionamento
da pazzo… Infatti ciò non era vero. Ossia,
era la sua versione dei fatti,
instillatasi nella sua mente malata e perversa. Ma facciamo un passo indietro
per meglio capire l’intrigata vicenda. I carabinieri accertarono, anche in base a serrati interrogatori di Maria Petrella, moglie del fattore ucciso Montesano, che a Pasquale Raimondo, guardiano delle
terre del Dr. Gallozzi, da un poco di
tempo arrivavano lettere anonime dalle quali
si evinceva che sua figlia Maria Raimondo ( all’epoca dei fatti 16enne )
era stata deflorata dal Dr. Gallozzi, e
che la madre Giovannina Tessitore, 46 anni, moglie del Raimondo era l’amante del
Gallozzi.
La teste precisava, inoltre,
che in paese correva voce che la figlia del Raimondo Maria era stata “deflorata” e “riparata”
nella sua verginità dal Dr. Gallozzi ( egli infatti era un ottimo chirurgo ) ma
la madre della ragazza sosteneva che era una calunnia.
Inoltre, un tale Enrico Parente da Grazzanise, andava da tempo sparlando e sostenendo che
Giovannina Tessitore, moglie di Pasquale
Raimondo, faceva la “puttana”, ed era amante del Dr. Gallozzi. Ciò precisava di
aver appreso da Vincenzo Montesano
fattore dei beni Gallozzi.
Intanto continuavano ad
arrivare lettere anonime ed una giunse addirittura alla moglie del Montesano
con la quale si annunciava l’assassinio del marito per mano di Pasquale
Raimondo da lui più volte calunniato. La
moglie del Raimondo, informata dell’arrivo della lettera anonima che parlava
del suo marito come probabile assassino dedusse che a Grazzanise vi erano molte persone che erano invidiose delle
famiglie “Raimondo-Montesano” perché
alcuni membri delle stesse lavoravano
presso il latifondo del Dr. Gallozzi.
Allora si faceva veramente la
fame poiché era da pochi anni terminata la guerra. Ecco il primo atto di
pazzia. Venuto a conoscenza di questa circostanza, Pasquale Raimondo prese un pugnale e lo
consegnò alla moglie e le ordinò di uccidere Enrico Parente e chiunque avesse
parlato male della figlia e della moglie.
Il Raimondo riteneva il
Montesano un “traditore“ ed un “fetente”
perché essendo paesano e
conoscendo dei fatti scabrosi non glieli aveva riferito. Dal canto suo il
Dr. Gallozzi, che riteneva tutte le
accuse infondate, essendo egli innocente degli addebiti, si adoperò per una riconciliazione, ma il Raimondo restò fermo sulla convinzione
che a inviare le lettere anonime fosse stato il fattore Vincenzo
Montesano. I carabinieri appurarono che
il Raimondo, da circa tre anni aveva scacciato di casa la moglie e
la figlia Maria perché alcune lettere anonime gli avevano comunicato che la
figlia era stata sedotta e la moglie era l’amante di Gallozzi.
A
questo punto della vicenda il primo colpo di scena. Maria Raimondo, scacciata da
casa, con un’accusa assurda e calunniosa, ( la madre addirittura l’aveva fatta
controllare ad un professore di Napoli che la dichiarò “illibata”), e presa dallo sconforto, anche per sottrarsi ai
continui maltrattamenti del padre ( pare che avesse tentato anche di violentarla
) si andò a fare suore presso il
Convento di “Calvi dell’Umilia” in Terni.
Tra gli episodi “singolari”
per non dire “strani” di questa vicenda è da inquadrare il rapporto di coppia
tra la moglie e l’assassino. Lei, pur essendo divisa da oltre tre anni, il
sabato sera andava a coricarsi con il marito, nella masseria “Piglialarmi” a
Pastorano, venendo apposta da
Grazzanise. Perché lo faceva? Per
dimostrare che non aveva rapporti con altri uomini?
Lei stessa raccontò agli
inquirenti i risvolti dei bruschi colloqui amorosi. Pasquale Raimondo, infatti,
mentre sfogava i suoi istinti sessuali
l’apostrofava con epiteti ( puttana, troia,
) ed a fine rapporto la picchiava
selvaggiamente con una frusta e poi le
sputava in faccia. In una circostanza cercò addirittura di strangolarla. Ma
subito dopo averle contestato che era l’amante del Gallozzi e che non aveva
avuto cura della figlia, scoppiava in
dirotto pianto.
