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domenica 22 febbraio 2015

Il fatto accadde a Genova nel 1976. Entrambi i personaggi sono  di San Nicola la Strada
FRANCESCO MAIELLO CON LA COMPLICITA’ DELLA MADRE TENTO’ DI UCCIDERE LA MOGLIE CON UN VELENO


Condannato per tentato omicidio a 19 anni di carcere fu assolto in Appello col dubbio.

Aveva avuto un figlio con un’amante alla quale aveva promesso di sposarla dopo il delitto. Madre e figlio si accusarono a vicenda. 

La donna – dopo aver sorbito un caffè avvelenato – rimase paralizzata e perdette tutti i capelli.

L’accusa sostenuta dal P.M. Mario Sossi il famoso magistrato che fu rapito dalle Brigate rosse.



  Topicida nel caffè. Lo bevve il mattino del 27 maggio del 1967, Antonietta Volante, 45 anni, di Nusco (Avellino), nella sua casa di Bolzaneto. “Ma com’è amaro oggi, questo caffè!” disse alla suocera,  Caterina Jacobelli, 74 anni, che glielo aveva preparato. Uscì di casa per recarsi al lavoro -  era occupata come inserviente in uno stabilimento della zona - ma un’ora dopo si accasciò rantolando al suolo, gli occhi fuori dallo orbite. Fu ricoverata all’ospedale di Sampierdarena in fin di vita. I medici lottarono a lungo per salvarla: quando fu dichiarata fuori pericolo, la donna era diventata completamente calva ed aveva le gambe paralizzate; gli esami di laboratorio trovarono nel sangue cospicue tracce di solfato di tallio, un potente topicida allo stato liquido. C’è voluto quasi un anno per chiarire l’episodio in tutti i suoi particolari.  L’istruttoria penale fu  chiusa e suocera e marito di  Antonietta Volante furono  rinviati al giudizio della Corte d’Assise per tentato omicidio, con le aggravanti della premeditazione e del veneficio nonché del rapporto di parentela con la vittima.

Madre e figlio, entrambi di S. Nicola La Strada, furono  difesi dagli avvocati Antonino Juvara e Giovanni Sacchetti del Foro di Genova.  La Jacobelli e il figlio, Francesco Maiello, di anni 39, erano in carcere dal giugno del 1967 e si accusavano a vicenda. La madre era esplicita: “Francesco aveva deciso di sopprimere la propria moglie paralizzata alle gambe per poter convivere con un'altra donna.  E’ lui che ha avvelenato Antonietta. Io volevo bene a mia nuora e non c’era ragione che le facessi del male”. Replicava  Francesco Maiello: “Ritengo che Antonietta sia stata avvelenata da mia madre. Le due donne non andavano d’accordo, litigavano spesso fra loro. Di una cosa sono sicuro: che mia madre è capace di fare del male. Ricordo che una volta, quando avevo 18 anni, ed abitavamo a S. Nicola la Strada, in Provincia di Caserta,  mio padre usci di casa dopo una furiosa lite con lei. L’indomani lo trovarono morto in un campo. Dissero che s’era trattato di assideramento ma io penso che il pover’uomo sia morto di crepacuore”. C’è, infine, in questa storia un quarto personaggio che accusa madre e figlio. E’ Maria Dandin, 31 anni, amante di Francesco Maiello da cui aveva  avuto un figlio. “Ero ricoverata all'Istituto Gaslini - raccontò  la donna - nei giorni in cui Antonietta era in fin di vita all’ospedale di Sampierdarena. Francesco venne a trovarmi e mi confidò che aveva fatto mettere da sua madre un topicida nel caffè della moglie.  “Se Antonietta muore - disse -  potremo sposarci e io darò il mio nome al nostro bambino”.

Francesco Maiello era separato legalmente dalla moglie fin dai 1966. Ciò era avvenuto quando, dopo oltre 10 anni di matrimonio, l’uomo aveva conosciuto all’ospedale  “San Martino”  di Genova, dove entrambi erano ricoverati, Maria Dandin. L’aveva corteggiata e convinta a cedergli con la promessa di sposarla. Più tardi la verità: “Sono già ammogliato, ma spero di ottenere l’annullamento”. C’era stata invece la separazione legale e Maria Dandin, che intanto aveva dato alla luce un figlio, era andata ad abitare presso l’amante. Un giorno, alla porta dell’appartamento di Bolzaneto, si era presentata Antonietta Volante. “Vattene di qui, è casa mia -  aveva gridato -  e lascia in pace mio marito”. Maria Dandin se ne era andata e si era fatta ospitare, come madre nubile, nell’Istituto Gaslini. Ed è proprio in quei giorni, secondo l’accusa, che scattò il piano per uccidere Antonietta Volante.
 Antonietta Volante, 45 anni, doveva veramente morire per mano del marito e della suocera? Oppure i malanni sofferti dalla donna, fino alla totale paralisi delle gambe e alla completa perdita dei capelli, furono del tutto casuali, e quindi indipendenti dall’ingestione di un topicida?. Questi i quesiti ai quali doveva rispondere la Corte d’Assise di Genova che giudicava- ad ottobre del 1969 -   Francesco Maiello, 39 anni, e la madre Caterina Jacobelli, 75 anni, imputati di concorso in tentato omicidio, cori le aggravanti della premeditazione e del veneficio nonché del rapporto di parentela con la vittima.

