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domenica 28 settembre 2014

Accadde a Marcianise nel luglio del 1976 
nel salone dei fratelli Iovinella


UCCISE DUE GIOVANI PER DIFENDERE I FRATELLI MINACCIATI CON LE PISTOLE DOPO 14 ANNI FU RICONOSCIUTA LA LEGITTIMA DIFESA
MA LO STATO NON PAGA L’ERRORE GIUDIZIARIO


SALVATORE IOVINELLA ATTENDE ANCORA 

DOPO CIRCA 

40 ANNI  IL RISARCIMENTO 

DALLA CORTE  DI GIUSTIZIA 

EUROPEA PER  UN RICONOSCIUTO 


“ERRORE  GIUDIZIARIO”.

 

 

Il Pm chiese 20 anni per ciascuno. La sentenza fu di assoluzione per legittima difesa.  Ribaltato il verdetto in appello e cassazione condanna a 14  anni per lo sparatore e 18 per gli altri. Poi la svolta dopo tanti  anni la revisione per un teste falso.   

 

 

Per la famiglia Iovinella:   gli avvocati: Alfredo De Marsico, Giuseppe Irace, Camillo Irace, Luigi Verrengia, Alfonso Martucci, Luciano Costanzo e  Enrico Accinni.  Mentre la parte civile fu sostenuta dagli avvocati: Antonio Simoncelli, Luigi Palumbo e Giuseppe Savelli. 


 


      Marcianise – “La morte è il mio mestiere, ci guadagno da vivere, ci costruisco la mia reputazione professionale di giornalista. Io tratto la morte con la passione e la precisione di un becchino: serio e comprensivo quando sono in compagnia dei familiari in lacrime, ma da freddo osservatore quando sono solo. Ho sempre pensato che il segreto nel trattare  con la  morte  consistesse nel tenerla a debita distanza. Questa è la regola: mai permetterle di avvicinarsi sino a sentirne il fiato sul collo”. E’ l’incipit di “CRONACA NERA”, di Michael Connelly, ma sembra scritto proprio per questo racconto.  
     Fu così  per me quel venerdì del  16 luglio del 1976,  verso le 17,00 ( ero cronista di un quotidiano napoletano), che  vidi la morte da vicino, come in una sala da mattatoio, nello squallore di una cucina, a piano terra, con il pavimento  tappezzato di chiazze di sangue. Arrivai poco dopo il delitto, nella proprietà dei Iovinella – una tranquilla famiglia che gestiva un salone per la vendita di vetture nuove e usate alla via S. Giuliano di Marcianise,  assieme al Capitano dei Carabinieri, Giuseppe Cinquegrana, l’allora comandante della Compagnia di Santa Maria Capua Vetere. Stesi sul pavimento e crivellati di colpi due giovani: Antonio D’Alessio, e Antonio Benenato, che entrambi studiavano “per diventare camorristi”. Erano andati per “suonare” e - come i pifferi di montagna – furono suonati.