Le ecchimosi, le ferite ai glutei e alle
braccia della donna furono riscontrate
dal dr. Giovanni Izzo, da Grazzanise,
che confermarono l’assunto della donna. Insomma Pasquale Raimondo era un pazzo,
un feticista, un voyer o un sadico
sessuale? Ma chi continuava a far
arrivare al Raimondo le missive anonime? Nell’ultima ( le lettere sono tutte allegate
al processo, che io ho consultato, che
trovasi presso l’Archivio Storico di
Caserta ) veniva descritta tutta una circostanza precisa. La ragazza è stata
deflorata. La mamma l’ha portata dal Dr. Gallozzi e questi l’ha “riparata”
facendola ritornare vergine e lei… per ricompensarlo si era concessa. Non
era affatto vero, ma nella mente del Raimondo si instillò il
“tarlo del dubbio” e della veridicità dei fatti. E lui diventava sempre più
violento e sadico contro le sue donne. Tanto è vero che la figlia Teresa di 21
anni, fece la “fuitina” dopo essere
stata sedotta, e si sposò con Giuseppe Fusaro, lontano da
Grazzanise.
Ed inoltre si appurava che il Raimondo nutriva dissapori contro il Vincenzo
Montesano, una delle sue vittime ( nonostante che fosse stato il fratello di
quest’ultimo, il sacerdote Francesco Montesano, a farlo assumere nell’azienda Gallozzi )
perché questi era riuscito ad emergere nel suo lavoro ed era nelle grazie del
padrone.
Ed
eccoci al secondo colpo di scena. Angelo
Parente, ricevitore postale di
Grazzanise, rivelò che autrice delle
lettere anonime che giungevano al Raimondo
era tale Angelina Fusaro, 32 anni, da Grazzanise, una sarta “lesbica”, presso la quale in passato aveva lavorato la
figlia del Raimondo, che poi si era fatta suora. Il perito calligrafico di
ufficio, Prof. Attilio D’Angelo, da
Caserta, dopo la comparazione con altri scritti, attribuì le
lettere anonime alla sarta Angelina
Fusaro.
Intanto Pasquale Raimondo, detenuto nel
carcere di S. Maria C.V., con la
pesante accusa di duplice omicidio aggravato,
appariva depresso e malinconico ( un reo folle o un perfetto
simulatore?) e per questo fu sottoposto,
su ordine degli inquirenti, a perizia
psichiatrica dai Prof. Pasquale Coppola,
Primario del Manicomio di Aversa e dal Prof. Filippo Saporito ( il più noto psichiatra dell’epoca).
Subito si scoprirono antenati
pazzi ( è un classico nei processi penali ). Maria Raimondo, sua zia paterna,
era una psicopatica; altri antenati erano morti per lue e per mente
debole. In 117 pagine, i due periti di ufficio ( ai quali venne
liquidata una parcella di lire 43 mila quasi 600 euro di oggi ) conclusero che
Pasquale Raimondo risultava già “costituzionalmente predisposto alle malattie
mentali, per eredità psicopatica, e per precoce involuzione senile”.
“Che, le lettere anonime a
lui e ad altri pervenute intorno alla sua onorabilità di marito e di padre, con
i relativi commenti corsi nel suo ambiante, nei rapporti, soprattutto coi suoi datori di lavoro, agirono su di lui come
altrettanti “traumi psichici” in tutto il loro valore clinico-psichiatrico. Che,
sotto l’azione di tali traumi sommantisi, man
mano, nei loro effetti patogeni il Raimondo contrasse una vera e propria
psicosi, in forma delirante paranoidea, a contenuto geloso, ammantate da
taciturnità, ma a decorso continuo e progressivo, con rare episodiche
manifestazioni esteriori espressive della loro morbosità”.
“Che, nella notte precedente al delitto, la
psicosi ebbe una esplosione acuta, a forma di confabulazione rappresentativa
della sua vicenda familiare quale gli era stata configurata dalla psicosi, e dalla quale trasse il motivo morboso a
delinquere. Che la sindrome psicopatica svelatasi nel corso della istruttoria,
e tuttora in atto, a carattere confusionale, non è che una fase di collasso
strettamente connessa con le sindromi precedenti e costituisce, insieme con
esse, tutto un unico processo psicosico, ancora capace di non prevedibili
sviluppi. Che, nell’atto dei commessi reati, il Raimondo trovavasi in tale
stato di infermità di mente da escludere la capacità di intendere e volere e
che l’imputato è persona socialmente pericolosa”.
