UCCISE DUE GIOVANI PER DIFENDERE I FRATELLI MINACCIATI CON LE PISTOLE DOPO 14 ANNI FU RICONOSCIUTA LA LEGITTIMA DIFESA
MA LO STATO NON PAGA
L’ERRORE GIUDIZIARIO
SALVATORE
IOVINELLA ATTENDE ANCORA
DOPO CIRCA
40 ANNI
IL RISARCIMENTO
DALLA CORTE DI GIUSTIZIA
EUROPEA PER UN RICONOSCIUTO
“ERRORE GIUDIZIARIO”.
Il Pm chiese 20 anni
per ciascuno. La sentenza fu di assoluzione per legittima difesa. Ribaltato il verdetto in appello e cassazione
condanna a 14 anni per lo sparatore e 18
per gli altri. Poi la svolta dopo tanti anni la revisione per un teste falso.
Per la famiglia
Iovinella: gli avvocati: Alfredo De Marsico, Giuseppe
Irace, Camillo Irace, Luigi Verrengia, Alfonso Martucci, Luciano Costanzo
e Enrico Accinni. Mentre la parte civile fu sostenuta dagli
avvocati: Antonio Simoncelli, Luigi Palumbo e Giuseppe Savelli.
Marcianise – “La morte è il mio mestiere,
ci guadagno da vivere, ci costruisco la mia reputazione professionale di
giornalista. Io tratto la morte con la passione e la precisione di un becchino:
serio e comprensivo quando sono in compagnia dei familiari in lacrime, ma da
freddo osservatore quando sono solo. Ho sempre pensato che il segreto nel
trattare con la morte consistesse
nel tenerla a debita distanza. Questa è la regola: mai permetterle di
avvicinarsi sino a sentirne il fiato sul collo”. E’ l’incipit di “CRONACA
NERA”, di Michael Connelly, ma
sembra scritto proprio per questo racconto.
Fu così per me quel venerdì del 16 luglio del 1976, verso le 17,00 ( ero cronista di un quotidiano
napoletano), che vidi la morte da
vicino, come in una sala da mattatoio, nello squallore di una cucina, a piano
terra, con il pavimento tappezzato di
chiazze di sangue. Arrivai poco dopo il delitto, nella proprietà dei Iovinella
– una tranquilla famiglia che gestiva un salone per la vendita di vetture nuove
e usate alla via S. Giuliano di Marcianise, assieme al Capitano dei Carabinieri, Giuseppe Cinquegrana, l’allora
comandante della Compagnia di Santa Maria Capua Vetere. Stesi sul pavimento e
crivellati di colpi due giovani: Antonio
D’Alessio, e Antonio Benenato, che
entrambi studiavano “per diventare camorristi”. Erano andati per “suonare” e -
come i pifferi di montagna – furono suonati.
Ma non fu una “esecuzione” o un “delitto
di camorra”, come la stampa dell’epoca ipotizzò, ma soltanto la legittima
difesa di un fratello, per proteggere i germani minacciati da due individui con
in pugno le pistole. Era in bella mostra il caminetto – a destra
entrando – dove qualche ora prima, Gaetano Iovinella, studente di medicina
e quasi alla soglia della laurea, prelevò le due pistole ( una calibro 7,65 e
l’altra cal. 9) e fece fuoco uccidendoli suo due giovani che armi in pugno
avevano puntato le pistole all’indirizzo degli altri due fratelli, Salvatore e Francesco,
presenti per una discussione. Legittima difesa? Ma non fu facile dimostrarlo.
Alla sparatoria assistettero anche due
testimoni oculari – andati nel salone per acquistare una autovettura – i fratelli Antimo e Giovanni Piccolo, due carpentieri che avevano stimato
interpellare per le loro esigenze i fratelli Iovinella.