 La donna si costituì parte civile contro il marito e la suocera. Arrivò  in Corte d’Assise accompagnata da un infermiere. Camminava, con grande difficoltà, appoggiandosi su due grosse stampelle. Non dimostrava la sua età: appariva molto vecchia. I due imputati, quando la povera donna sollevò lo sguardo verso di loro,  chinarono  il capo. Il presidente lesse il risultato della perizia psichiatrica alla quale Francesco Maiello era stato sottoposto. I medici lo avevano  ritenuto completamente sano di mente.


  II Maiello e la Jacobelli furono arrestati a S. Nicola La Strada, dove si erano trasferiti poco dopo il ricovero della Volante. Maria Dandin, rimasta sola e senza mezzi, col bambino (Giovanni), che le era nato nel frattempo e in attesa di un secondo figlio, scrisse alla propria madre: “Francesco e sua mamma sono stati arrestati per via della moglie. Sono in carcere e forse non usciranno mai più. Ho perso la persona più cara e forse non lo vedrò mai più: gli daranno l'ergastolo perché ha avvelenato la moglie”.   “Quella donna mente – ribadì deciso il Maiello -  ha sempre mentito. E' scema; si vede”.  
  
 Infatti l'uomo, subito dopo il ricovero della moglie all'ospedale per l'avvelenamento, si era trasferito al proprio paese di origine. San Nicola La Strada (Caserta), con la madre e l'amante. Maria Dandin, di 31 anni (proprio per sposare la Dandin, secondo l'accusa, il Maiello avrebbe architettato il delitto). Poi, passato qualche mese, aveva deciso di tornare a Genova: l'accusa sostiene che lo fece perché, informato erroneamente di una guarigione della moglie (la donna invece è rimasta paralizzata), voleva nuovamente tentare di sopprimerla. Il Maiello ha sempre affermato che intendeva ritornare a Genova per trovare un lavoro, mancandone le occasioni al paese.

Ritornò libero, dopo quattro anni di carcere, Francesco Maiello, assolto  per insufficienza di prove dall’accusa di aver cercato di avvelenare la moglie, facendole mettere dalla madre un potente topicida nel caffè. Le prove raccolte contro di lui dai carabinieri (valido movente, confidenza all’amante, accuse) non furono sufficienti per una severa condanna. Mancò, per i giudici popolari, la prova regina: la conferma scientifica che Maiello cercò di uccidere. Un’ora dopo la sentenza, il Maiello lasciò  il carcere, dove, era rinchiuso dall'estate del 1968. Una  vicenda giudiziaria  sconcertante sotto molti aspetti, si è conclusa e probabilmente, la pubblica accusa non  dovrebbe ricorrere in Cassazione. Tutti sgomenti si domandavano: ”Ma il destino di un uomo può essere legato ad un filo così sottile, affidato soltanto al libero convincimento dei magistrati? Se in corte d’assise era stato condannato a sedici anni come poteva,  in appello,  risultare innocente – con le stesse prove? Francesco Maiello era accusato di un grave delitto del tentativo di uxoricidio, con l'aiuto della madre, Caterina Jacobelli. Un fatto è certo sua moglie, Antonietta Volante, oggi di quarantotto anni, fu ricoverata all’ospedale di Genova Sampierdarena il 27 maggio 1968, in fin di vita. Lottò con la morte per alcune settimane, si salvò, ma rimase calva e paralizzata alle gambe. I medici pensarono subito a un avvelenamento da solfato di tallio, un potente topicida e l’ipotesi sembrò confermata dalla donna. Essa affermò che più volte aveva sentito uno strano gusto di petrolio nelle pietanze che la suocera le preparava. Mentre Antonietta Volante agonizzava all’ospedale, il marito, la madre, l’amante e il bimbo che costei gli aveva dato avevano lasciato Genova, trasferendosi al paese d’origine di Maiello, San Nicola La Strada (Caserta). Qui l’uomo e la madre furono arrestati da carabinieri, Indizi ce n’erano: proprio  la Dandin confermò i sospetti degli investigatori, affermando che il Maiello, una sera, a letto, le aveva confidato di aver fatto avvelenare la moglie, per essere libero di sposarla. Gli stessi imputati rafforzarono quei sospetti, accusandosi a vicenda. Ma in conclusione,  come spesso si afferma nei tribunali: “Meglio un colpevole libero che un innocente nel carcere”.  