Anche in questo
processo, come del resto nel processo ad Aurelio
Tafuri, ho riscontrato una grande
battaglia tra i periti. Una guerra fredda, calcolata, che spesso approda a
risultati di ”parte”. Raimondo per i periti di ufficio è pazzo e non è
punibile. Per quelli di parte ( Prof. Annibale
Puca e Prof. Giacomo Cascella, per conto della vedova Montesano ) è sano di
mente ed è un simulatore.
Alla fine chi ha vinto? Non
certo la giustizia! Infatti i giudici, due anni dopo il delitto, furono costretti a rivedere le cose ed
ordinarono una perizia “suppletiva” che fu estesa al Prof. Vincenzo Barbuto, e al Prof. Filippo
Saporito. Ai quali fu chiesto espressamente: “Dite se le lettere anonime ricevute dall’imputato abbiano avuto
efficienza causale scatenante il delirio di gelosia ovvero furono solo un
fattore condizionante dello stesso, se il delitto si sarebbe verificato senza
l’arrivo della lettere anonime”.
Il loro responso fu che “le
lettere anonime pervenute all’imputato non hanno avuto efficienza causale
scatenante il delirio di gelosia del Raimondo accertato con la precedente perizia giudiziale e che esse furono soltanto un
fattore accessorio concomitante di un processo
psicopatologico a lungo decorso, dovuto a cause precedentemente
intrinseche alla sua personalità e che avrebbe potuto insorgere anche senza di
esse”.
Di parere diverso, il prof.
Puca e il prof. Cascella, Direttore e Assistente dell’Ospedale S. Maria
Maddalena di Aversa ( così si chiamava prima il manicomio ) per la parte civile. “E’ spiegabile, è
possibile, che un uomo, fino a poche ore prima, si era dimostrato lucido,
logico, coerente, consequenziale, senza deficienze psichiche e senza disturbi
psico-sensoriali improvvisamente – con un trasformismo da palcoscenico –
diventi dissociato e confuso al punto da non riuscire neppure a pronunciare una frase sensata?
Vi è un capitolo in
Psichiatria che contempla tale evenienza al di fuori della simulazione? “Noi
non lo crediamo – continuarono i consulenti di parte – ed abbiamo dati a iosa, per
sostenere, senza ricorrere alle fantasie ed al possibilismo, la tesi della
volontarietà del Raimondo di recitare la parte dell’ammalato di mente. La
goffaggine con cui recita la sua parte, la nessuna attendibilità di essa, il
modo con cui è stato preordinato e portato a termine il delitto, la linea
difensiva impostasi, la monotonia delle sue frasi, e dei suoi atteggiamenti e
soprattutto un dato importante che è stato messo in risalto dagli stessi periti
di ufficio, e che è comune a tutti i simulatori o pseudo dementi, e come tale
facile a riscontrarsi, Raimondo si rifiuta di sottoporsi a visite e colloqui e
bisogna portarcelo con la forza, tipico
dei criminali. Sottoposto a perizia, si rifiuta ed ha paura del confronto”.
I due insigni psichiatri così
conclusero – confutando le tesi dell’accusa – “Pasquale Raimondo attualmente presenta una sindrome reattiva
facilmente inquadrabile in quella descritta da Ganser e che si riscontra in
alcuni detenuti al carcere preventivo”.
( La
sindrome di Ganser, chiamata anche pseudodemenza, è una sindrome neurologica di
origine isterica nella quale si verifica una produzione volontaria di sintomi
psicologici che tende al peggioramento quando il paziente è consapevole di
essere osservato. Questi sintomi sono frequenti soprattutto nelle prigioni,
dove il soggetto può valutare più o meno inconsciamente e aver interesse a
disconoscere alcune realtà. N.d.R. ).
“Tale sindrome è insorta in
lui dopo il suo internamento al carcere ed è da mettere in rapporto al
desiderio di trovare una scappatoia alle sue responsabilità ed alle sanzioni
conseguenti al delitto. Il movente che
lo spinse ad uccidere va ricercato in un complesso di odio e rancore generatosi
nel suo animo in quanto si sentiva esautorato dal rivale e soppiantato nei
favori del padrone che negli ultimi tempi lo aveva messo da parte”.
