Continua
il nostro viaggio attraverso i racconti
brevi dei più efferati delitti di “Terra di Lavoro”. Per lunedì 29 dicembre tratteremo il Caso Tafuri, degli anni Sessanta. Un delitto con lo sfondo del
sesso, del voyeurismo e della follia. I
delitto, insomma, di un uomo normale
ma, travolto da una passione ignominiosa. Accadde sul Ponte Annibale, in tenimento di Caiazzo, nel
marzo del 1960. Il medico sammaritano Aurelio Tafuri, uccise il
fidanzato della sua “singolare”
amante. Dopo averlo attratto in un tranello, colpì furiosamente con una sbarra,
lo studente Gianni De Luca e lo finì trafiggendogli il cuore con un punteruolo.
Poi gettò il cadavere nel Volturno e si andò a costituire in carcere. Che
Aurelio sia pazzo? L’interrogativo aleggia nell’aula della Corte d’Assise di
Santa Maria Capua Vetere ( Presidente Giuseppe Sant’Elia, a latere Guido
Tavassi, pubblico ministero Federico Putaturo ) per un mese e mezzo e ventisei
udienze. Definito uno schizofrenico incapsulato
dai consulenti di parte (Giovanni
Ricci, Franco Ferranti, Beniamino Di Tullio e Annibale Puca); ma sano di mente dai periti di ufficio ( Lucio
Bini, Casare Gerin e Mario Gozzano), dopo quattro processi, fu condannato a 22 anni di reclusione Alle dieci e trenta del 30 giugno 1963, la
Corte, composta dai giurati: Armando Bassi, da Pietravairano; Maria Caratenuto,
da Sparanise; Luigi Ciardulli, da Gricignano; Ubaldo Ciccarelli, da S.
Cipriano; Antonietta Fusaro, da Mondragone; nonché i supplenti: Giuseppe
Migliozzi, da Capua; Giovanni D’Angelo,
da Sessa Aurunca; Maria Ciaramella, da S. Nicola La Strada e Noè
D’Angelo, da Sparanise, si ritira in
camera di consiglio.
Fuori,
nella canicola estiva, l’intero paese di Santa Maria Capua Vetere discute del
processo, del fantomatico produttore cinematografico che, forse, da quella
vicenda trarrà un film e della scelta della famiglia De Luca, che ha deciso di
dirottare ogni indennizzo per la morte del figlio all’Ente comunale di
assistenza della città. Aurelio Tafuri viene considerato sano di mente e
condannato a ventisei anni di carcere.
Tre successivi processi decretarono la sua condanna definitiva a 22 anni di reclusione, nel corso
dei quali fu difeso dagli avvocati Errico Altavilla, Alfonso Martucci, Giuseppe
Marrocco, Ciro Maffuccini e Giuseppe
Garofalo. Il P.M. chiese l’ergastolo. La parte civile fu rappresentata dagli
avvocati Alfredo De Marsico e Michele Verzillo. Un anno dopo il verdetto venne
parzialmente riformato grazie al fondamentale apporto di Giovanni Leone, che
alternava la toga di principe del Foro alla casacca democristiana. Grazie alla
sua competenza giuridica e alla sua arte oratoria, venne riconosciuto a Tafuri
un parziale vizio di mente e la pena
ridotta a ventidue anni. Dalla sua vicenda ho tratto il libro “Il
Caso Tafuri”.
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