Accadde il 16 settembre del 1956
ASSASSINATO A COLPI DI PISTOLA IL PROFESSORE FRANCESCO SCIALDONE DI
VITULAZIO - AGGREDITO PER VENDETTA
E SIMULATA UNA RAPINA
Nella lunga
dichiarazione fatta alla caserma del carabinieri di Vitulazio, la fidanzata del
professore ucciso, rivelò altri decisivi
particolari. Da varie sere, disse, gli assassini avevano organizzato il loro
piano e attendevano la vittima
Gli assassini del
professore furono arrestati mentre
assistevano al Quiz televisivo “Lascia o
Raddoppia” condotto di Mike Bongiorno,
in un bar di Grazzanise.
Erano due
balordi, poco inclini ad essere braccianti agricoli: Nicola Petrella, di 20
anni, residente a Grazzanise, e Giuseppe Gravante, di 17, da Castelvolturno
Emerse che, dopo
avere ucciso il professore - l’esecutore
materiale del crimine - diede al
complice cinquanta lire di ricompensa.
Siamo nel 1956,
in una fresca serata di quel settembre temperato, allorquando la
tranquilla e laboriosa comunità di Vitulazio, viene turbata da un grave delitto,
consumato in quella notte, sulle strada
fra Vitulazio e Capua, ove fu ucciso a rivoltellate il ventottenne prof. Francesco Scialdone, ordinario di
matematica e fisica presso il Liceo di Piedimonte d’Alife. Il giovane professore, eclettico e profondo
studioso (si era infatti, già all’epoca, dopo la laurea, iscritto alla facoltà
di ingegneria nucleare) era nato a
Vitulazio e quivi risiedeva, ritornava da Piedimonte d’Alife e in motocicletta
si stava recando dalla fidanzata, domiciliata ad Agnena, una frazione di
Vitulazio. Il fatto fu così ricostruito.
Il Prof. Scialdone, partiva da Piedimonte ( oggi Piedimonte
Matese ) alle ore 18 e da quel momento
non si aveva di lui più alcuna notizia, finché nella notte, colpito da
proiettili, giungeva, sulla motocicletta da lui stesso guidata, con uno sforzo
di volontà, dinanzi alla Clinica chirurgica “Villa Fiorita” di Capua ove
suonava il claxon e si abbatteva sanguinante sul manubrio del motomezzo.
Mentre i medici e gli infermieri lo
sollevavano e gli apprestavano i primi soccorsi d’urgenza, fra cui una
trasfusione di plasma, il giovane
insegnante raccontò le modalità della
sua aggressione e nel frattempo erano giunti presso il centro clinico i
fratelli Saverio e Mario ed il cugino omonimo Francesco Scialdone noto chirurgo.
Sia pure in modo frammentario il moribondo
narrò che mentre in motocicletta tornava da una visita alla sua fidanzata in un viottolo di Agnena, mentre ritornava
dalla casa della fidanzata dirigendosi alla sua abitazione, nel centro di
Vitulazio, aveva trovato la via sbarrata da due sconosciuti, il cui viso non si vedeva dato il buio. Essi, impugnando delle rivoltelle, lo
avevano costretto a fermarsi e lo avevano depredato dell’orologio e del
portafogli. Mentre ciò avveniva, improvvisamente era sopraggiunta un’auto.
Poichè aveva i fari accesi, il violento fascio di luce investiva in pieno i due
rapinatori. L’auto, però, nonostante che coloro che erano a bordo avessero visto quanto stava accadendo,
proseguiva, anzi aumentava la velocità e si disperdeva nel buio della notte. Ma
sarà poi una circostanza importante per gli inquirenti ai fini della
identificazione dei responsabili del cruento episodio.
Poi il professore accennava alla modalità
con cui era giunto alla clinica. Facendosi forza, nonostante lo strazio dei
colpi e il sangue che colava abbondante dalle ferite, il professore era
riuscito a compiere una trentina di
chilometri fino a Capua, fuori la
clinica, ove si era abbattuto
esausto. Trasportato all’alba da Capua a Napoli all’ospedale dei
“Pellegrini”, i chirurghi gli avevano
riscontrato tre ferite: la prima al
viso, la seconda al torace, la terza all’addome. Tutti e tre i proiettili avevano trapassato la parte,
causando lesioni al polmone e al fegato. Nonostante l’intervento, poco dopo
il professore era morto.
