Il
fatto accadde a Genova nel 1976. Entrambi i personaggi sono di San Nicola la Strada
Condannato
per tentato omicidio a 19 anni di carcere fu assolto in Appello col dubbio.
Aveva
avuto un figlio con un’amante alla quale aveva promesso di sposarla dopo il
delitto. Madre e figlio si accusarono a vicenda.
La
donna – dopo aver sorbito un caffè avvelenato – rimase paralizzata e perdette
tutti i capelli.
L’accusa
sostenuta dal P.M. Mario Sossi il famoso magistrato che fu rapito dalle Brigate
rosse.
Topicida nel caffè. Lo bevve il mattino del 27
maggio del 1967, Antonietta Volante,
45 anni, di Nusco (Avellino), nella sua casa di Bolzaneto. “Ma com’è amaro oggi, questo caffè!”
disse alla suocera, Caterina Jacobelli, 74 anni, che glielo aveva preparato. Uscì di
casa per recarsi al lavoro - era
occupata come inserviente in uno stabilimento della zona - ma un’ora dopo si
accasciò rantolando al suolo, gli occhi fuori dallo orbite. Fu ricoverata all’ospedale
di Sampierdarena in fin di vita. I medici lottarono a lungo per salvarla:
quando fu dichiarata fuori pericolo, la donna era diventata completamente calva
ed aveva le gambe paralizzate; gli esami di laboratorio trovarono nel sangue
cospicue tracce di solfato di tallio,
un potente topicida allo stato liquido. C’è voluto quasi un anno per chiarire
l’episodio in tutti i suoi particolari.
L’istruttoria penale fu chiusa e
suocera e marito di Antonietta Volante
furono rinviati al giudizio della Corte
d’Assise per tentato omicidio, con le aggravanti della premeditazione e del
veneficio nonché del rapporto di parentela con la vittima.
Madre
e figlio, entrambi di S. Nicola La Strada, furono difesi dagli avvocati Antonino Juvara e Giovanni
Sacchetti del Foro di Genova. La
Jacobelli e il figlio, Francesco Maiello,
di anni 39, erano in carcere dal giugno del 1967 e si accusavano a vicenda. La
madre era esplicita: “Francesco aveva
deciso di sopprimere la propria moglie paralizzata alle gambe per poter
convivere con un'altra donna. E’ lui che
ha avvelenato Antonietta. Io volevo bene a mia nuora e non c’era ragione che le
facessi del male”. Replicava
Francesco Maiello: “Ritengo che Antonietta
sia stata avvelenata da mia madre. Le due donne non andavano d’accordo,
litigavano spesso fra loro. Di una cosa sono sicuro: che mia madre è capace di
fare del male. Ricordo che una volta, quando avevo 18 anni, ed abitavamo a S.
Nicola la Strada, in Provincia di Caserta, mio padre usci di casa dopo una furiosa lite
con lei. L’indomani lo trovarono morto in un campo. Dissero che s’era trattato
di assideramento ma io penso che il pover’uomo sia morto di crepacuore”. C’è,
infine, in questa storia un quarto personaggio che accusa madre e figlio. E’ Maria Dandin, 31 anni, amante di
Francesco Maiello da cui aveva avuto un
figlio. “Ero ricoverata all'Istituto
Gaslini - raccontò la donna - nei giorni
in cui Antonietta era in fin di vita all’ospedale di Sampierdarena. Francesco
venne a trovarmi e mi confidò che aveva fatto mettere da sua madre un topicida
nel caffè della moglie. “Se Antonietta
muore - disse - potremo sposarci e io
darò il mio nome al nostro bambino”.
Francesco
Maiello era separato legalmente dalla moglie fin dai 1966. Ciò era avvenuto
quando, dopo oltre 10 anni di matrimonio, l’uomo aveva conosciuto all’ospedale “San Martino” di Genova, dove entrambi erano ricoverati,
Maria Dandin. L’aveva corteggiata e convinta a cedergli con la promessa di sposarla.
Più tardi la verità: “Sono già
ammogliato, ma spero di ottenere l’annullamento”. C’era stata invece la
separazione legale e Maria Dandin, che intanto aveva dato alla luce un figlio,
era andata ad abitare presso l’amante. Un giorno, alla porta dell’appartamento
di Bolzaneto, si era presentata Antonietta Volante. “Vattene di qui, è casa mia -
aveva gridato - e lascia in pace mio marito”. Maria
Dandin se ne era andata e si era fatta ospitare, come madre nubile, nell’Istituto
Gaslini. Ed è proprio in quei giorni, secondo l’accusa, che scattò il piano per
uccidere Antonietta Volante.
