UN NATALE DI SANGUE IL GIORNO DI SANTO STEFANO
UCCISE IL SUO PRIMO
FIDANZATO ACCUSATO DI AVERLA CALUNNIATA SUL SUO RAPPORTO SESSUALE
Il disegno diabolico era di diffamare la sua ex fidanzata per dar modo
all’amico di trarne spunto per la rottura del fidanzamento.
Sommario:
Il vero
violentatore si salvò per puro caso
anche se fu accusato di istigazione ad omicidio. La ragazza aveva deciso di
ucciderli entrambi freddò chi incontrò per primo. Il disegno diabolico
era di diffamare la sua ex fidanzata per
dar modo all’amico di trarne spunto per la rottura del fidanzamento.
Il delitto avvenne il 26 dicembre
del 1949 ad Aversa. Il suo movente? Florinda Certezza, dichiarava di
essere stata indotta a sparare contro il
suo ex fidanzato, in quanto costui,
affermando il falso, aveva riferito all’ultimo fidanzato, di aver goduto carnalmente di lei, anche contro natura. Alla “svergognata”
fu riconosciuto il vizio
parziale di mente.
La
storia
Aversa
– Nel
pomeriggio del 26 dicembre del 1949, in
Aversa ( metti l’arco dell’ annunziata e
vedi avvocati napoletani) la 22enne Florinda
Certezza, esplose contro il giovane Francesco Prisco 3 colpi di pistola attingendolo alla regione ascellare
anteriore sinistra. Il Prisco si abbatteva decedendo dopo qualche minuto dopo
per lesioni delle arterie polmonari destra e sinistra. L’omicida veniva
catturata mezz’ora più tardi mentre si aggirava per le vie cittadine. La
ragazza dichiarava di essere indotta a sparare contro il Prisco col quale anni addietro era stata fidanzata –
per circa 14 mesi in quanto costui
affermando il falso aveva riferito all’ultimo fidanzato di lei Raffaele Bamundo, da San Marcellino,
animato da concrete intenzioni di sposarla, di aver goduto carnalmente di lei, anche contro natura. Queste calunniose intimazioni avevano
distolto il Bamundo (che però – come accertarono i carabinieri - non era uno stinco di santo e che era stato
sparato dai parenti di una donna altra sua vittima) dall’osservanza di una
doverosa riparazione essendo costui autore della deflorazione violenta della
ragazza. Ogni iniziativa diretta a far
ricredere il Bamundo in ordine al grave addebito a lei mosso dal Prisco era
restato senza effetto. Inutilmente ella
aveva invocato la protezione della legge proponendo querela contro il
diffamatore. Il Bamundo si era ostinatamente trincerato dietro quella accusa
immonda rifiutandosi di sposarla. Nonostante l’avesse piegata con la forza –
alle sue concupiscenze – frenandone poi la reazione con la lusinga. Vinta da
tanta atrocità ella tentò in un primo momento il suicidio impedito dal pronto
intervento della madre. Si dispose quindi di agire contro coloro che avevano
distrutta la sua esistenza. Acquistò da un profugo ospitato nel campo di
Aversa, una pistola e attese che si offrisse il destro per mandare ad
esecuzione quanto aveva divisato. Nel
pomeriggio del 26 dicembre festa di Santo Stefano – ella uscì di casa, armata, col proposito di uccidere quello
che per primo avesse incontrato. Un
odioso contrattempo del destino segnò la fine del giovane che, tra l’altro,
era innocente - e come poi si scoprirà nel corso delle indagini - aveva addirittura difeso con veemenza
l’onorabilità della sua ex nei confronti dell’ultimo fidanzato, che intendeva
trovare un pretesto per abbandonarla,
dopo averla violentata con la forza.
Accuse di rapporti sessuali
immondi: Tutto falso e da lui inventato
per abbandonare la ragazza che aveva
sedotto.
Ma seguiamo le sequenze del
drammatico film dell’assurdo delitto. Florinda,
dopo un girovagare per la città di Aversa a quell’ora quasi deserta
per le feste natalizie, s’imbattè nel Prisco che transitava in bicicletta.