La Questura e il Comando del Gruppo carabinieri di
Caserta iniziarono, fin dalla notte,
febbrili indagini per la cattura dei criminali. Si accertò – quasi subito – che
la rapina era stata semplicemente una mascheratura del delitto, il cui vero
movente sarebbe, stata, invece la vendetta, pare causata da motivi di gelosia,
avendo tra l’altro il giovane professore una fidanzata assai avvenente, forse
la più bella donna dell’epoca nella zona.
I carabinieri avevano già identificato gli assassini tenendone come è
ovvio, segreti i nomi e le conseguenti
indagini avrebbero permesso di ricostruire il tragico agguato con
sufficiente precisione. Primo di quattro figli di un commerciante ( il padre
gestiva un mini supermercato) Francesco
Scialdone, aveva conseguito da anni laurea
e abilitazione, ma solo quell’anno aveva ottenuto la cattedra di matematica e fisica
nel Liceo di Piedimonte d’Alife e si era
recato dal preside di quell’istituto per la presentazione di rito.
Ma ritorniamo al racconto di oggi. La
sera dopo le 20, salutati gli ospiti il
professore si era avviato verso
Vitulazio, dove abitava. Ad un certo
punto si vide la via sbarrata da due giovani che lo aspettavano fermi presso la
loro motocicletta. I due, dopo avergli puntato contro le pistole, lo
costrinsero a scendere dal sellino e ad avviarsi verso il limite di un
sentiero, ingiungendogli di dare il portafogli e l’orologio. Sembra dalle
dichiarazioni poi fatte dal morente - che in quel momento sopravvenisse un’auto
e che il fascio dei fari centrasse la scena. Poi la macchina accelerò e sparì.
Allontanatasi l’auto, i due spararono sull’insegnante crivellandolo di colpi e
lasciandolo a terra in un mare di sangue.
Il prof. Scialdone ebbe la forza di
risalire sulla sua motoleggera e tentò l’inseguimento. Le abbondanti tracce di
sangue scoperte nel corso delle indagini
nella polvere dicono che egli fece un lungo giro. In un secondo tempo,
sentendosi venir meno le forze, il giovane rinunciò ad inseguire gli assassini
e si diresse verso Capua, alla clinica chirurgica Villa Fiorita. Quando arrivò
al cancello suonò il clacson. Gli infermieri lo trasportarono subito in sala
operatoria. Poiché il primo esame rivelò il suo stato, i medici si limitarono a
una immediata trasfusione. Data la gravità dell’intervento, essi pensarono di
condurlo subito a Napoli all’Ospedale degli Incurabili. E là, nei brevi momenti
in cui sembrò riprendere le forze, il professore narrò i fatti esprimendo i
suoi dubbi sul movente della rapina; poi la perdita della coscienza gli impedì
di proseguire.
Spirò, come detto, mentre lo operavano. I
tre proiettili che lo avevano colpito, sparati con una pistola calibro nove,
avevano forato un polmone e trapassato il fegato. Gli accertamenti dei carabinieri permisero,
inoltre, di stabilire che lo Scialdone
aveva ragione dubitando del movente del crimine. La rapina era stata un
pretesto con cui gli assassini avevano tentato di sviare le indagini. Essi
avevano persino lasciato sul luogo del delitto la cinghietta spezzata del
cronometro. L’unica causa invece - fu
accertato dalle solerti indagini della
Benemerita fu la vendetta.
Ed ecco l’antefatto che diede causa alla
vendetta. Circa un mese prima
dell’agguato il giovane professore
ritornando dalla festa di S. Filomena,
svoltasi a Bellona, aveva perduto
il controllo della guida precipitando in una cunetta in conseguenza di un’errata
manovra di una Fiat ”1100”, che lo aveva accecato con i fari. Da questo
incidente era nato sulla via un diverbio e, offeso da uno dei due che erano
nell’auto, egli aveva reagito schiaffeggiandolo.
