Accadde nel
settembre del 1958 a Valle di Maddaloni
Un pazzo dichiarato guarito e tornato libero
uccise un farmacista di Caserta con 30 colpi di pugnale
Il
giovane soffriva di vari disturbi e per questo motivo gli fu prescritta una cura
di iniezioni endovenose che si faceva
praticare da una suora
capo-infermiera nell’ospedale di Maddaloni.
Il Rega si convinse che la suora, praticandogli le punture, gli avesse
iniettato nel sangue un sortilegio o, come si dice qui da noi una “fattura”.
Poco dopo però aggredì senza ragione
uno studente, e quindi rinchiuso in manicomio -
Condannato a vari di manicomio criminale - Lo psichiatra
prof. Generoso Colucci, imputato
di omicidio colposo, perché rimise in libertà, dopo due mesi di ricovero
nella sua clinica, il giovane agricoltore, Pasquale Rega, che uccise con
trenta pugnalate il farmacista Francesco
Pagliaro di Valle di Maddaloni-
Per quasi mezzo
chilometro durò il tragico inseguimento e durante la corsa con il pazzo alle
spalle il farmacista continuò a ricevere pugnalate su pugnalate finché cadde
sotto una siepe, ove fu poi ritrovato cadavere.
Valle
di Maddaloni - Un pazzo, dichiarato guarito e tornato libero commise un delitto. Due mesi
dopo aver lasciato il manicomio uccise con trenta pugnalate un farmacista di
Caserta. Il medico “dei pazzi”, accusato di omicidio colposo, era già stato
assolto, ma dopo l’appello della Sezione Istruttoria dovette subire un altro processo.
Cominciamo proprio da questo processo per arrivare poi all’assurdo delitto del
pazzo. Si trattò del noto psichiatra, il
prof. Generoso Colucci, imputato di omicidio colposo, perché il 13 settembre 1958 rimise in
libertà, dopo due mesi di ricovero nella sua clinica, il giovane
agricoltore, Pasquale Rega,
che, trascorsi altri due mesi - precisamente il 19 novembre - uccise con trenta
pugnalate il farmacista di Valle di Maddaloni,
il dott. Francesco Pagliaro,
che aveva 31 anni e lasciava la moglie Filomena
con tre bambini, che era stato, tra l’altro il suo benefattore, perché, sollecitato dai genitori e da altri
parenti del Rega, aveva provveduto, tramite la mutua dell’associazione dei
coltivatori diretti, a far internare il giovane infermo di mente, non in uno
dei tanti manicomi, ma in una clinica
della migliore reputazione.
Il Rega però, come era logico, non gli fu
mai grato per questo genere di premura e, nel suo cervello sconvolto dalla
mania di persecuzione, e da altre forme morbose, entrò invece e si ingigantì il convincimento di
attribuire al farmacista tutti i suoi
mali. La prova precisa che l’agricoltore era del tutto ammalato fu data attraverso un particolare rivelato dal
perito psichiatrico prof. Carlo Romano,
nominato dalla magistratura per un’indagine. Si accertò, infatti, che il giovane soffriva di vari disturbi anche
gastrici e per questo motivo gli fu prescritta una cura di iniezioni endovenose
che si faceva praticare da una suora capo-infermiera nell’ospedale di
Maddaloni. A poco a poco il Rega si convinse che la suora, praticandogli le
punture, gli avesse iniettato nel sangue un sortilegio o, come si dice qui da
noi una “fattura”. Poco dopo però il
Rega aggredì senza ragione uno
studente, tale Ernesto De Lorenzo, nella piazza del
paese.
Fu allora, in seguito a quell’ennesimo
campanello di allarme, che i suoi genitori, Alfonsina e Felice, si rivolsero al farmacista Pagliaro. Pasquale
Rega entrò nella clinica diretta dal prof. Colucci, uscendone dopo 60 giorni di
cure. La diagnosi del dispensario d’igiene mentale di Caserta parlava di “paranoidismo e delirio di nocumento”. Nel dimetterlo, però, il prof. Colucci
dichiarò che il giovane appariva “poco
modificato”, rispetto a quando era entrato c doveva essere affidato ai
familiari (i parenti della vittima, costituitisi parte civile si chiedevano,
infatti, se appariva “poco modificato” in rispetto alle condizioni che ne richiesero il
ricovero, perché il prof. Colucci lo rilasciò?”).
Poco dopo accadde, infatti, la tragedia.
