LA
PUBBLICAZIONE DELL'IMMAGINE DI UNA PERSONA SENZA IL SUO CONSENSO E' LECITA SOLO
SE ESSENZIALE AI FINI DELLA CORRETTEZZA DELL'INFORMAZIONE
In
base all'art. 2 Cost. (Cassazione Sezione Prima Civile n. 15360 del 22 luglio
2015, Pres. Rordorf, Rel. Mercolino).
Nel dicembre 2004 un inviato del programma televisivo "Striscia la
Notizia" si è presentato a Gregorio P. nella finta veste di un cliente
interessato alla sua attività di consulente in materia di occupazione. Il
giornalista ha registrato, all'insaputa di Gregorio P. alcuni brani dei
colloqui svoltisi presso l'ufficio del medesimo. Il servizio televisivo è
andato in onda il 4 dicembre 2004. Gregorio P. ha chiesto al Tribunale di
Milano la condanna della RTI al risarcimento del danno per illecita
utilizzazione della sua immagine. Il Tribunale di Milano con sentenza del 6
luglio 2007 ha accolto parzialmente la domanda, condannando la RTI al pagamento
della somma di euro 10 mila oltre interessi legali a titolo di risarcimento del
danno non patrimoniale e rigettando invece la domanda di risarcimento del danno
patrimoniale e quella di riconoscimento dell'indennizzo per lo sfruttamento
economico dell'immagine.
Questa decisione è stata impugnata dalla RTI davanti alla Corte di Appello
di Milano che, con sentenza del 30 giugno 2011, ha integralmente accolto
l'appello, rigettando la domanda proposta da Gregorio P.. La Corte ha
ritenuto non condivisibile l'affermazione della sentenza di primo grado,
secondo cui l'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti nel
servizio televisivo non assumeva alcun rilievo ai fini della liceità
dell'utilizzazione dell'immagine, osservando che, in quanto riguardante
l'applicabilità della norma derogatoria di cui all'art. 97 della legge 22
aprile 1941, n. 633 (che esclude la necessità del consenso dell'interessato
quando la riproduzione dell'immagine è collegata a fatti d'interesse pubblico),
la risoluzione della controversia presupponeva proprio la verifica della natura
della notizia, del suo interesse per il pubblico e del collegamento
dell'immagine al fatto. Tanto premesso la Corte milanese, ha ritenuto
incontestabile l'interesse pubblico alla conoscenza della vicenda narrata nel
servizio televisivo, in quanto concernente inganni od abusi sul versante delle
offerte di lavoro. Gregorio P. ha proposto ricorso per cassazione censurando la
decisione della Corte di Milano per violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione I Civile n. 15360 del 22 luglio 2015, Pres.
Rordorf, Rel. Mercolino) ha accolto il ricorso. Ai fini del riconoscimento
della legittimità dell'utilizzazione dell'immagine - ha osservato la Corte - la
sentenza impugnata ha posto in risalto da un lato la mancata lesione
dell'onore, del decoro o della reputazione del ricorrente, dall'altro il
collegamento esistente tra la riproduzione delle sue fattezze e la vicenda
narrata nel servizio televisivo contestato, affermando che l'interesse pubblico
alla conoscenza di tale vicenda, indicativa degli inganni o degli abusi cui è
esposto chi è in cerca di occupazione, si estendeva all'identità delle persone
coinvolte, e quindi alla loro immagine, configurabili come elementi del fatto e
non già come dettagli informativi superflui; la coincidenza in tal modo
ravvisata tra le condizioni che legittimano la pubblicazione di notizie
eventualmente lesive della reputazione o quanto meno della riservatezza delle
persone interessate e quelle che consentono la diffusione della immagine delle
stesse in assenza del loro consenso - ha affermato la Cassazione - non può
peraltro essere condivisa, in quanto la diffusione della immagine della persona
interessata trova un'autonoma e più rigorosa disciplina nell'art. 10 cod. civ.
e nell'art. 97 della legge n. 633 del 1941. La prima di queste disposizioni subordina
l'esposizione e la pubblicazione dell'immagine altrui alla condizione che la
stessa non rechi pregiudizio al decoro o alla reputazione dell'interessato,
facendo tuttavia salve le ipotesi in cui le predette forme di utilizzazione
siano consentite dalla legge. Tali ipotesi sono previste dalla seconda
disposizione, la quale, nel richiedere in via generale il consenso della
persona ritratta, ne esclude la necessità quando la riproduzione dell'immagine
è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di
giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, ovvero
quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse
pubblico o svoltisi in pubblico. La predetta disciplina - ha affermato la
Cassazione - costituisce espressione di un principio fondamentale, il quale non
può subire restrizioni se non in casi eccezionali, tassativamente previsti
dalla legge: il principio secondo cui le sembianze di una persona non possono
essere esposte, riprodotte o messe in commercio contro la sua volontà. Tale
principio trova giustificazione nella natura stessa dell'immagine, che, in
quanto rappresentazione delle sembianze individuali, attiene ad uno dei modi di
essere della persona, configurandosi come una proiezione concreta (forse la più
immediata) della personalità nei rapporti con l'esterno. Il relativo diritto,
concretandosi nella facoltà di apparire se e quando si voglia, costituisce una
manifestazione della libertà individuale, che si traduce nella possibilità di
mostrarsi agli altri solo quando si abbia interesse a farlo o non si abbia
interesse a non farlo, ed è tutelato dalla legge anche nel caso in cui la
riproduzione o la diffusione non arrechino pregiudizio all'onore o alla
reputazione dell'interessato. Sotto quest'ultimo profilo, esso è accostabile
alla riservatezza. dalla quale si distingue però per la circostanza di non
avere ad oggetto le vicende private del soggetto, normalmente destinate a
rimanere sottratte all'apprezzamento del pubblico, ma un dato attinente
all'identità personale, la cui fruibilità da parte dei terzi, ordinariamente
libera, può cessare in qualsiasi momento per scelta dell'interessato.
