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domenica 4 gennaio 2015

 Recensione di Francesca de Carolis*

 al libro  Recluse    Lo sguardo della differenza femminile sul carcere  
di Susanna Ronconi e Grazia Zuffa 
-EDIESSE-


Carcere. È nome che istintivamente evoca un universo maschile. Maschia è l’eco di voci e di volti che rimanda e a cui normalmente pensiamo. E poi ci sono le donne... Sono “talmente poche” rispetto al numero totale delle persone in carcere... il 4% dicono le statistiche. Appena qualche migliaio... A pensarci bene, nella percezione esterna al carcere sembrano quasi scomparire, se non, forse, quando le pensiamo madri, e quando pensiamo ai loro figli... È accaduto anche a me, che da qualche anno di carcere mi occupo, e me ne sono resa conto solo quando qualcuno mi ha chiesto se, nel mio interessarmi a prigioni e detenuti, avessi incontrato anche donne. E ho pensato, un po’ vergognandomene, alla conoscenza minima e quasi esclusivamente “letteraria” a cui mi sono fermata... che pure ricorda quanto complessa, e molteplice e altra, è l’altra “metà” dell’universo carcere.
“Recluse”, un interessante e densissimo libro appena uscito con l’editore Ediesse, è qui ora a ricordarcelo.
Curato da Susanna Ronconi e Grazia Zuffa (molto riassumendo, formatrice la prima, psicologa la seconda), prende spunto da una ricerca condotta nel 2013 nelle carceri di Firenze Sollicciano, Pisa ed Empoli, con interviste alle donne detenute, alle agenti di polizia penitenziaria, al personale educativo. Obiettivo dichiarato: contenimento della sofferenza, prevenzione dell’autolesionismo e del suicidio (che è atto estremo di sofferenza ma anche di insubordinazione, si sottolinea), promozione della salute.
E lo sguardo si allarga... passa attraverso la narrazione di vite, che non è solo narrazione di quello che è nel carcere, ma ricorda e si riporta anche al fuori, passato e futuro. Anche quando quest’ultimo a volte ha la luce instabile del miraggio.
Un lavoro complesso e che tocca mille aspetti della vita delle donne detenute, ricordandoci lo sguardo della differenza femminile. E un grande merito va riconosciuto: l’aver dato la parola a persone in genere più “rappresentate” che ascoltate, o sollecitate a “raccontarsi”. E la differenza è enorme. Perché in un luogo come la galera, dove sei senza voce e subito diventi nulla, riprendersi la parola, è la prima cosa da fare per riprendersi il resto.
Le voci sono tante, si intrecciano in racconti e sussulti. Tutte anonime, naturalmente, ma dietro le sigle e le parole è facile immaginare i volti che quelle parole suggeriscono... tutte insieme compongono l’istantanea di quella “danza immobile” che è il carcere. Ma nello sguardo della differenza femminile, le autrici del libro offrono gli elementi per individuare le linee di forza, le enormi potenzialità che possono far salva la vita.
Adesso sono diventata un mostro, l’assistente sociale ha chiesto l’affidamento... non sono innocente, ma i miei bambini li ho sempre curati. Sono sempre la persona che li accudiva...”
Mi volevano dare delle gocce per mettermi a dormire quando ho sbroccato, solo che grazie a dio ho avuto il potere di dire no...(...) Io un giocattolino nelle vostre mani non lo divento, perché la vita è ancora mia...”. “Io, venendo qui, tutto quello che vedevo nero, ho tirato fuori un arcobaleno...”. Donne...
Fra tanti pensieri, che il libro provoca, una piccola annotazione. Nella miseria della vita carceraria (perché il carcere è miseria, e violenza e negazione), la relazione fra donne emerge come “possibile motivo di stress, ma anche come eventuale fattore di protezione”. Una riflessione, questa, che riporta alla mente una frase del racconto dal carcere di Goliarda Sapienza ( ricordate? finì dentro, a Rebibbia, per un furto) che, narrando della sua breve esperienza in un mondo pur   spietato ed estremo, dice: “Lì non hai l'obbligo di vestirti, se non ti va non parli, non devi correre a prendere l'autobus. Quelle che ti conoscono sanno esattamente cosa vuoi. Quando sono uscita ho avuto la nettissima impressione di aver lasciato qualcosa di caldo, di sicuro".
Che riporto non certo per dire che “meglio il carcere”. Più ne conosco le storie, più mi convinco della sua atroce inutilità, ma come riconoscimento di quello sguardo della differenza come punto di partenza per costruire vie d’uscita. Che siano definitive.
Un libro, questo “Recluse” , che indica dunque “strategie di tenuta” della differenza femminile, nel solco di un impegno contro la sofferenza gratuita e aggiuntiva che nel carcere nasce dalla costante violazione dei diritti umani.
Per la cronaca, Recluse è uno dei volumi, il quinto, nato dalla collaborazione fra Ediesse e la Società della Ragione, che porta avanti un ammirevole impegno sul tema della giustizia, dei diritti e delle pene, “nell’orizzonte di un diritto penale minimo, proprio di una democrazia laica, alternativa allo Stato etico”. E, scusate se suona come ossimoro, Dio solo sa quanto, dei valori di democrazia laica, ci sia bisogno...

 * Francesca de Carolis, giornalista e scrittore  

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