Nelle zone dei Mazzoni, purtroppo, (Grazzanise
è tra i pascoli bradi del Casertano, zona nota da secoli per la sua sanguinosa
delinquenza) si dice che “lo schiaffo è
caparra di morte”. E così fu! Al che i due gli dissero che per quella sera
con tutto il traffico che c’era sulla “nazionale”
la partita era rinviata ma che essi al momento giusto l’avrebbero saldata. “E ricordati - aggiunsero - che siamo di Grazzanise”.
Nella lunga dichiarazione fatta alla
caserma del carabinieri di Vitulazio, la fidanzata del professore ucciso, rivelò altri decisivi particolari. Da varie
sere, disse, gli assassini avevano organizzato il loro piano e attendevano la
vittima. Per non sbagliare fermarono alcune persone in motoleggera con il
pretesto di chiedere a volte della benzina, a volte un ferro. Una sera si
imbatterono nel suo fidanzato ma il sopraggiungere di due auto gli fecero
rinviare il colpo. Fu allora che il professore le disse d’aver notato una
motocicletta dipinta in rosso e le dette anche il numero della targa. “Se mi accadesse qualcosa – disse - sai chi sono i responsabili”.
In base a questi precisi elementi, la
cattura degli assassini era ritenuta
imminente. Ed infatti nei giorni
successivi gli assassini del professore
furono arrestati mentre assistevano al
Quiz televisivo “Lascia o
Raddoppia” condotto di Mike
Bongiorno, in un bar di
Grazzanise. Erano due balordi, poco inclini ad essere braccianti agricoli: Nicola Petrella, di 20 anni, residente a Grazzanise, e Giuseppe Gravante, di 17, da
Castelvolturno. Entrambi furono rinchiusi nelle carceri di Santa Maria Capua
Vetere.
Secondo la confessione resa dal Gravante,
il giovane insegnante di matematica venne fermato dal Petrella che gli intimò,
pistola in pugno, di consegnare portafogli, orologio e stilografica. Il
professore obbedì. L’accordo tra i due banditi, però, era di non far fuoco per nessuna ragione; ma
il Petrella, improvvisamente, premette il grilletto e scaricò la rivoltella
sullo Scialdone che si accasciò in un mare di sangue. Inutilmente il Gravante
tentò d’impedire il crimine. “Tu giocavi
al calcio con lui - gli disse il Petrella -
Ti avev
a riconosciuto e certo ci
avrebbe denunciati”. Dopo il delitto i due andarono a cena insieme,
tranquilli. La sera successiva, come
detto, erano al bar, davanti alla televisione e non sospettavano che i
carabinieri fossero già sulle loro tracce.
La Corte di Assise del Tribunale di Napoli condannò Nicola Petrella (esecutore materiale
del delitto) all’ergastolo e a 17 Anni perché
minorenne Giuseppe Gravante.
L’incontro del
nostro cronista con il fratello della vittima Giannino Scialdone. Ancora
intatto il grande dolore e lo sgomento di quella brutale vendetta. L’assassino
aveva un grave precedente: aveva cercato di uccidere il padre sparando
attraverso una serratura. Grazzanise terra dei Mazzoni: “Lo schiaffo è caparra di morte“
Vitulazio. Ho incontrato Giannino Scialdone, primogenito di
quattro figli, fratello della vittima, che era il secondogenito, 78 anni, ex
dipendente Amministrativo del Comune di
Vitulazio (l’incontro è stato possibile grazie al tramite dell’ex Assessore Giovanni Martone), in un bar
del posto. Mi ha mostrato una copia del settimanale dell’epoca “Detective
Crimen”, che riportava, con
titoli a scatola: “Vento nero in Campania”, tre delitti della nostra Provincia.
Quello appunto dell’assassinio del prof. Scialdone, quello di una ragazza di
Villa Literno, che uccise il suo seduttore con del vetriolo e la vendetta di un
guardiano di Casal di Principe che aveva ucciso un concorrente.
Giannino mentre mi racconta del truce
delitto, del processo, dell’affetto di suo fratello per la bella fidanzata,
aveva i lucciconi agli occhi. Mi dice: “Era uno studioso ed aveva due obiettivi: lo
studio e la famiglia. Quel maledetto giorno verso l’una era giunto a bordo del
suo Motom in località Agnena, una zona
periferica del comune di Vitulazio e si trattenne nella fattoria “Piglialarmi”,
dove la fidanzata Maria Aurilio e i
familiari avevano organizzato una festicciola intima per solennizzare
l’avvenimento che avrebbe accelerato le nozze”.