Ma dopo quella raccapricciante scena sulla famiglia Iovinella si abbattette un ciclone di guai, nefandezze, torti, ingiustizie, malattie,
patimenti ed in ultimo la beffa di un mancato risarcimento del danno – per
decorrenza dei termini – anche avendo avuto – dopo 5 processi – la piena
assoluzione, in seguito a revisione e il riconosciuto e antipatico “errore
giudizio”.
Allora ci si domanda chi non conosce la
legge, chi non conosce i termini di certi questioni viene ingiustamente
penalizzato? Salvatore Iovinella, in
particolare è stato vittima di tutto questo e dopo aver patito per anni il carcere duro ( lo stress, la malattia mentale
irreversibile, per la latitanza, per il carcere, per la famiglia ) ed aver perso parzialmente il lume della
ragione si trova oggi in attesa di decisioni che lo vedono ormai assillato da
una amara e claudicante vecchiezza.
Qui si innesterebbe un ragionamento di grande attualità – dibattuto
in questi giorni – e ancora sull’agenda politica: la responsabilità del
magistrato. Se sbaglia non paga. Ma allora, perché non fare come per i medici
obbligarli ad una assicurazione? Anche loro sono uomini e come tali non sono infallibili ( escluso il dolo,
naturalmente!). Una copertura
assicurativa – come esiste nelle altre nazioni
civili – sarebbe una vera
garanzia per gli errori giudiziari come quello perpetrato in questa vicenda.
Ma ritorniamo al delitto. Dicevamo, non fu facile convincere gli inquirenti che si
trattò veramente di “legittima difesa”. Subito dopo l’accaduto Gaetano
Iovinella si presentò, in compagnia dei suoi legali: Avv.ti Alfonso Martucci e Enrico Accinni, presso i
carabinieri e al magistrato inquirente, il Sostituto Procuratore, Antonio
La Venuta, confessò ogni dettaglio.
Avv. Alfonso Martucci |
“Erano venuti quel giorno, nel salone
( i due erano giunti a bordo della
Mercedes di proprietà del Benenato, che
fu sequestrata, acquistata per contanti, con un esborso di 4
milioni e 750 mila lire l’8 luglio,
pochi giorni prima, e sulla quale
gli inquirenti puntarono gli occhi per il possesso della somma da parte di un
“imberbe” nullafacente, alle prime armi con il racket delle estorsioni
N.d.R.) e si accomodarono in cucina ai quali i miei fratelli avevano offerto un bicchierino di Strega ed una
aranciata e stavano discutendo, sulla
controversia sorta per alcune riparazioni del carrozziere Francesco Raucci, e dei rispettivi pagamenti, che avevano avuto
una sospensione a causa del lavoro non
eseguito a magisterio. Nella stanza adibita a cucina, c’erano i miei fratelli
Salvatore e Francesco, in attesa dei fratelli Piccolo, che dovevano firmare
alcuni effetti cambiari corrispettivo di una autovettura acquistata. Io non mi
interessavo della conduzione della vendita essendo impegnato in severi studi
universitari, nella circostanza era presente anche il carrozziere Raucci”.
“Ad un certo punto – continuò il giovane –
mi sono voltato di scatto ed ho visto che i due giovani D’Alessio e Benenato, pistole in pugno, reiterando le loro
minacce ( i miei fratelli avevano
chiesto di rimandare la discussione ad altro giorno, essendo presenti dei
clienti, ma i giovani avevano preteso nella immediatezza di risolvere il
problema) alzatisi in piedi stavano sparando all’indirizzo dei miei fratelli. Il
Benenato aveva puntato la pistola all’indirizzo di mio fratello Francesco,
mentre il D’Alessio mirava Salvatore. Quest’ultimo però alla mossa dell’arma si
scagliò contro il D’Alessio, dalla cui
pistola partirono due colpi e cadde pesantemente a terra. Io credetti che fosse
stato colpito. Fu allora che
accostatomi al caminetto prelevai le due pistole e feci fuoco uccidendoli entrambi”.