Ciò
giustifica il particolare rigore con cui devono essere applicate le limitazioni
previste dall'art. 97 della legge n. 633 del 1941, le quali, avendo carattere
eccezionale, vanno interpretate in senso restrittivo, tenendo conto che il
diritto all'immagine può essere sacrificato solo se ed in quanto ricorrano
effettivamente ed attualmente le esigenze di carattere pubblico e sociale che
la legge ritiene prevalenti rispetto all'interesse del singolo, e che comunque
tale sacrificio non può eccedere la misura strettamente necessaria per la
realizzazione dell'interesse pubblico. In quest'ottica - ha rilevato la Corte -
la mera circostanza che l'immagine pubblicata appartenga ad un soggetto cui è
riferibile una vicenda rispetto alla quale sia configurabile un interesse alla
conoscenza da parte del pubblico non può considerarsi sufficiente a legittimarne
la riproduzione e la diffusione, occorrendo a tal fine un quid pluris,consistente
nella necessità che tale divulgazione risulti essenziale per la completezza e
la correttezza dell'informazione fornita. In tal senso depone d'altronde anche
l'art. 137 del Codice in materia di protezione dei dati personali approvato con
d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, il quale, nel sottrarre al consenso
dell'interessato il trattamento di dati personali effettuato nell'esercizio
della professione di giornalista e per l'esclusivo perseguimento delle relative
finalità (comma secondo), prevede che in caso di diffusione e comunicazione dei
dati restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui
all'art. 2, tra i quali è compreso il diritto all'identità personale e, in
particolare, il limite non già del mero interesse pubblico, ma quello
dell'essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico
(comma terzo). Tali limiti devono essere integrati con quelli previsti dal
Codice deontologico dei giornalisti, approvato dal Consiglio Nazionale
dell'Ordine nelle sedute del 26 e 27 marzo 1998, al quale va riconosciuto
valore di fonte normativa, in quanto richiamato dal d.lgs. n. 196 cit. e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, e dal cui rispetto gli iscritti all'Ordine
non possono quindi prescindere, perché la relativa violazione non solo li
esporrebbe all'applicazione di sanzioni disciplinari da parte del Consiglio
dell'Ordine competente, ma potrebbe essere anche fonte di responsabilità civile
sia per l'autore che per la sua testata. In tema di tutela della dignità della
persona l'art. 8 del Codice deontologico dedica una particolare attenzione alla
pubblicazione dell'immagine delle persone, a)subordinando proprio
alla essenzialità dell'informazione la pubblicazione di immagini o fotografie
di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, b) condizionando
alla sussistenza di rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di
giustizia e polizia la ripresa e la produzione d'immagini e foto di persone in
stato di detenzione senza il consenso dell'interessato, c) escludendo comunque
la possibilità di presentare le persone con ferri o manette ai polsi, salvo che
ciò sia necessario per segnalare abusi. Alla luce di queste ultime
disposizioni, e con riferimento alla pubblicazione su un quotidiano della foto
tessera di una persona sottoposta a misura restrittiva della libertà personale,
la Suprema Corte ha già avuto modo di affermare, d'altronde, che l'accertamento
della legittimità della pubblicazione dell'immagine di una persona senza o
contro il consenso dell'interessato è un'indagine che va condotta caso per
caso, nel rispetto sia dei parametri del diritto di cronaca e dell'essenzialità
della diffusione della notizia, sia dei parametri specifici fissati dall'art. 8
cit. a presidio della tutela della dignità umana. La più accentuata
potenzialità lesiva e la maggiore diffusività dell'immagine comportano inoltre
che la relativa valutazione debba essere compiuta con maggior rigore rispetto a
quella concernente la semplice pubblicazione della notizia, occorrendo
verificare se la pubblicazione delle immagini fosse essenziale ai fini
dell'informazione e inoltre considerare se tali immagini, per le loro
caratteristiche intrinseche, fossero da considerare lesive della dignità della
persona, in considerazione della particolare potenzialità offensiva connessa
all'enfatizzazione tipica dello stesso strumento visivo (ed all'idoneità
dell'immagine, una volta pubblicata, ad essere riprodotta anche a distanza di
tempo sui più svariati mezzi di comunicazione, scissa dall'articolo di cronaca
che ne poteva giustificare in origine la pubblicazione e sottratta al controllo
del soggetto ritratto), il cui uso nell'attività giornalistica è per questo circondato
da particolari cautele (cfr. Cass., Sez. III, 6 giugno 2014. n. 12834). A
conclusioni non diverse - ha affermato la Corte - deve pervenirsi in
riferimento alla fattispecie in esame, nella quale il profilo dell'essenzialità
della diffusione dell'immagine ai fini dell'informazione fornita con il
servizio televisivo è stato completamente trascurato, in virtù della ritenuta
sufficienza dell'interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti, con la
conseguente pretermissione di ogni accertamento anche in ordine alla specifica
riferibilità dell'informazione all'attività svolta dal ricorrente, piuttosto
che alla problematica di carattere generale trattata, ed alla conseguente
necessità della rivelazione della sua identità ai fini della completezza della
notizia.
La Suprema Corte ha rinviato la causa per nuovo esame alla Corte d'Appello
di Milano in diversa composizione.
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