     Ma non fu una “esecuzione” o un “delitto di camorra”, come la stampa dell’epoca ipotizzò, ma soltanto la legittima difesa di un fratello, per proteggere i germani minacciati da due individui con in pugno le  pistole.  Era in bella mostra il caminetto – a destra entrando – dove qualche ora prima,  Gaetano Iovinella, studente di medicina e quasi alla soglia della laurea, prelevò le due pistole ( una calibro 7,65 e l’altra cal. 9) e fece fuoco uccidendoli suo due giovani che armi in pugno avevano puntato le pistole all’indirizzo degli altri due fratelli, Salvatore e Francesco, presenti per una discussione. Legittima difesa? Ma non fu facile dimostrarlo.
     Alla sparatoria assistettero anche due testimoni oculari – andati nel salone per acquistare una autovettura –  i fratelli Antimo e Giovanni Piccolo, due carpentieri che avevano stimato interpellare per le loro esigenze i fratelli Iovinella.
     Ma dopo quella raccapricciante scena  sulla famiglia Iovinella si  abbattette  un ciclone di guai,  nefandezze, torti, ingiustizie, malattie, patimenti ed in ultimo la beffa di un mancato risarcimento del danno – per decorrenza dei termini – anche avendo avuto – dopo 5 processi – la piena assoluzione, in seguito a revisione e il riconosciuto e antipatico “errore giudizio”.   
    Allora ci si domanda chi non conosce la legge, chi non conosce i termini di certi questioni viene ingiustamente penalizzato?  Salvatore Iovinella,  in particolare è stato vittima di tutto questo e dopo aver patito per  anni il carcere duro  ( lo stress, la malattia mentale irreversibile, per la latitanza, per il carcere, per la famiglia )  ed aver perso parzialmente il lume della ragione si trova oggi in attesa di decisioni che lo vedono ormai assillato da una amara e claudicante vecchiezza.
     Qui si innesterebbe un  ragionamento di grande attualità – dibattuto in questi giorni – e ancora sull’agenda politica: la responsabilità del magistrato. Se sbaglia non paga. Ma allora, perché non fare come per i medici obbligarli ad una assicurazione? Anche loro sono uomini e come tali non  sono infallibili ( escluso il dolo, naturalmente!).  Una copertura assicurativa – come esiste nelle altre nazioni  civili – sarebbe una  vera garanzia per gli errori giudiziari come quello perpetrato in questa vicenda.  
     Ma ritorniamo al delitto. Dicevamo,  non fu facile convincere gli inquirenti che si trattò veramente di “legittima difesa”. Subito dopo l’accaduto Gaetano Iovinella si presentò, in compagnia dei suoi legali: Avv.ti Alfonso Martucci e Enrico Accinni,  presso i carabinieri e al magistrato inquirente, il Sostituto Procuratore,  Antonio La Venuta,  confessò ogni dettaglio.
Avv. Alfonso Martucci 