“Le lettere anonime furono il paravento – scrivono ancora i
periti di parte – dietro cui mascherò il suo rancore per il Montesano,
e gli servirono per giustificare il
proprio delitto. Per le ragioni sopra esposte il delitto fu premeditato ed
eseguito con piena e fredda
determinazione. E quindi in assoluta capacità di intendere e di volere. La
volontà di uccidere è ampiamente dimostrata dal mezzo usato e dalla localizzazione
dei colpi che furono diretti tutti in parti vitali ed inoltre la freddezza
emozionale del momento si evidenzia palesemente dal feroce gesto da lui
compiuto quando fracassò il cranio del Montesano con il calcio del fucile onde
essere sicuro che l’altro non potesse sopravvivere. Il carattere violento e
spietato dell’individuo la ferocia del crimine commesso, la particolare
concezione ed interpretazione dei propri diritti l’assoluto disprezzo per la
legge e per le autorità costituite, la mancanza dell’istinto di gregarietà, le
caratteristiche biofisiche comuni e
riscontrabili in tutti i criminali lo
fanno considerare individuo socialmente pericoloso”.
Aggiungi didascalia |
Il
terzo colpo di scena è consistito nella incriminazione della
Fusaro. Sulle risultanze peritali,
infatti, che avevano stabilito che le
lettere anonime avevano determinato, in
un certo modo, il duplice delitto, Angelina
Fusaro venne accusata di istigazione a duplice omicidio ed arrestata. Le
contestarono “per avere mediante lettere anonime contenenti apprezzamenti
diffamatori sulla condotta di Maria Raimondo e Giovannina Tessitore dirette a
Pasquale Raimondo provocando nel medesimo la “slatentizzazione di una psicosi
paranoidea, a tipo di delirio di gelosia che si andava man mano che gli anonimi
pervenivano vieppiù aggravando, fino a diventare probabilmente insanabile pur
sapendo che ogni lettera prevedeva
intenzioni omicide. Nelle more pervenne ai giudici dalla Svizzera, una lettera da parte del marito della
donna, che la accusava apertamente di
essere una “lesbica” e di essere andata non pura alle nozze. Questa circostanza aggravò ancora di più la
posizione della donna.
Ma un successivo ulteriore intervento di altri periti calligrafici
stabilirono che le lettere anonime, pervenute al Raimondo, non erano state scritte di pugno da Angelina
Fusaro. A questo punto ci si domandava
chi fu il demoniaco autore degli anonimi che istigava il padre contro la figlia
Anna Maria ( sorella della ragazza che si era fatta suora ) denunziando che costei fosse stata sedotta da Giuseppe Fusaro, ( fratello di Angelina ) mentre poi
facilitava i convegni tra quest’ultimo e
Raimondo Teresa ( altra sorella di
Maria ) della quale era l’amante che fece scappare di casa e successivamente
sposandola?
Il
quarto colpo di scena venne fuori dalla deposizione di Maria Raimondo, interrogata nel Monastero
dove aveva preso i voti. “Mio padre un
giorno mi venne a trovare e mi consegnò un coltello con il quale mi disse che
avrei dovuto uccidere il Montesano perché questi aveva sparlato di me. Io per
fortuna ero in compagnia di una suora che può testimoniare sulla circostanza
che lui minacciò di uccidermi se non avessi compiuto il delitto… poi scoppiò a
piangere… Io ero e sono vergine ciò è stato anche constata da una perizia del
prof. Antonio Piccoli da Napoli. Mio padre era posseduto dal Diavolo… perciò ha
commesso il duplice delitto”.
Sulla sua relazione saffica con la Fusaro non volle parlare.
Tutte le indagini propendevano per l’accusa alla Angelina Fusaro quale autrice
delle lettere anonime e addirittura il Giudice Istruttore lo scrisse nella
sentenza di rinvio a giudizio: “La Fusaro
invaghitasi di Maria Raimondo con la
quale aveva avuto ed aveva pratiche lesbiche
denunziava questa deficiente al padre Pasquale Raimondo, facendola maltrattare per attrarla a sé e poi
addebitandole come amante il proprio fratello Giuseppe, favoriva invece effettivamente costui nei
rapporti illeciti con Teresa”.
Per quanto attiene invece al
Raimondo i giudici scrissero che lui era
un pazzo e che conduceva una vita
sregolata e spesso aveva tentato di violentare la figlia Teresa mentre
apostrofava con parole come “puttana” ed altre irripetibili la moglie specie
quando giaceva con lei.