Questi, giunto all’altezza di lei, le
scagliò contro una parola (secondo il racconto della ragazza, che però,
non ha testimoni, ed appare un
espediente difensivo) che svincolò la sua condotta da ogni ulteriore inibizione:
“Questa fetente!”. Ella sparò più
volte allontanandosi subito. Le indagini dei carabinieri - espletate sulla falsariga della confessione
della Florinda Certezza – consentivano di stabilire in effetti che la ragazza era stata prima col Prisco e poi col Bamundo, col quale ultimo,
per esplicita ammissione della stessa – aveva avuto rapporti intimi. Il
Bamundo, dopo aver goduto i rapporti della giovane ed avrebbe promesso di
sposarla – improvvisamente aveva manifestato
anche ai familiari di lei di non poter mantenere i suoi impegni per aver
appreso dal Prisco dei turpi amori intercorsi con la ragazza, i quali avevano
formato anche oggetto di pregiudiziali propalazioni ad opera di quello. Il che veniva immediatamente ad inserirsi
sulle sue decisioni ponendolo di fronte
ad un problema che impegnava la propria
moralità. Varie ambascerie sollecitate dalla ragazza erano fallite di
fronte all’atteggiamento irre3movibile del Bamundo il quale a propria discolpa -aveva fornito specifici ragguagli circa
l’opera diffamatoria del Prisco che dopoi aver informato esso Bamundo della sua
precedente relazione con la Florinda, aveva ciò confermato in presenza di
comuni amici una sera in un frutteto i
cui prodotti il Bamindo aveva acquistato. Agli intermediari il giovanotto aveva
finito col dire che anche se anche le asserzioni del Prisco fossero state delle
stupide vanterie ugualmente egli si sarebbe trovato nell’impossibilità di tener
fede alla parola data perché un diverso atteggiamento gli sarebbe stasto
cagione di disdoro nella pubblica
estimazione.
Doppio delitto d’onore:
Calunniata, sedotta e abbandonata
Il Prisco querelato dalla Florinda Certezza in sede di
interrogatorio dinanzi ai carabinieri aveva impugnato nettamente quanto gli
attribuiva il Bamundo, presso il quale, in verità, egli era stato una sera, per
invito ricevutone di andare a mangiare della frutta. In tale congiuntura egli
ne aveva ascoltato le confidenze in ordine
al fidanzamento con la Certezza ed alla necessità di trovare un espediente per
liberarsene. Il Bamundo gli aveva a questo proposito chiesto di fornirgli il
suo aiuto con lo addebitare calunniosamente alla ragazza un comportamento
immorale nella sua anteriore relazione con esso Prisco tale da giustificare la
rottura del fidanzamento. Egli però aveva declinato sdegnosamente la richiesta
compreso nella nefandezza del suo contenuto. Iniziatosi procedimento penale - nel corso della lunga e
articolata istruttoria – la ragazza nei suoi molteplici interrogatori al
Giudice Istruttore finiva con l’addossare al Bamundo la responsabilità del
delitto da lei consumato per aver costui espletato nei suoi confronti un’opera
sottile di determinazione all’omicidio, ponendo come condizione alle nozze la
soppressione del diffamatore presunto.
“Uccidi lui, uccidi il Prisco, il quale è il
solo che si frappone tra me e te…uccidilo ed io ti sposerò”.
Un disegno diabolico, la trama
di un delitto tessuta con arte criminale. La madre dell’imputata Carmela Lucariello, informava delle
vicissitudini vissute al fianco della figliuola; dell’inutile inseguimento del
Bamundo, delle prove anche medico-legali fornite a costui della vita sessuale della Florinda non
aberrante come bassamente si assumeva; delle minacce di quello, infastidito
dall’assiduità delle querimonie e delle proteste di cui era bersaglio. La
povera donna riferì, inoltre, che la figlia le aveva riportato le ingiunzioni
del Bamundo: “Uccidi lui, uccidi il
Prisco, il quale è il solo che si frappone tra me e te…uccidilo ed io ti
sposerò”. E il padre della vittima confermò: “ Soltanto con l’eliminazione di
mio figlio il Bamindo aveva detto che si sarebbe deciso a sposarla”. Il
genitore dell’ucciso Pasquale Prisco assumeva
di aver appreso, a suo tempo, dal figliuolo delle richieste a costui fatte dal
Bamundo di diffamare la sua ex fidanzata per dar modo all’amico di trarne
spunto per la rottura del fidanzamento.