Verso l’una di notte del 19 novembre il Rega si recò alla farmacia, bussò e quando il dottore
venne ad aprirlo gli porse una carta col
nome, d’un medicinale: era un pretesto. Mentre l’altro si voltava, egli con un
pugnale a lama fissa gli vibrò una tempesta di colpi. Il farmacista cercò di
fuggire e uscì sulla via. Per quasi mezzo chilometro durò il tragico
inseguimento e durante la corsa con il pazzo alle spalle il farmacista continuò
a ricevere pugnalate su pugnalate finché cadde sotto una siepe, ove fu poi
ritrovato cadavere.
La
prima sentenza del Giudice Istruttore ordinò il ricovero del Rcga, riconosciuto
“totalmente infermo di mente”, per un
minimo di dieci anni in un manicomio giudiziario e assolse con formula piena il
prof. Generoso Colucci e i genitori del Rega, che avrebbero forse potuto
esercitare su di lui un maggiore controllo. Ma la sezione istruttoria della
Corte d’Appello, pur riconfermando la sentenza per il giovane e per i suoi
genitori, rinviò a giudizio il clinico che fu difeso dall’avvocato
Francesco Saverio Siniscalchi.
Un anno dopo fu ripreso il processo a
carico del prof. Colucci. L’accusa addebitava al medico la responsabilità per
aver dimesso dalla clinica uno che era ancora malato. La storia clinica del
Rega cominciò quando, trovandosi in cura presso l’ospedale civile di Maddaloni,
dove si recava per delle iniezioni, si convinse di un fatto esistente solo
nella sua psiche sconvolta: la suora che quelle “punture” gli faceva - era la capo-infermiera - si era innamorata di
lui ed anzi, per legarlo a sé, gli aveva fatto un “sortilegio” trasfondendogli il suo sangue perché non potasse
fuggire più da lei.
Di ciò parlò al parroco don Alfredo De Lucia e questi preoccupato,
cominciò a pensare all’opportunità di avvisare i parenti del giovane perché lo
facessero visitare da uno psichiatra provvedendo anche ad un periodo di
adeguate terapie in qualche casa privata di cura. Per dare poi al Rega una prova della sua benevolenza
nella speranza di calmarlo, il parroco gli fece anche da padrino di cresima. Fu
un secondo episodio che convinse i parenti del Rega a provvedere
all’internamento.
Un giorno, il giovane Rega,
incontrato casualmente uno studente,
tale Raffaele Di Lorenzo,
senza alcun motivo lo assalì, ferendolo gravemente. Catturato e ricoverato
presso il Dispensario di Igiene Mentale di Caserta fu sottoposto ad una prima diagnosi. Il
responso, redatto dal Prof. Annibale
Puca parlava di “paranoidismo
e delirio di nocumento”.
Il
padre del Rega, nonostante fosse un agiato possidente, sollecitò
l’interessamento del farmacista, Francesco Pagliaro, perché essendo il
farmacista “sindaco”, cioè revisore
della contabilità della locale sezione della “Coltivatori diretti” - cui egli
era iscritto - chiedesse alla Mutua di quell’associazione di assumersi le
spese, almeno parziali, del ricovero. Il farmacista si interessò subito e bene
della pratica (il che invece seminò un profondo rancore nell’animo del giovane)
e cosi Pasquale Rega stette sessanta giorni nella clinica Colucci, in una
ridente zona, a San Giorgio a Cremano.
All’atto del rilascio - come è
noto - il prof. Colucci disse che il Rega appariva “poco modificato” e doveva essere affidato ai parenti. La domanda
che i famigliari della vittima, costituitisi “parte civile” e assistiti
dall’avvocato Alfonso Martucci,
facevano ai giudici e allo psichiatra
era precisamente questa: Perché, se il
Rega era “poco modificato”, e quindi ancora pericoloso, perché il direttore della clinica psichiatrica
lo rilasciò?”.
Il
dramma accadde all’una di notte. Pasquale Rega bussò alla farmacia e il dottor
Pagliaro gli aprì. L’altro spiegò di aver bisogno di un calmante per dei
violenti dolori addominali. Il farmacista si girò per prendere da uno scaffale
delle gocce. In quell’istante il pazzo, estratto un pugnale, lungo diciotto centimetri e a
lama fissa - cioè con una lama che non
si piega e quindi servendosi di un’arma che non poteva aver preso se non per
quello scopo - (non era un temperino o un
coltello che possono esser tenuti in tasca anche, per esempio, per tagliare il
pane o altri usi) - gli vibrò i primi sei colpi. Il farmacista riuscì a fuggire
ma l’altro, furente, lo inseguì per oltre mezzo chilometro e ogni tanto, appena
lo raggiungeva, lo colpiva con una nuova pugnalata. Ciò continuò finché il
farmacista, crivellato di ferite, cadde senza più vita. Venne poi trovato in
una cunetta in aperta campagna, lungo un podere appartenente al coltivatore Arturo Penia.