Dopo due anni il processo in
Corte di Assise ( Presidente Giovanni
Morfino, a latere Guido Tavassi,
pubblico Ministero, Gennaro Calabrese,
cancelliere Domenico Aniello e
Ufficiale giudiziario Giuseppe Girardi
). Il P.M. nella sua requisitoria chiese
10 anni di manicomio criminale per Pasquale
Raimondo ( che era difeso dall’avvocato Ciro Maffuccini ) e definì l’imputato “un criminale ed un rozzo mazzonaro.. non un assassino ma un pazzo
omicida”. “Quando la notte –
disse tra l’altro il pubblico ministero
nel corso della sua requisitoria – ebbe l’ultimo convegno amoroso con la moglie
e dalle innegabili confessioni della stessa sui consigli e sulle visite del
Gallozzi ebbe l’allucinante ossessiva rivelazione nella sua mente ammalata che
avesse ragione l’anonimo informatore a dirgli che la figlia come la madre si
abbandonavano ad orge con il Dr.
Gallozzi e il guardiano Montesano
scambiandosi perfino senza ritegno
i soggetti degli accoppiamenti. Che la figlia avesse subito l’onta di
inenarrabili impudicizie fino al punto di avere conseguito, ad opera del Gallozzi, la “ricostruzione” apparente della propria verginità; che la
madre si fosse accoppiata con Gallozzi mentre ella si accoppiava con
Montesano”.
“Allora sì che si spiega l’evolversi, la conclusione
e l’esplosione dell’impressionante processo morboso che come l’accesso di
fissazione nel processo di degenerazione
dei tessuti trova il suo momento generativo nell’unione del Raimondo con la moglie perché nella mente sconvolta
del soggetto era ferma l’idea ossessiva che soltanto in quel momento di
abbandono fisico pel compimento dell’atto fisiologico la moglie Giovannina
Tessitore potesse indursi a dire la verità”.
“E’ stata l’ultima
lettera anonima – ha concluso il Pubblico Ministero – a far scattare l’dea del delitto. In quella missiva Raimondo veniva
accusato di rapporti incestuosi con la figlia che si era fatta suora e poi…
vedi il caso, la Angelina Fusaro, prima
che fosse scoperta come autrice delle lettere anonime, si va a fare suora e capita
nello stesso convento della novizia sua allieva”.
Insomma secondo il p.m. “in fica veritas”, l’uomo si scopava la moglie per farla
parlare… e poi alla fine dell’atto sessuale le sputava in faccia! La donna
confessava tutto – anche quello che non era vero – come nella tortura – mentre
aveva il rapporto sessuale col marito… La pubblica accusa riservò parole di
fuoco per la sarta: “L’imputato fu
prescelto dalla malvagità di Angelina Fusaro per esercitare la vendetta di una
donna viziosa, spregiudicata, che aveva creato
un laboratorio di sartoria per circondarsi di fanciulle delle quali era
gelosissima ( novella Saffo ) che spesse volte di notte teneva nel proprio
letto e come è ovvio spesso corrompeva con le sue pratiche libidinose. L’amore
prediletto di questa autentica
maestra di depravazione e di concupiscenza omosessuale era però Maria
Raimondo - e come fu accertato – aveva
elaborato sapienti anonimi anche ai
danni del proprio fratello a carico del quale Raimondo aveva incominciato a
concepire i primi suoi folli propositi di soppressione”.
Angelina Fusaro si difesa da
par sua: “Io non ho scritto nessuna delle
lettere che mi vengono attribuite, io ero amica di famiglia del Raimondo e la
figlia veniva a cucire a casa mia. Non ho mai conosciuto Gallozzi. Mio marito
nella lettera dalla Svizzera dice calunnie, io ero vergine al matrimonio.
Entrai nel monastero della Orsoline non per seguire la Raimondo ma per
vocazione. In precedenza avevo chiesto
al prete del paese qual era il monastero migliore. Non è vero che Angelo
Parente mi ha visto imbucare la lettre lui mi odia ed è un pessimo soggetto”. Poi
scoppiando a piangere: ”Non è vero che me la intendessi con le mie
apprendiste… perché sono una persona seria. Nel mio matrimonio ho avuto un a
bambina che è morta dopo 45 giorni”.
Fu creduta, nonostante che il pubblico ministero, al
termine della sua requisitoria, avesse chiesto 23 anni di reclusione, la
Angelina Fusaro, difesa dall’avvocato Giuseppe
Garofalo fu assolta “per non aver commesso il fatto”. La parte civile era
rappresentata dagli avvocati Vittorio e
Michele Verzillo, per la vedova Montesano e da Enrico Altavilla per Flavia Bozza
moglie del Dr. Gallozzi. In appello subentrò anche Giovanni Leone.
Nessun commento:
Posta un commento