     “Erano venuti quel giorno, nel salone (  i due erano giunti a bordo della Mercedes di proprietà del  Benenato, che fu sequestrata,   acquistata per contanti, con un esborso di 4 milioni e 750 mila lire l’8 luglio,  pochi giorni prima,  e sulla quale gli inquirenti puntarono gli occhi per il possesso della somma da parte di un “imberbe” nullafacente,   alle prime armi con il racket delle estorsioni N.d.R.) e si accomodarono in cucina   ai quali i miei fratelli avevano  offerto un bicchierino di Strega ed una aranciata  e stavano discutendo, sulla controversia sorta per alcune riparazioni del  carrozziere Francesco Raucci,   e dei rispettivi pagamenti, che avevano avuto una sospensione a causa  del lavoro non eseguito a magisterio. Nella stanza adibita a cucina, c’erano i miei fratelli Salvatore e Francesco, in attesa dei fratelli Piccolo, che dovevano firmare alcuni effetti cambiari corrispettivo di una autovettura acquistata. Io non mi interessavo della conduzione della vendita essendo impegnato in severi studi universitari, nella circostanza era presente anche il carrozziere Raucci”.
     “Ad un certo punto – continuò il giovane – mi sono voltato di scatto ed ho visto che i due giovani D’Alessio e Benenato,  pistole in pugno, reiterando le loro minacce  ( i miei fratelli avevano chiesto di rimandare la discussione ad altro giorno, essendo presenti dei clienti, ma i giovani avevano preteso nella immediatezza di risolvere il problema) alzatisi in piedi stavano sparando all’indirizzo dei miei fratelli. Il Benenato aveva puntato la pistola all’indirizzo di mio fratello Francesco, mentre il D’Alessio mirava Salvatore. Quest’ultimo però alla mossa dell’arma si scagliò contro il D’Alessio,  dalla cui pistola partirono due colpi e cadde pesantemente a terra. Io credetti che fosse stato colpito.   Fu allora che accostatomi al caminetto prelevai le due pistole e feci  fuoco uccidendoli entrambi”.
     Come fu appunto accertato il D’Alessio aveva sparato per primo ma il suo colpo indirizzato a Salvatore si conficcò nel soffitto. Intanto i due clienti,   i fratelli Piccolo – spaventati a morte – fuggirono a bordo della loro auto terrorizzati. Anche i fratelli Iovinella – a bordo della loro Fiat 131 – si diedero alla latitanza – escluso quello che aveva sparato che – come detto – in serata si costituì. Dopo pochi minuti giunsero i carabinieri  con i marescialli Domenico Zurlo e Francesco Damiano.
     E mentre l’assassino,   reo confesso,  fu rinchiuso nel carcere di Roccamonfina, gli  inquirenti iniziarono gli  esami dello “stub” ( il guanto di paraffina )  sui cadaveri  e l’autopsia confermò che il D’Alessio ( colpito al petto a tre colpi ) aveva effettivamente sparato. Mentre fu accertato che dalla pistola del Benenato ( colpito da due colpi )  non era uscito alcun colpo. In effetti avevano sparato tre pistole. Ma gli inquirenti erano convinti che una pistola era stata impugnata anche da Salvatore Iovinella. Ai carabinieri sembrava assurdo che un solo fratello avesse impugnato due pistole.
     Ma la versione dei fatti che avvaloravano la tesi della legittima difesa fu confermata in pieno dai fratelli Piccolo. Mentre si  palesò “leggermente inveritiero” il  carrozziere Francesco Raucci, che evidentemente covava rancore nei confronti di Salvatore Iovinella. Intanto gli  inquirenti avevano emesso ordini di cattura per concorso in  duplice omicidio per Salvatore e il fratello, resisi subito latitanti.
    Ma gli inquirenti si lambiccavano il cervello anche per un’altra strana circostanza.  Come avevano fatto D’Alessio e Benenato a contattare il carrozziere e chi aveva loro riferito della controversia con i fratelli Iovinella? Si appurò, infatti, che aveva fatto da “tramite” un tale  Gaetano Iadicicco da  Castelvolturno, che svolgeva saltuari lavori presso la carrozzeria in Caserta. 
     Tratti a giudizio per duplice omicidio aggravato i tre fratelli furono giudicati dalla Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Presieduta da Vincenzo Gelormino, pubblico ministero Antonio La Venuta, il quale nel corso della sua requisitoria  non sposò la tesi della legittima difesa.  Per gli imputati gli avvocati: Alfredo De Marsico, Giuseppe Irace, Camillo Irace, Luigi Verrengia, Alfonso Martucci, Luciano Costanzo e  Enrico Accinni.  Mentre la parte civile fu sostenuta dagli avvocati: Antonio Simoncelli, Luigi Palumbo e Giuseppe Savelli. 