L’accusa sostenuta dal P.M. Mario Sossi (il famoso magistrato che fu rapito dalle Brigate rosse il 18 aprile 1974 ) aveva  chiesto 20 anni per il figlio e 11 per la madre.
La condanna per tentato omicidio  fu a 19 anni di carcere. In  Appello assolto col dubbio.
Il pubblico ministero dottor Mario Sossi ( una delle vittime del terrorismo che ha insanguinato lo Stivale tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta. Il  magistrato, fu rapito il 18 aprile 1974 dalle Brigate Rosse, venendo rilasciato il 23 maggio, dopo 35 giorni di prigionia, a Milano. Il rapimento segna l’inizio della strategia del terrore messa in atto dal gruppo terroristico di estrema sinistra e anticipata con  il sequestro di Aldo Moro, terminato con la tragica morte del politico) nel corso della sua requisitoria chiese  19 anni e mezzo di reclusione per Francesco Maiello, e 12 anni per sua madre. Secondo il dott. Sossi la suocera, istigata dal figlio, che voleva sposare un’altra donna, le ha propinato potenti dosi di solfato di tallio, un micidiale topicida, versandoglielo nel caffè. La Volante si è salvata perché la suocera, sempre secondo il dr. Sossi – avrebbe sbagliato la dose.  “Antonietta Volante e Maria Dandin: due donne che, prima amate, poi tradite dal Maiello, finalmente trovarono  la forza – disse ancora il Dr. Sossi -  di sottrarsi al pesante giogo di quest’uomo, che le ha tenute a lungo in soggezione, e sono venute qui, in aula, ad accusare entrambi gli imputati”. 


Antonietta Volante, 45 anni, doveva veramente morire per mano del marito e della suocera? Oppure i malanni sofferti dalla donna, fino alla totale paralisi delle gambe e alla completa perdita dei capelli, furono del tutto casuali, e quindi indipendenti dall’ingestione di un topicida?. Questi i quesiti ai quali doveva rispondere la Corte d’Assise di Genova che giudicava- ad ottobre del 1969 -   Francesco Maiello, 39 anni, e la madre Caterina Jacobelli, 75 anni, imputati di concorso in tentato omicidio, con le aggravanti della premeditazione e del veneficio nonché del rapporto di parentela con la vittima. Difensori dei due imputati, entrambi detenuti, sono stati  gli avvocati Antonio Juvara e Giovanni Sacchetti. Processo squisitamente indiziario, tenuto conto del fatto che la perizia tossicologica non ha trovato tracce di veleno nell’organismo della donna. V’è da dire però che i periti, intervenuti soltanto a distanza di tempo, hanno ravvisato nei malanni di Antonietta Volante la “sintomatologia tipica dell’avvelenamento da tallio”, che è componente d’un topicida. Il topicida, o presunto tale, la donna lo bevve nel caffè il mattino del 27 maggio.  Ed infatti la Corte di Assise condannò a 16 anni e venti giorni dì carcere, e assoluzione con formula dubitativa per la madre: questa la sentenza emessa  a conclusione del processo.  In appello, però, le cose vennero capovolte. Nonostante una super perizia, ordinata dai giudici di secondo grado, il risultato lascia intatto il mistero.  I “diabolici del topicida nel caffè” se la cavarono. La “superperizia” era stata ordinata dal presidente dell’assise d’appello, dott. Goffredo Russo, proprio per risolvere scientificamente “il giallo”. Ma nell'organismo della Volante neppure la prima perizia, compiuta ad alcuni mesi dal mancato delitto, riuscì a trovare tracce di veleno. Sono i sintomi -  hanno detto i periti - che rasentano le caratteristiche tipiche dell’avvelenamento da solfato di tallio, componente del micidiale topicida. Impugnata la sentenza dal P. M., il processo d’appello aveva avuto inizio ai primi del novembre del 1970; Il procuratore generale Ferdinando De Matteis aveva chiesto la condanna del Maiello a 20 anni di carcere e della madre a 11. Ma la corte aveva rinviato il processo a nuovo ruolo ordinando una superperizia affinché fosse accertata, senz’ombra di dubbio, la causa dell’avvelenamento di Antonietta Volante. La perizia, però, non ha dissipato i dubbi. Gli esperti si sono detti incapaci di affermare con categorica certezza che la donna sia stata davvero avvelenata: “Non lo possiamo però neppure escludere”.   Tornò libero, dopo quattro anni di carcere, Francesco Maiello, assolto  per insufficienza di prove dall’accusa di aver cercato di avvelenare la moglie. 







  

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