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venerdì 26 dicembre 2014

Continua il nostro viaggio attraverso  i racconti brevi dei più efferati delitti di “Terra di Lavoro”. Per lunedì  29 dicembre  tratteremo il Caso Tafuri, degli anni Sessanta. Un delitto con lo sfondo del sesso, del voyeurismo e della follia.  I delitto, insomma,  di un uomo normale ma,   travolto da una passione ignominiosa. Accadde sul Ponte Annibale,  in tenimento di Caiazzo,  nel  marzo del 1960. Il medico sammaritano Aurelio Tafuri, uccise il fidanzato della sua “singolare” amante. Dopo averlo attratto in un tranello, colpì furiosamente con una sbarra, lo studente Gianni De Luca e lo finì trafiggendogli il cuore con un punteruolo. Poi gettò il cadavere nel Volturno e si andò a costituire in carcere. Che Aurelio sia pazzo? L’interrogativo aleggia nell’aula della Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere ( Presidente Giuseppe Sant’Elia, a latere Guido Tavassi, pubblico ministero Federico Putaturo ) per un mese e mezzo e ventisei udienze. Definito uno schizofrenico incapsulato dai consulenti di parte (Giovanni Ricci, Franco Ferranti, Beniamino Di Tullio e Annibale Puca); ma sano di mente dai periti di ufficio ( Lucio Bini, Casare Gerin e Mario Gozzano), dopo quattro processi,  fu condannato a 22 anni di reclusione  Alle dieci e trenta del 30 giugno 1963, la Corte, composta dai giurati: Armando Bassi, da Pietravairano; Maria Caratenuto, da Sparanise; Luigi Ciardulli, da Gricignano; Ubaldo Ciccarelli, da S. Cipriano; Antonietta Fusaro, da Mondragone; nonché i supplenti: Giuseppe Migliozzi, da Capua; Giovanni D’Angelo,  da Sessa Aurunca; Maria Ciaramella, da S. Nicola La Strada e Noè D’Angelo, da Sparanise,  si ritira in camera di consiglio.

Fuori, nella canicola estiva, l’intero paese di Santa Maria Capua Vetere discute del processo, del fantomatico produttore cinematografico che, forse, da quella vicenda trarrà un film e della scelta della famiglia De Luca, che ha deciso di dirottare ogni indennizzo per la morte del figlio all’Ente comunale di assistenza della città. Aurelio Tafuri viene considerato sano di mente e condannato a ventisei anni di carcere.
Tre  successivi  processi decretarono la sua condanna  definitiva a 22 anni di reclusione, nel corso dei quali fu difeso dagli avvocati Errico Altavilla, Alfonso Martucci, Giuseppe Marrocco, Ciro Maffuccini e  Giuseppe Garofalo. Il P.M. chiese l’ergastolo. La parte civile fu rappresentata dagli avvocati Alfredo De Marsico e Michele Verzillo. Un anno dopo il verdetto venne parzialmente riformato grazie al fondamentale apporto di Giovanni Leone, che alternava la toga di principe del Foro alla casacca democristiana. Grazie alla sua competenza giuridica e alla sua arte oratoria, venne riconosciuto a Tafuri un parziale vizio di mente e la pena ridotta a ventidue anni. Dalla sua vicenda ho tratto il libro  “Il Caso Tafuri”.






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