     Il pubblico ministero – diede, infatti, secondo il suo punto di vista,  una diversa ricostruzione dei fatti. Secondo lui i fratelli Iovinella si  aspettavano il peggio e si prepararono per la  difesa in caso di aggressione. “I due giovani – disse il pubblico ministero – sono stati vittime della loro arroganza e della loro inesperienza, erano in cerca di gloria nel mondo effimero della  malavita, ma avevano  sottovalutato i fratelli Iovinella”. 
     Il Dr. La Venuta sottolineò, più volte, che le vittime avevano voluto giocare un ruolo più grande di loro. Ammise la provocazione ma, al termine della sua requisitoria chiese una dura condanna a 20 anni di reclusione per ciascun fratello.
   Ma nonostante le avversità, le difficoltà, le contraddizioni, le ingiustizie i fratelli Iovinella non si arresero al beffardo destino ed insistettero per anni fino ad avere una sentenza equa che riconoscesse a tutti la legittima difesa.   
     Ma ci vollero oltre 15 anni da qual giorno del duplice delitto. Dunque, dopo la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto la legittima difesa a tutti ci fu il ribaltamento della decisione in sede di appello e di Cassazione con la condanna a 14 anni per l’esecutore materiale e reo confesso, e ben 18 anni ciascuno agli altri due fratelli. Nel 1982 la grande svolta. Dopo il sigillo della Corte di Cassazione i due fratelli condannati a 18 anni chiesero  una revisione, avendo scoperto che il testimone d’accusa di primo grado aveva spudoratamente mentito sulla dinamica del delitto, dichiarando che i fratelli Iovinella avevano sparato per primi. A riprova del loro assunto esibirono un teste attendibile tale Pino Orlando che confermò la tesi della legittima difesa. La sentenza fu di totale assoluzione dei due fratelli. Sulla scorta del processo di revisione,  anche l’esecutore materiale del delitto fece ricorso ( i legali dimostrarono  che c’era un contrasto tra la sua condanna a l’assoluzione dei suoi fratelli )  vedendosi concesso alla fine la completa assoluzione.
    Ma resta ancora l’amaro per il fatto che Salvatore Iovinella – prima assolto, poi condannato a 18 anni, poi nuovamente assolto si è visto respingere il risarcimento per “errore giudiziario” avendo perso il termine previsto dalla legge.  Ma Salvatore Iovinella,  dopo la malattia mentale poteva conoscere i termini della legge? O piuttosto sono stati i suoi legali a consigliarlo male? L’enigma resta. Scolpito nel marmo.
     Ma in che consiste l’errore giudiziario? L’errore giudiziario consiste nella scoperta, mediante l'impugnazione straordinaria della revisione  dell'ingiustizia sostanziale di una sentenza irrevocabile di condanna. E' importante ricordare che è la stessa Costituzione a richiedere che il legislatore determini le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. I presupposti necessari alla riparazione dell'errore giudiziario sono sia positivi, sia negativi.
     Il presupposto positivo è il proscioglimento in sede di revisione; i casi di revisione del processo sono essenzialmente il contrasto tra giudicati penali, il contrasto tra giudicato penale e civile o amministrativo, la scoperta di nuove. I presupposti negativi sono i seguenti: innanzitutto chi è stato prosciolto in sede di revisione non deve aver dato causa per dolo o colpa grave all'errore giudiziario; in secondo luogo, il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della pena detentiva che sia computata nella determinazione della pena da espiare per un reato diverso.
     La quantificazione del danno esistenziale da errore giudiziario è legato fondamentalmente ad un duplice ordine di fattori: anzitutto alla genericità dell’espressione utilizzata dal legislatore nella indicazione dei parametri di riferimento per la commisurazione dell’entità della riparazione e, in secondo luogo, alla considerazione che, in realtà, stando anche al dato letterale, non si può parlare tecnicamente di risarcimento del danno da errore giudiziario, ma di indennità o indennizzo.
Avv. Camillo Irace 

     E’ in quest’ottica che si pone la ricorrente massima giurisprudenziale in base alla quale ”la riparazione dell’errore giudiziario, come quella per l’ingiusta detenzione, non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale o ingiustamente condannato”. La ricostruzione in questi termini della riparazione per l’errore giudiziario (avente, dunque, natura indennitaria e non risarcitoria) risponde alla precisa finalità di evitare che il danneggiato debba fornire la prova sia dell’esistenza dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) delle persone fisiche che hanno agito, sia la prova dell’entità dei danni subiti.
    Potrà la Corte Europea di Giustizia rendere il maltolto allo sfortunato Salvatore Iovinella?  Ormai nonno, avanzato negli anni e pieno di acciacchi?   “Spes ultima dea”, la speranza è ultima a morire.  La speranza  - come ci insegnano i latini - non viene mai meno e che si può sperare fino all’ultimo!
     
     

    


    

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