GELOSIA FOLLE: ELIMINO’
IL RIVALE IN AMORE UCCISE IL GIOVANE CHE LA RAGAZZA AVEVA SCELTO AL SUO POSTO
Accadde a S. Marcellino
il 29 gennaio del 1947
Nicola Melodia spasimante della bella ragazza fornì l’arma del delitto. Il vile agguato
sorprese la vittima in compagnia del futuro cognato, Mario De Chiara. Il Tonziello puntò il fucile sparando tutti i
due i colpi di cui esso era carico a brevissima distanza, da vigliacco, alle
spalle.
San
Marcellino - Il 29 gennaio del
1947, verso le ore 20, di ritorno dal lavoro prestato a Giugliano, Michele
Bamundo ritornava a San Marcellino,
allorquando, nel vicolo Macello
all’imbocco del paese veniva raggiunto da due colpi di fucile che
qualche minuto dopo ne cagionavano la morte senza che egli avesse potuto
rendere alcuna dichiarazione. Mario De Chiara, fratello della sua
fidanzata, che al momento del delitto
era in sua compagnia, riferì che, per la
oscurità non aveva potuto distinguere l’autore degli spari, fusi peraltro in
una sola detonazione. Dalle immediate indagini espletate dai carabinieri si potè
accertare che il giovane Salvatore Tonziello, anche lui di San
Marcellino, era rivale in amore dell’ucciso in quanto
anch’egli aspirava alla mano della giovane con la quale il Bamundo si era
fidanzato e che solo qualche giorno prima aveva minacciato costui. Il carabinieri fermarono Salvatore Tonziello
il quale dapprima si protestò innocente ma poi col confessarsi autore
dell’omicidio spiegando di essere stato istigato dal suo amico Nicola Melodia il quale non solo gli
aveva fornito il fucile necessario per commettere il delitto ma lo aveva anche
accompagnato sul luogo prescelto per l’agguato e lo aveva avvertito del
sopraggiungere della vittima in
compagnia futuro cognato. Fermato anche
il Melodia prima sosteneva di nulla sapere poi finì con l’ammettere l’addebito.
I carabinieri, tratti in arre4sto entrambi li denunciarono all’A.G. per
omicidio volontario premeditato
aggravato dal motivo futile e abietto.
La ritrattazione delle
confessioni per le presunte sevizie degli investigatori
Il perito settore, incaricato
dal magistrato inquirente di redigere una perizia sul cadavere della
vittima rilevava, tra l’altro,
che sul dorso del cadavere la
rosa dei pallini di calibro 12 si estendeva dalla regione scapolare alle
natiche e che in tale zona furono rilevati ben 60 forami raggruppasti per la
maggior parte nella metà sinistra e ciò perché – come fu accertato dai
carabinieri - il Bamundo portava sulla parte destra una cassetta di legno
ritrovata anch’essa forata dai pallini. Sentiti però dal magistrato inquirente i due ritrattarono
entrambi la precedente confessione
sostenendo che essa era stata estorta dai carabinieri mediante ripetute e gravi
violenze. Tuttavia, chiusa formale istruttoria entrambi furono deferiti alla
Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, per rispondere di omicidio premedito
aggravato. Nella sentenza di rinvio la Sezione Istruttoria aveva ricostruito –
con dovizia di particolari – tutti i punti oscuri dell’orrido delitto. I due
compari – come li chiameranno poi i giudici della Corte di Assise di Appello –
incontratisi in via Macello – alla periferia del paese - si appartarono dietro un grosso albero di
noce e quando l’ignaro Bamundo, reduce dal lavoro, passò in compagnia del
futuro cognato, Mario De Chiara il
Tonziello puntò il fucile sparando tutti i due i colpi di cui esso era carico a
brevissima distanza, da vigliacco, alle spalle del suo rivale che ne rimase
quasi fulminato. Morì, infatti, solo qualche attimo dopo. Degno di nota –
annotarono i magistrati della Sezione Istruttoria – il fatto che le
dichiarazioni del Tonziello trovarono integrale conferma nella confessione del
correo fatta subito dopo il delitto. Attraverso quindi codesta esplicita e
circostanziata confessione avvalorata da tutte le altre risultanze processuali – si ha la prova precisa ed indiscutibile che il Tonziello, pervaso da
odio implacabile verso il Bamundo – maturò nell’animo suo il fermo proposito di uccidere ed in tale
proposito persistette per lungo tempo fino a quando cioè non eliminò il
fastidioso rivale, nella segreta speranza forse, che eliminato il rivale sarebbe
riuscito ad indurre la fanciulla amata a corrispondere il suo amore.