Antonietta Volante, 45 anni, doveva veramente
morire per mano del marito e della suocera? Oppure i malanni sofferti dalla
donna, fino alla totale paralisi delle gambe e alla completa perdita dei
capelli, furono del tutto casuali, e quindi indipendenti dall’ingestione di un
topicida?. Questi i quesiti ai quali doveva rispondere la Corte d’Assise di
Genova che giudicava- ad ottobre del 1969 -
Francesco Maiello, 39 anni, e la
madre Caterina Jacobelli, 75 anni, imputati di concorso in tentato omicidio,
cori le aggravanti della premeditazione e del veneficio nonché del rapporto di
parentela con la vittima.
La donna si costituì parte civile contro il
marito e la suocera. Arrivò in Corte d’Assise
accompagnata da un infermiere. Camminava, con grande difficoltà, appoggiandosi
su due grosse stampelle. Non dimostrava la sua età: appariva molto vecchia. I
due imputati, quando la povera donna sollevò lo sguardo verso di loro, chinarono il capo. Il presidente lesse il risultato
della perizia psichiatrica alla quale Francesco Maiello era stato sottoposto. I
medici lo avevano ritenuto completamente
sano di mente.
II
Maiello e la Jacobelli furono arrestati a S. Nicola La Strada, dove si erano
trasferiti poco dopo il ricovero della Volante. Maria Dandin, rimasta sola e
senza mezzi, col bambino (Giovanni),
che le era nato nel frattempo e in attesa di un secondo figlio, scrisse alla
propria madre: “Francesco e sua mamma
sono stati arrestati per via della moglie. Sono in carcere e forse non
usciranno mai più. Ho perso la persona più cara e forse non lo vedrò mai più:
gli daranno l'ergastolo perché ha avvelenato la moglie”. “Quella donna mente – ribadì deciso il
Maiello - ha sempre mentito. E' scema; si vede”.
Infatti l'uomo, subito dopo il ricovero della
moglie all'ospedale per l'avvelenamento, si era trasferito al proprio paese di
origine. San Nicola La Strada (Caserta), con la madre e l'amante. Maria Dandin,
di 31 anni (proprio per sposare la Dandin, secondo l'accusa, il Maiello avrebbe
architettato il delitto). Poi, passato qualche mese, aveva deciso di tornare a
Genova: l'accusa sostiene che lo fece perché, informato erroneamente di una
guarigione della moglie (la donna invece è rimasta paralizzata), voleva
nuovamente tentare di sopprimerla. Il Maiello ha sempre affermato che intendeva
ritornare a Genova per trovare un lavoro, mancandone le occasioni al paese.
Ritornò
libero, dopo quattro anni di carcere, Francesco Maiello, assolto per insufficienza di prove dall’accusa di aver
cercato di avvelenare la moglie, facendole mettere dalla madre un potente
topicida nel caffè. Le prove raccolte contro di lui dai carabinieri (valido
movente, confidenza all’amante, accuse) non furono sufficienti per una severa
condanna. Mancò, per i giudici popolari, la prova regina: la conferma
scientifica che Maiello cercò di uccidere. Un’ora dopo la sentenza, il Maiello
lasciò il carcere, dove, era rinchiuso
dall'estate del 1968. Una vicenda
giudiziaria sconcertante sotto molti
aspetti, si è conclusa e probabilmente, la pubblica accusa non dovrebbe ricorrere in Cassazione. Tutti
sgomenti si domandavano: ”Ma il destino di un uomo può essere legato ad un filo
così sottile, affidato soltanto al libero convincimento dei magistrati? Se in
corte d’assise era stato condannato a sedici anni come poteva, in appello,
risultare innocente – con le stesse prove? Francesco Maiello era
accusato di un grave delitto del tentativo di uxoricidio, con l'aiuto della
madre, Caterina Jacobelli. Un fatto è certo sua moglie, Antonietta Volante,
oggi di quarantotto anni, fu ricoverata all’ospedale di Genova Sampierdarena il
27 maggio 1968, in fin di vita. Lottò con la morte per alcune settimane, si
salvò, ma rimase calva e paralizzata alle gambe. I medici pensarono subito a un
avvelenamento da solfato di tallio, un potente topicida e l’ipotesi sembrò
confermata dalla donna. Essa affermò che più volte aveva sentito uno strano
gusto di petrolio nelle pietanze che la suocera le preparava. Mentre Antonietta
Volante agonizzava all’ospedale, il marito, la madre, l’amante e il bimbo che
costei gli aveva dato avevano lasciato Genova, trasferendosi al paese d’origine
di Maiello, San Nicola La Strada (Caserta). Qui l’uomo e la madre furono arrestati
da carabinieri, Indizi ce n’erano: proprio
la Dandin confermò i sospetti degli investigatori, affermando che il
Maiello, una sera, a letto, le aveva confidato di aver fatto avvelenare la
moglie, per essere libero di sposarla. Gli stessi imputati rafforzarono quei
sospetti, accusandosi a vicenda. Ma in conclusione, come spesso si afferma nei tribunali: “Meglio
un colpevole libero che un innocente nel carcere”.
