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giovedì 4 settembre 2014

   Vi proponiamo alcuni articoli di Francesco Zanotti, Direttore del Corriere Cesenate e Presidente FISC (Federazione Italiana Settimanali Cattolici). Il primo è stato scritto lo scorso mese di giugno dopo un incontro con Carmelo Musumeci e altri ergastolani del carcere di Padova,  durante un Convegno sull'ergastolo; il secondo, nella rubrica  del "Corriere Cesenate"  Zanotti, insieme a Nadia Bizzotto della Comunità Papa Giovanni XXIII, risponde ad una lettrice. 

             Ripercorro gli appunti di una giornata unica vissuta venerdì della scorsa settimana. Sono davanti ai cancelli della casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova. In programma c’è un convegno sull’ergastolo. Con me tanta gente venuta da tutta Italia. Fra gli organizzatori ci sono anche membri della comunità fondata da don Oreste Benzi. Chi mi conosce sa che da tempo ho uno scambio epistolare con l’ergastolano Carmelo Musumeci. Non l’ho mai incontrato di persona. Oggi è l’occasione giusta, penso, ma non so come verremo trattati, noi che veniamo dall’esterno, una volta dentro quelle alte mura.
Dopo il controllo dei documenti, molto blando, si attraversano due portoni enormi. Poi ce ne sono altri, tanti, robusti. Ogni volta si chiudono alle nostre spalle. Una guardia ci accompagna. Percorriamo un lunghissimo corridoio. Il carcere è immenso. Una città nella città. Sono 850 i detenuti. La capienza, invece, dovrebbe essere per 350, al massimo 450, confida un agente in gonnella.
Arriviamo nella palestra allestita per ospitare relatori, giornalisti e parenti. Frugo tra gli ospiti forzati. Ho paura di non riconoscere Carmelo. Guardo con cura, ma non voglio neppure farmi notare più di tanto. Magari qualcuno pensa male di me. Eppure non è la prima volta che entro in carcere. A Forlì ci sono andato per anni, ma nella sezione a custodia attenuata, una sorta di “pensione” dietro le sbarre. Qua, a Padova, è un’altra cosa, ci sono gli ergastolani. I “fine pena mai”. Fa paura a dirlo. Fa paura anche a scriverlo.
Anche loro hanno nella scheda personale la data di uscita, come gli altri. Sono i numeri a essere diversi: 99.99.9999. Non può essere così. Ma chi sono questi uomini? Chi li individua fra queste facce? Poi noto uno parlare con la figlia di Aldo Moro, Agnese, una che si batte da anni per l’abolizione dell’ergastolo. Con loro c’è anche un docente della Cattolica che ho già incontrato in diversi convegni, il professor Luciano Eusebi. Sì, dev’esser lui Carmelo. Aspetto che si liberi da quel colloquio. Poi non resisto più e mi avvicino.
È un lungo abbraccio, come vecchi amici. Non ci posso credere. Abbraccio e bacio un ergastolano. Sono felice. Sono contento di avere ritrovato un amico che ha occhi vivi, un corpo, ma soprattutto un cuore grande. Mi dice all’orecchio: “L’ergastolo esiste ancora perché per la gente non esiste più. Ma se non esiste, perché non lo tolgono?”.
Resto senza parole. Inizia il convegno. Al microfono si avvicina un uomo. “Mi chiamo Biagio Campailla, ho 44 anni. Sono da 16 anni in carcere. Ho l’ergastolo”. Ne arriva un altro: “Sono Giovanni Zito, ergastolo”. “Io sono Giuseppe Zagari, ergastolo”. “E io invece sono Antonio Papalia, ergastolo”. “Io mi chiamo Gaetano Fiandaca. Se voglio uscire devo mettere un altro al mio posto”. Poi si avvicinano Agostino Lentini, Giovanni Donatiello, Angelo Meneghetti, tutti ergastolani, fino a Roberto, 50 anni, di colore, che dice: “Sono stato condannato all’ergastolo in maniera incomprensibile”.
Non uno di questi uomini è mai uscito un solo giorno. Come loro ce ne sono altri 680 in Italia, condannati all’ergastolo ostativo, quello che non dà diritto ad alcun permesso e che ha quei tristi 9 nella data di fine pena. Eppure, accanto a loro, conversando con loro, uno scopre che hanno un volto, un cuore e un’anima. Ora li scruto in maniera diversa. Sì, ne sono certo, anche in loro è stampata l’immagine di Dio. Francesco Zanotti
 

"Solo quando una persona si sente amata, può dare qualcosa di buono. Ripagare il male con il male non è giustizia. È vendetta."
Caro direttore, nella sua risposta a Carmelo Musumeci (cfr. Corriere Cesenate n.28 del 17 luglio scorso) mi è parso troppo indulgente e anche troppo comprensivo con l’ergastolano. Non ho mai notato, nei testi di Musumeci che lei ha proposto ai lettori, un solo pensiero o una sola parola per le vittime dei suoi delitti. Se gli hanno dato il “fine pena mai” un motivo ci dovrà pur essere. Non crede, caro direttore? Saluti cordiali.
Lettera firmata