Dove lo schiaffo è caparra di
morte
L’assassino aveva sì, fatto la
proposta di matrimonio alla Giovanna De
Chiara – l’avvenente 17enne che i giovane del paese si contendevano anche con duelli rusticani – ma la stessa lo
aveva respinto. Infatti si appurò che dopo il fidanzamento ufficiale il
Tonziello aveva aggredito il Bamundo minacciandolo di morte: “Se non lasci quella donna sei un uomo
morto”, gli aveva detto. Ma Michele
Bamundo si era difeso e lo aveva schiaffeggiato pubblicamente. Doppio sfregio.
Allora devi morire. In quelle zone dell’agro aversano – forse ancora oggi – lo
schiaffo è caparra di morte. Minuziosa e puntigliosa fu l’indagine dei
rappresentante della Fedelissima, in particolare del mar. Filomeno
Di Terlizzi, del brig. Lazzaro
Napolitano e della guardia giurata Francesco
Dongiacomo, (che aveva collaborato
con i carabinieri) unitamente al Dr. Paolo
Griffo, medico condotto di Trentola che occorso sul luogo del delitto,
nonostante ogni cura non aveva potuto salvare il povero giovane, (colpevole solo di amare una bella
ragazza) fulminato dalla scarica di
pallettoni. Terminata la giornata lavorativa, presso il feudo “Madonna del Pianto”, in agro di
Giugliano, intenti a potare viti, in
qualità di operaio giornaliero alle dipendenze di Nicola Valente da Trentola, si avviarono per fare ritorno in
famiglia. Arrivati a Trentola con il carretto dei fratelli Luigi e Umberto Valente,
scesi si avviarono a piedi, uniti, lungo
un sentiero di campagna che da
Trentola porta a San Marcellino. Sul
posto, dopo gli spari, accorsero Salvatore Abategiovanni e
Giuseppe Picone e Vincenzo D’Aniello
di San Marcellino che avevano udito le grida “Madonna…Madonna”.
Le minacce di lasciare la
ragazza altrimenti la morte
Quest’ultimo in particolare,
compagno della vittima e dell’assassino rese una dichiarazione incartata dai giudici: “Posso affermare – disse – che tra i due giovani non correvano buoni
rapporti di amicizia pur essendo compagni però si trattavano freddamente.