L’assassino,
calmo, come si avesse quasi adempiuto ad un dovere, ad un lavoro… ritornato a
casa, si cambiò, consegnò alla sorella Anna
gli indumenti madidi di sangue, si lavò le mani
“lorde di sangue” e poi se ne
sali sul tetto ove venne catturato.
Furono sentiti dieci testimoni.
Le perizie furono quattro. Una
psichiatrica, di ufficio, fu fatta dal prof. Carlo Romano, che definì il Rega “soggetto socialmente pericoloso e
affetto da mania di persecuzione e abulia delirante”.
L’altra, pure psichiatrica, chiesta dai
parenti del Rega, fu redatta dal clinico
Mario D’Arrigo che approdò agli
stessi sconcertanti risultati sulla personalità abnorme del Rega ma non ritenne di definirlo “socialmente pericoloso”. La
terza, su incarico dei familiari del farmacista, fu del prof. Pasquale Murino che non riscontrò
alcuna affezione mentale nel Rega.
Queste due consulenze di parte volevano
provare, l’una (quella del prof. Murino) che l’omicida non aveva la “totale incapacità di mente”, in modo da
evitargli le conseguenze della sua irresponsabilità e trascinarlo in giudizio,
e l’altra invece voleva provare l’opposto. La quarta perizia fu redatta sul cadavere del farmacista.
Il
processo, celebratosi innanzi al
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, vide alla sbarra il noto psichiatra, il
professor Generoso Colucci, docente
universitario, nonché direttore e
proprietario di una clinica - dove
esisteva anche uno speciale reparto autorizzato dalla Procura della Repubblica
per il ricovero sotto il controllo della Magistratura di ammalati mentali in
osservazione o per trascorrervi il cosiddetto periodo di “custodia e di cura”.
Gli atti giudiziari dicono che il prof.
Generoso Colucci era accusato di non aver osservato le disposizioni di legge
manicomiali e dimesso dalla clinica per
infermi di mente Pasquale Rega, ancora bisognevole di cure e di custodia senza
la prescritta autorizzazione del tribunale e, comunque, senza averne dato
avviso al Procuratore della Repubblica, facendo sì che il predetto Rega, dopo
la sua dimissione, essendo affetto dalla mania di persecuzione, avesse modo,
una volta lasciato libero delle sue azioni senza alcun controllo, di uccidere,
come detto, il 19 novembre del 1958, il farmacista di Valle di Maddaloni, Francesco
Pagliaro, con numerose coltellate.
Con
la sentenza del 15 luglio 1960, poiché erano stati imputati anche i genitori
del Rega, Alfonsina e Felice (in quanto non avrebbero esercitato sul loro
figlio l’adeguato controllo), essi e il
prof. Colucci furono prosciolti “con
formula piena”. All’omicida,
riconosciuto del tutto “infermo di mente”,
fu inflitto un periodo di ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario “non inferiore ai dieci anni”. Se non che
la pubblica accusa si appellò sul fatto che il Rega era stato dimesso anche essendo ancora pericoloso.
Intanto la perizia necroscopica,
redatta dal medico legale Achille Canfora accertò che, “le trenta coltellate furono prodotte da persona non in ebbrezza alcoolica”. La
sentenza, emessa dalla Sezione Presieduta dal Dr. Cesare Cammarota, come
detto, fu di assoluzione per lo psichiatra accusato di omicidio colposo. Nel
corso del dibattito, il Tribunale
ascoltò il parere di numerosi illustri periti, ricostruendo la personalità
del folle omicida, al fine di stabilire quale responsabilità avrebbe potuto
avere il direttore di un manicomio per eventuali gesti che possono essere
compiuti dagli ex degenti.
Il Pubblico Ministero, nella sua
requisitoria, aveva chiesto la condanna del prof. Colucci a un anno di
reclusione e al risarcimento dei danni alla famiglia del farmacista,
costituitasi, parte civile. Il Tribunale, accolse, invece, la tesi della difesa, secondo cui “il rilascio di un paziente affetto da sindrome paranoica, se
accompagnato dagli opportuni avvisi alle autorità di polizia, non può
costituire in alcun caso reato”.
Nessun commento:
Posta un commento