Come fu appunto accertato il D’Alessio
aveva sparato per primo ma il suo colpo indirizzato a Salvatore si conficcò nel
soffitto. Intanto i due clienti, i
fratelli Piccolo – spaventati a morte – fuggirono a bordo della loro auto
terrorizzati. Anche i fratelli Iovinella – a bordo della loro Fiat 131 – si
diedero alla latitanza – escluso quello che aveva sparato che – come detto – in
serata si costituì. Dopo pochi minuti giunsero i carabinieri con i marescialli Domenico Zurlo e Francesco Damiano.
E
mentre l’assassino, reo confesso, fu rinchiuso nel carcere di Roccamonfina,
gli inquirenti iniziarono gli esami dello “stub” ( il guanto di paraffina ) sui cadaveri e l’autopsia confermò che il D’Alessio (
colpito al petto a tre colpi ) aveva effettivamente sparato. Mentre fu
accertato che dalla pistola del Benenato ( colpito da due colpi ) non era uscito alcun colpo. In effetti
avevano sparato tre pistole. Ma gli inquirenti erano convinti che una pistola era
stata impugnata anche da Salvatore Iovinella.
Ai carabinieri sembrava assurdo che un solo fratello avesse impugnato due
pistole.
Ma la versione dei fatti che avvaloravano
la tesi della legittima difesa fu confermata in pieno dai fratelli Piccolo.
Mentre si palesò “leggermente inveritiero”
il carrozziere Francesco Raucci, che
evidentemente covava rancore nei confronti di Salvatore Iovinella. Intanto
gli inquirenti avevano emesso ordini di
cattura per concorso in duplice omicidio
per Salvatore e il fratello, resisi subito latitanti.
Ma
gli inquirenti si lambiccavano il cervello anche per un’altra strana
circostanza. Come avevano fatto
D’Alessio e Benenato a contattare il carrozziere e chi aveva loro riferito
della controversia con i fratelli Iovinella? Si appurò, infatti, che aveva
fatto da “tramite” un tale Gaetano Iadicicco da Castelvolturno, che svolgeva saltuari lavori
presso la carrozzeria in Caserta.
Tratti a giudizio per duplice omicidio
aggravato i tre fratelli furono giudicati dalla Corte di Assise del Tribunale di
Santa Maria Capua Vetere, Presieduta da Vincenzo
Gelormino, pubblico ministero Antonio
La Venuta, il quale nel corso della sua requisitoria non sposò la tesi della legittima difesa. Per gli imputati gli avvocati: Alfredo De Marsico, Giuseppe Irace, Camillo
Irace, Luigi Verrengia, Alfonso Martucci, Luciano Costanzo e Enrico Accinni. Mentre la parte civile fu sostenuta dagli
avvocati: Antonio Simoncelli, Luigi
Palumbo e Giuseppe Savelli.
Il pubblico ministero – diede, infatti,
secondo il suo punto di vista, una
diversa ricostruzione dei fatti. Secondo lui i fratelli Iovinella si aspettavano il peggio e si prepararono per
la difesa in caso di aggressione. “I due
giovani – disse il pubblico ministero – sono stati vittime della loro arroganza
e della loro inesperienza, erano in cerca di gloria nel mondo effimero
della malavita, ma avevano sottovalutato i fratelli Iovinella”.
Il Dr. La Venuta sottolineò, più volte,
che le vittime avevano voluto giocare un ruolo più grande di loro. Ammise la
provocazione ma, al termine della sua requisitoria chiese una dura condanna a
20 anni di reclusione per ciascun fratello.
Ma nonostante le avversità, le difficoltà,
le contraddizioni, le ingiustizie i fratelli Iovinella non si arresero al
beffardo destino ed insistettero per anni fino ad avere una sentenza equa che
riconoscesse a tutti la legittima difesa.