Poiché gli stessi – quattro anni prima – chiesero di fidanzarsi contemporaneamente con la stessa
ragazza Giovanna De Chiara. Costei rifiutò il Tonziello accettando la proposta del Bomundo. A seguito
di ciò il Tonziello si ingelosì ed un giorno di sera mentre passeggiavamo
fecero accese discussioni sul fidanzamento. Ricordo che Tonziello disse al
Bamundo: “ Come ti sei permesso di mandare anche tu l’imbasciata a Giovannina,
quando sapevi che c’ero io?”. E Bamundo di rimando: “ A te ti ha rifiutato ed
io ci sono rimasto”. A tale risposta il Bamundo prese per il petto il Tonziello
e gli assestò uno schiaffo. Dopo tale fatto si riappacificarono ma era una pace
di facciata. Così per 4 anni. Poi la tragedia. Ad una precisa domanda sui rapporti dei due
fidanzati il D’Aniello precisò: “ Il
Bamundo e la De Chiara facevano l’amore all’insaputa dei rispettivi genitori. Circa
20 giorni or sono – mi risulta che il Tonziello approfittando di una divergenza
sorta tra le famiglie della De Chiara con quella del Bamundo – in seguito
all’avvenuto matrimonio di un fratello del Bamundo con una sorella della De
Chiara chiese nuovamente alla signorina Giovannina De Chiara – o meglio alla di
lei madre – a mezzo di sua madre di volersi fidanzare con la stessa. Ebbe risposta
negativa e cioè gli fu detto dalla madre della ragazza che per costei era stata data parola a Michele”. Dopo
pochi giorni le suddette famiglie si riappacificarono e festeggiarono il
fidanzamento ufficiale tra il giovane Michele Bamundo e la signorina Giovannina
De Chiara. Cosa questa che valse a rafforzare maggiormente la gelosia del
Tonziello. La mamma della vittima – Nicolina
Cangiano, opportunamente interrogata – indicava il Tonziello quale autore
del delitto conoscendo i precedenti per il fidanzamento della figlia. Raccontò
che il figlio Michele, qualche mese prima del delitto manifestò il
desiderio di volersi fidanzare ufficialmente con la ragazza Giovanna De Chiara
con la quale amoreggiava nascostamente da circa 4 anni. Lei chiese al figlio
del perché di tanta fretta – dovendo egli fare ancora il soldato. Il figlio le
rispose di non voler temporeggiare siccome con la stessa ragazza cercava di
fidanzarsi il Tonziello. La Cangiano considerando il motivo addotto dal figlio
prese accordo con il marito ed uniti si portarono dalla madre della ragazza e
così ne avvenne il fidanzamento ufficiale tra i due giovani Michele Bamundo e
Giovanna De Chiara. In seguito a ciò il Tonziello rimase male tanto che dopo
qualche giorno dal fidanzamento avvicinò
suo figlio avvertendolo che se non
avesse lasciato la ragazza l’avrebbe ammazzato. Ciò la donna l’aveva
appreso da suo figlio.
Faccio l’amore da quattro anni
e non la lascio
La Cangiano, venuta a
conoscenza di tale minaccia, disse al figlio di lasciare libera la fidanzata
onde evitare guai in famiglia conoscendo bene la capacità del Tonziello, ma il
figlio disse: ”Faccio l’amore da quattro
anni e non la lascio”. Quindi – concluse la donna – ha continuato ad
amoreggiare. Dal canto suo l’ignara protagonista del delitto la diciannovenne
Giovanna dichiarò che lei era stata sempre contraria alle richieste di
fidanzamento del Tonziello ma di aver preferito Michele Bamundo col quale si
era poi di recente fidanzata ufficialmente aggiungendo di aver appreso da
quest’ultimo subito dopo il loro fidanzamento
che il Tonziello aveva impedito al Bamundo di continuare ad essere
fidanzato con lei minacciandolo di morte perché pretesa di lui. La ragazza
nell’apprendere ciò dal fidanzato rispose allo stesso di non dar retta a
quell’individuo perchè “non lo aveva mai pensato”. Tonziello –
che continuava negare – messo a confronto
con le accuse della madre della vittima e della fidanzata si difese
dicendo che erano tutte menzogne. I carabinieri accertarono che i due “compari”
erano andati al dopolavoro prima e dopo il delitto. Poi la confessione, la
chiamata di correità, il prestito dell’arma del delitto. Stessa scena per
Melodia. Non conosco i fatti. Poi la confessione. “Sentite- rivolto ai carabinieri – è stato quel fesso (riferito alla confessione del Tonziello) che ha dichiarato tutto il fatto ma io non
l’avrei mai detto, anche a costo della vita…pezzo di cretino che non è altro…adesso
stiamo freschi a sbrogliare questo imbroglio”. Un imbroglio che è durato 25
anni.
.
Nicola Melodia,
accusato di concorso in omicidio, veniva condannato ad anni 24 di reclusione.
Per Salvatore Tonziello dopo essere
stato internato in manicomio - la condanna fu della stessa entità.