Carissima lettrice, sono molto convinto che non si possa lasciare un uomo senza speranza. Non si possono girare le chiavi e poi buttarle via. Sono giunto a questa  convinzione dopo  aver frequentato diverse volte le carceri e aver parlato con uomini come noi. Assolutamente come noi. Ma non sto qui a tirarla in lungo. Lascio lo spazio a Nadia Bizzotto della comunità Papa Giovanni XXIII che molto più di me conosce il mondo delle carceri e di chi vive dietro le sbarre. Devo a Nadia la conoscenza e la corrispondenza con Carmelo Musumeci.
Francesco Zanotti

Caro Francesco, tento una risposta. Premetto che forse mi si può dire che sono di parte, ma è anche vero che io conosco Carmelo più di altri e conosco un po’ di più la natura del suo cuore, libero dalle maschere che lui si crea quando pensa di doversi difendere dal mondo intero.
Facendo un attimo un discorso più generale, è il caso di ricordare che una pena che esclude per sempre un uomo dalla possibilità di essere un giorno (anche lontano, per carità) una persona nuova, rinata, redenta, è contraria al senso di umanità. È pura vendetta, non è mai giustizia. Ripagare il male con il male è vendetta, non giustizia. Giustizia è non solo ridare dignità alla vittima e ai familiari (e troppo spesso questo non accade perché ci piace di più accanirci col cattivo che soccorrere chi è ferito…). Il male purtroppo fa  sempre più colpo e più notizia del bene. Giustizia è anche recuperare un uomo e restituirlo alla vita e alla società, come bene mancante (per dirla alla don Oreste). Giustizia è anche “Non dire mai a un uomo: io ti butto via per sempre” (per dirla all’Agnese Moro).
Non dobbiamo mai scambiare la giustizia con la  vendetta. La vendetta è comprensibile per chi subisce un reato, ed è profondamente ferito, ma se ci siamo dati uno Stato di diritto e non la legge di “forca per forca” ci sarà un motivo… La vendetta è “giustificata” (e comprensibile) nel cuore della vittima, ma non nelle mani di uno Stato che dovrebbe custodire e  rieducare (questo è il senso anche della nostra Costituzione, art. 27) un cittadino che ha sbagliato, anche gravemente. Perché faccio questo lungo preambolo? Perché è importante capire che l’ergastolo (soprattutto quello ostativo) è una vendetta legalizzata, è una vendetta e una sconfitta di tutti noi.
Capire questo ci toglie dall’ipocrisia di crederci buoni e bravi, perché t’assicuro che una delle prime cose che ho capito in tutti questi anni è che dentro non ci sono i “mostri”, o “bestie”, ma ci sono persone normali, che per essere nate in posti sbagliati, in contesti sbagliati, o per cultura, hanno fatto scelte devianti. Certo, la  responsabilità personale c’è sempre, ma non sempre si è veramente liberi di scegliere. E per me  è stato sconvolgente capire che dentro potremmo finire tutti, che dentro potresti trovare il tuo vicino di casa, il tuo compagno di scuola, il tuo prossimo che non avresti mai immaginato… Se io non fossi nata nel miracoloso nord est, se non avessi avuto la famiglia che ho, se non avessi incontrato don Oreste, forse oggi anch’io potrei essere dall’altra parte… Chi lo può dire. Le gente non vuole capire, eppure papa Francesco una delle prime cose che  ha fatto è stato abolire l’ergastolo in Vaticano. Ma in Vaticano non ci sono ergastolani. Forse allora voleva solo dare l’esempio, darci un messaggio.
Eppure non si vuole capire. Di carcere e di detenuti la gente non vuole sentir parlare. È meglio pensare che sono dei mostri e che la  miglior giustizia è la vendetta. E se provi a dire che, soprattutto con le leggi degli ultimi anni, in carcere ci potremmo finire tutti, apriti cielo! Siamo tutti brava gente che con la galera non ha  niente da spartire! Io non ho la pretesa di aver capito tutto dalla vita, ma di sicuro ho imparato (e sulla mia pelle) che non è vero che certe cose succedono solo agli altri.
Sto cercando di dirti che se al male rispondiamo col male, creiamo altra violenza e cattiveria. È difficile che uno si penta (nel senso che intendiamo noi, perché bisogna sempre tenere conto che il cuore dell’uomo è imperscrutabile, solo Dio conosce l’uomo fino in fondo) quando si sente a sua volta vittima di un mondo che si è accanito contro di lui e che si sta vendicando. Solo quando uno si sente amato, può dare qualcosa di buono. Carmelo dice che il perdono è la migliore vendetta che una società può dare, perché fa  incredibilmente tirare fuori il senso di colpa per il male fatto. Solo se uno smette di sentirsi in guerra capisce che uccidere è un male.
Nadia Bizzotto
Comunità Papa Giovanni XXIII
 
 

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