Ma ci vollero oltre 15 anni da qual giorno
del duplice delitto. Dunque, dopo la sentenza di primo grado, che aveva
riconosciuto la legittima difesa a tutti ci fu il ribaltamento della decisione
in sede di appello e di Cassazione con la condanna a 14 anni per l’esecutore
materiale e reo confesso, e ben 18 anni ciascuno agli altri due fratelli. Nel
1982 la grande svolta. Dopo il sigillo della Corte di Cassazione i due fratelli
condannati a 18 anni chiesero una
revisione, avendo scoperto che il testimone d’accusa di primo grado aveva
spudoratamente mentito sulla dinamica del delitto, dichiarando che i fratelli
Iovinella avevano sparato per primi. A riprova del loro assunto esibirono un
teste attendibile tale Pino Orlando che confermò la tesi della legittima
difesa. La sentenza fu di totale assoluzione dei due fratelli. Sulla scorta del
processo di revisione, anche l’esecutore
materiale del delitto fece ricorso ( i legali dimostrarono che c’era un contrasto tra la sua condanna a
l’assoluzione dei suoi fratelli )
vedendosi concesso alla fine la completa assoluzione.
Ma resta ancora l’amaro per il fatto che
Salvatore Iovinella – prima assolto, poi condannato a 18 anni, poi nuovamente
assolto si è visto respingere il risarcimento per “errore giudiziario” avendo
perso il termine previsto dalla legge. Ma
Salvatore Iovinella, dopo la malattia
mentale poteva conoscere i termini della legge? O piuttosto sono stati i suoi
legali a consigliarlo male? L’enigma resta. Scolpito nel marmo.
Ma in che consiste l’errore giudiziario?
L’errore
giudiziario consiste nella scoperta, mediante l'impugnazione straordinaria
della revisione dell'ingiustizia
sostanziale di una sentenza irrevocabile di condanna. E' importante ricordare
che è la stessa Costituzione a richiedere che il legislatore determini le
condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. I presupposti
necessari alla riparazione dell'errore giudiziario sono sia positivi, sia
negativi.
Il presupposto positivo è il
proscioglimento in sede di revisione; i casi di revisione del processo sono
essenzialmente il contrasto tra giudicati penali, il contrasto tra giudicato
penale e civile o amministrativo, la scoperta di nuove. I presupposti negativi
sono i seguenti: innanzitutto chi è stato prosciolto in sede di revisione non
deve aver dato causa per dolo o colpa grave all'errore giudiziario; in secondo
luogo, il diritto alla riparazione è escluso per quella parte della pena
detentiva che sia computata nella determinazione della pena da espiare per un
reato diverso.
La quantificazione del danno esistenziale
da errore giudiziario è legato fondamentalmente ad un duplice ordine di
fattori: anzitutto alla genericità dell’espressione utilizzata dal legislatore
nella indicazione dei parametri di riferimento per la commisurazione
dell’entità della riparazione e, in secondo luogo, alla considerazione che, in
realtà, stando anche al dato letterale, non si può parlare tecnicamente di
risarcimento del danno da errore giudiziario, ma di indennità o indennizzo.
Avv. Camillo Irace |
E’ in quest’ottica che si pone la ricorrente
massima giurisprudenziale in base alla quale ”la riparazione dell’errore
giudiziario, come quella per l’ingiusta detenzione, non ha natura di
risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base a principi
di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà
personale o ingiustamente condannato”. La ricostruzione in questi termini della
riparazione per l’errore giudiziario (avente, dunque, natura indennitaria e non
risarcitoria) risponde alla precisa finalità di evitare che il danneggiato
debba fornire la prova sia dell’esistenza dell’elemento soggettivo (dolo o
colpa) delle persone fisiche che hanno agito, sia la prova dell’entità dei
danni subiti.
Potrà la Corte Europea di Giustizia rendere
il maltolto allo sfortunato Salvatore Iovinella? Ormai nonno, avanzato negli anni e pieno di
acciacchi? “Spes ultima dea”, la
speranza è ultima a morire. La speranza - come ci insegnano i latini - non viene mai
meno e che si può sperare fino all’ultimo!
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