La Corte di Assise di Santa
Maria Capua Vetere, (Presidente Giovanni
Morfino, a latere giudice Luigi
D’Avanzo, pubblico ministero Nicola
Damiano) giudicò per omicidio
volontario, Salvatore Tonziello, di anni 21 da San Marcellino, in danno di Michele Bamundo, di anni 20,
dello stesso suo paese per il delitto avvenuto nella campagna di
Trentola il 29 gennaio del 1947. All’inizio del dibattimento la Corte ordinava
la sospensione del procedimento nei
confronti del Tonziello che per aver dato segni di sospetta alienazione mentale
sopravvenuta era stato ricoverato nel manicomio di Aversa. Proseguiva, così, il
dibattimento nei confronti di Nicola
Melodia, accusato di concorso in omicidio, che con sentenza 18 dicembre del
1950 veniva condannato ad anni 24 di reclusione. Sentenza confermato in appello
il 20 maggio del 1953 per l’omicidio con la esclusione delle aggravanti.
Successivamente - in seguito a rapporto
della direzione del manicomio con cui si riferiva che le condizioni mentali del
Tonziello erano tornate normali – e che i disturbi in precedenza accusati
dipendevano da psicosi carceraria (il cosiddetto morbo di Ganser che affligge
un poco tutti i neofiti alla prima esperienza carceraria) veniva revocato
l’ordine di sospensione del procedimento.
Comparso quindi innanzi alla Corte di Assise pur non confermando di
essere stato sottoposto a violenze da parte dei carabinieri dichiarò che
effettivamente fu istigato dal Melodia e che si era recato insieme con lui
sulla strada che il Bamundo doveva percorrere. La condanna fu di anni 24 e di
tre anni di sorveglianza a pena espiata. Attraverso i difensori il Tonziello
propose appello adducendo che doveva essere condannato per omicidio
preterintenzionale che gli doveva essere riconosciuto il vizio parziale di
mente, la concessione delle attenuanti generiche e la diminuzione della pena Il
Pubblico Ministero, invece, aveva prospettato
la conferma della sentenza “sic et
sepliciter” La Corte di Assise di
Appello (Presidente Filippo D’Errico,
giudice a latere Giuseppe Conti,
procuratore generale Luigi De Magistris, il nonno dell’attuale sindaco di Napoli) il 6
dicembre del 1957, osservò che l’appello
andava rigettato perché destituito da ogni fondamento. La volontà dell’imputato
– scrissero i giudici di secondo grado – sia stata quella dio uccidere e
non già quella di ferire solamente. Lui
confessò nel primo interrogatorio di essere fortemente contrariato per la
miglior fortuna che nei suoi confronti aveva avuto il suo rivale in amore Michele Bamundo decise senz’altro di
sopprimerlo. E incontratosi la sera del 18 gennaio col suo degno compare Nicola
Melodia confidò a costui il suo proposito omicida. Questi resosi conto della
volontà dell’altro assicurò che gli avrebbe potuto fornire il proprio fucile. Erano
ciascuno nelle proprie decisioni stabilirono di incontrarsi la sera dopo nei locali dell’ex Dopolavoro, da
dove poi avrebbero raggiunto il luogo prescelto per l’agguato al fine di
compiere il delitto. Ritrovatisi infatti la sera dopo all’ora convenuta nei
locali del Dopolavoro stabilivano il Tonziello di avviarsi verso il luogo
prescelto per la perpetrazione del delitto ed il Melodia di passare prima per
casa sua per rilevare il fucile e quindi raggiungere il compagno in quel luogo
– vale a dire in via Macello alla periferia del paese. La Corte di Assise di
Appello confermò la prima condanna e la Corte Suprema di Cassazione 26 aprile del 1958, dichiarò inammissibile il relativo ricorso.
Gli avvocati impegnati furono: Vito
Califano, Enrico Altavilla, Giuseppe Garofalo, Alfredo De Marsico e Ciro
Maffuccini.
Fonte: Archivio di Stato
di Caserta
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