L’accusa
sostenuta dal P.M. Mario Sossi (il famoso magistrato che fu rapito dalle
Brigate rosse il 18 aprile 1974 ) aveva
chiesto 20 anni per il figlio e 11 per la madre.
La
condanna per tentato omicidio fu a 19
anni di carcere. In Appello assolto col dubbio.
Il pubblico ministero dottor Mario Sossi ( una delle vittime del
terrorismo che ha insanguinato lo Stivale tra la fine degli anni Sessanta e i
primi anni Ottanta. Il magistrato, fu
rapito il 18 aprile 1974 dalle Brigate Rosse, venendo rilasciato il 23 maggio,
dopo 35 giorni di prigionia, a Milano. Il rapimento segna l’inizio della
strategia del terrore messa in atto dal gruppo terroristico di estrema sinistra
e anticipata con il sequestro di Aldo
Moro, terminato con la tragica morte del politico) nel corso della sua
requisitoria chiese 19 anni e mezzo di
reclusione per Francesco Maiello, e 12 anni per sua madre. Secondo il dott.
Sossi la suocera, istigata dal figlio, che voleva sposare un’altra donna, le ha
propinato potenti dosi di solfato di tallio, un micidiale topicida,
versandoglielo nel caffè. La Volante si è salvata perché la suocera, sempre
secondo il dr. Sossi – avrebbe sbagliato la dose. “Antonietta
Volante e Maria Dandin: due donne che, prima amate, poi tradite dal Maiello,
finalmente trovarono la forza – disse
ancora il Dr. Sossi - di sottrarsi al pesante giogo di quest’uomo,
che le ha tenute a lungo in soggezione, e sono venute qui, in aula, ad accusare
entrambi gli imputati”.
Antonietta Volante, 45 anni,
doveva veramente morire per mano del marito e della suocera? Oppure i malanni
sofferti dalla donna, fino alla totale paralisi delle gambe e alla completa
perdita dei capelli, furono del tutto casuali, e quindi indipendenti dall’ingestione
di un topicida?. Questi i quesiti ai quali doveva rispondere la Corte d’Assise
di Genova che giudicava- ad ottobre del 1969 -
Francesco Maiello, 39 anni, e la madre Caterina Jacobelli, 75 anni,
imputati di concorso in tentato omicidio, con le aggravanti della
premeditazione e del veneficio nonché del rapporto di parentela con la vittima.
Difensori dei due imputati, entrambi detenuti, sono stati gli avvocati Antonio Juvara e Giovanni
Sacchetti. Processo squisitamente indiziario, tenuto conto del fatto che la
perizia tossicologica non ha trovato tracce di veleno nell’organismo della
donna. V’è da dire però che i periti, intervenuti soltanto a distanza di tempo,
hanno ravvisato nei malanni di Antonietta Volante la “sintomatologia tipica
dell’avvelenamento da tallio”, che è componente d’un topicida. Il topicida, o
presunto tale, la donna lo bevve nel caffè il mattino del 27 maggio. Ed infatti la Corte di Assise condannò a 16
anni e venti giorni dì carcere, e assoluzione con formula dubitativa per la
madre: questa la sentenza emessa a
conclusione del processo. In appello,
però, le cose vennero capovolte. Nonostante una super perizia, ordinata dai
giudici di secondo grado, il risultato lascia intatto il mistero. I “diabolici del topicida nel caffè” se la cavarono.
La “superperizia” era stata ordinata dal presidente dell’assise d’appello,
dott. Goffredo Russo, proprio per
risolvere scientificamente “il giallo”.
Ma nell'organismo della Volante neppure la prima perizia, compiuta ad alcuni
mesi dal mancato delitto, riuscì a trovare tracce di veleno. Sono i sintomi
- hanno detto i periti - che rasentano le
caratteristiche tipiche dell’avvelenamento da solfato di tallio, componente del micidiale topicida. Impugnata la
sentenza dal P. M., il processo d’appello aveva avuto inizio ai primi del
novembre del 1970; Il procuratore generale Ferdinando
De Matteis aveva chiesto la condanna del Maiello a 20 anni di carcere e
della madre a 11. Ma la corte aveva rinviato il processo a nuovo ruolo
ordinando una superperizia affinché fosse accertata, senz’ombra di dubbio, la
causa dell’avvelenamento di Antonietta Volante. La perizia, però, non ha
dissipato i dubbi. Gli esperti si sono detti incapaci di affermare con
categorica certezza che la donna sia stata davvero avvelenata: “Non lo possiamo però neppure escludere”.
Tornò
libero, dopo quattro anni di carcere, Francesco Maiello, assolto per insufficienza di prove dall’accusa di aver
cercato di avvelenare la moglie.
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