La masseria Piglialarmi di Vitulazio, ha
purtroppo una nefasta fama. E’ il luogo, infatti, dove nel mese di agosto del 1952, da dietro un cespuglio della
tenuta, uscì un individuo che con un fucile da caccia, caricato a
pallettoni, uccise il Dr. Enrico Gallozzi, chirurgo,
61 anni, latifondista, nipote del Sen. Carlo Gallozzi (deputato del Regno d’Italia, insigne professore
universitario, che succedette al chirurgo Ferdinando
Palasciano; a lui sono intitolati una strada e una scuola nella sua città natale), da S. Maria C.V., giunto sul posto a bordo della sua auto, condotta dall’autista Vito Di Lillo, anche lui
sammaritano e il suo fattore Vincenzo
Montesano, di anni 52 da Grazzanise.
A sparare era stato il guardiano dell’azienda agricola Pasquale Raimondo, 49 anni da Grazzanise, per una storia di sesso,
intrighi e follia omicida.
Giannino Scialdone
riportandosi indietro con i ricordi mi ha narrato altre circostanze: Egli mi ha
detto che: “Fu fortunosa la circostanza
secondo la quale mio fratello era sfuggito
ad un agguato già un giorno precedente e
aveva presentato ai carabinieri regolare denuncia segnalando che due giovani in
motocicletta lo avevano atteso per strada; aveva annotato anche la targa era
siglata “CE” e ne aveva segnato i due numeri terminali, gli unici di cui fosse
sicuro. Probabilmente si trattava degli stessi coi quali era venuto a diverbio
un mese prima in seguito ad un incidente stradale; ne aveva anzi schiaffeggiato
uno, che riteneva responsabile di averlo fatto uscire di strada accecandolo col
faro della moto, e quello lo aveva minacciato: “Ricordati di noi, siamo di
Grazzanise. Ci rivedremo”.
Questi particolari agevolarono le
indagini. L’arresto, come si è detto, avvenne senza incidenti. I carabinieri
erano tuttavia scettici sul movente del crimine. Sembrava, accettabile invece
la tesi, condivisa da gran parte della popolazione, della vendetta che i due
giovani avrebbero puntualmente messo in atto come avevano minacciato. In casa
del Petrella, che il complice aveva
accusato di essere l’esecutore materiale del crimine, i
carabinieri rinvennero una
rivoltella calibro 9, dalla quale mancava un intero caricatore. Altri
sconcertanti particolari si appresero nel corso del lungo interrogatorio e nel
drammatico confronto del magistrato nel
carcere sammaritano. Emerse che, dopo avere ucciso il professore - l’esecutore materiale del crimine - diede al complice cinquanta lire di
ricompensa.
Si appurò inoltre, che Nicola
Petrella, il bovaro ventenne, aveva scaricato l’intero caricatore della sua rivoltella
contro l’insegnante di matematica -
anche se, messo alle strette, respingeva ogni addebito negando
addirittura di conoscere lo Scialdone.
Ma il suo giovane compagno fornì ai carabinieri tutti i particolari del
delitto. Il più giovane dei due assassini
raccontato infatti un particolare
patetico. Il professore non voleva dare
il portasigarette d’argento e la penna stilografica perché aveva asserito che
erano regali della sua fidanzata.
Circa le indagini svolte dai carabinieri
si apprese che furono seimila le moto la
cui targa fu esaminata per trovare quella usata dagli assassini la cui targa incominciava con “OS”, le sigle segnate
dalla vittima. Di esse diciotto erano del tipo Beta 125. Una sola, verniciata
in rosso, era stata venduta a Grazzanise, ed aveva la matricola “CE 1108”. Era quella, sequestrata, di
proprietà dell’omicida. Tratti a
giudizio per omicidio aggravato e rapina, la
Corte di Assise del Tribunale di Napoli, condannò Nicola
Petrella (esecutore materiale del delitto) all’ergastolo e a 17 anni
(perché minorenne) Giuseppe Gravante.
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