Sull’episodio del convegno nel frutteto di Lusciano – nel corso del
quale il Prisco avrebbe appreso le sue avventure con la Certezza, posseduta
anche contro natura nei parchi della Reggia di Caserta, deponevano, nel tenore della dichiarazione del
Bamundo, tali Vincenzo e Umberto De Santis
e Nicola
Abategiovanni i quali dichiaravano di non aver ascoltato narrazioni
del genere, benchè presenti. Poi altri
due testi, Giosuè Maicrica e Luciano
Abategiovanni, i quali si erano
accompagnati al Prisco - quella sera -
espressamente per magiare della frutta e negarono la circostanza riferita dal
Bamundo. Deponeva ancora in istruttoria il Brig. Antonio Motta, sul contegno serbato dal Prisco, nell’ufficio di Pubblica Sicurezza di Aversa
in occasione del confronto col Bamundo e la Certezza. Anche l’ins. Maria Ulisse, in casa della il Prisco s’incontrò con la
Florinda per una chiarificazione in rapporto alle accuse4 mossegli dalla
giovane preoccupata delle reticenze opposte dal Bamundo alla prosecuzione del
fidanzamento.
La ragazza aveva sofferta di
epilessia e fu chiesta perizia psichiatrica che conclamò la infermità di mente e la incapacità
d’intendere e di volere.
Prima che si chiudesse
l’istruttoria formale la difesa della Florinda Certezza avanzò una istanza al
giudice per far sottoporre la ragazza ad una visita psichiatrica in quanto –
fin dall’infanzia la stessa aveva manifestato chiari segni di epilessia. Una apposita perizia stabilì
che vi era una presenza del male di remoto impianto nella sua costituzione – e
fu nominato perito di ufficio il noto psichiatra Dr. Antonio Coppola direttore del Manicomio Giudiziario di Aversa. “I motivi della perizia psichiatrica –
scrisse il Dottor Coppola –
apparentemente sono tutti riposti nel precedente epilettico della Certezza,
precedente che ha dato al Magistrato la
necessità di un parere tecnico. Il
comune problema, cioè, si è presentato nella mente del richiedente: reato in crisi
epilettica o reato in soggetto epilettico? La soluzione a questo interrogativo
appare facile – ed a tal proposito – gli atti processuali danno dovizia di
elementi per dare la certezza della risposta.
Ma noi, inquieti studiosi di
anime umane, che nostro malgrado abbiamo il fascino della ricerca scientifica,
specie quando questa è posta al servizio della società criminale, per la
conoscenza dei fenomeni delittuosi, noi sentiamo un altro dovere: affondare lo
sguardo nelle tenebre di quelle anime, conoscere di esse la natura, il
significato di alcune manifestazioni, che l’umanità nelle sue estrinsecazioni
fisiologiche, prima che patologiche offre allo sguardo di chi sa
osservarlo. Il fenomeno delitto è uno
dei tanti episodi dell’umanità ed è la tipica espressione di una particolare
struttura psichica, psicologica ed, in
alcuni casi, psicopatologica. Esso pertanto va osservato, meditato per l’intima
sua potenzialità; di esso, e per ogni caso, vanno considerato il quid
ed il quia che possono dare
la dimostrazione del suo determinismo. Il
“caso” Certezza, di cui ci occupiamo, se comune può apparire nelle sue
linee generali, offre però alcuni elementi del problema di studio che meritano
la massima attenzione se si vuole veramente accertare come e perché una giovane
– al di fuori della questione dell’epilessia – possa far scattare la sua mano
in un atto omicida, dopo che ha subito indiscutibili traumi affettivi in un
logorio di veglie doloranti, all’osservazione quotidiana del proprio onore
infranto e alla propria dignità crollata. Insorgono a questo punto – scrive
ancora il Dr. Coppola nella sua interessante perizia psichiatrica – richiami alle reminiscenze sugli stati
passionali, sugli umanismi traumatogenetici
di questi stati. Giusti richiami –
ogni caso di criminalità va considerato in sé stante nel suo meccanismo
patologico. Quanti stati passionali, quante condizioni emotive avrebbero altra
applicazione se, per ognuna di essi fosse profondamente analizzata la
personalità demente intesa e psicologicamente studiata che li manifesta. Il
“caso” Certezza ha il suo netto profilo biocriminogico e non sarà vana fatica
lo studio dei fattori indogeni considerando anzitutto l’ambiante che circondò i
protagonisti del dramma che ci interessa”.
Il suo responso finale fu che la Florinda Certezza era “affetta
da personalità nevrotica emotiva ed epilettica sostrato sufficiente per
l’insorgere di una situazione4 ideo-affettiva emotiva nella quale andava
collocata la genesi del delitto”. Il Prof. Coppola concludeva pertanto asseverando che nel momento del delitto la Certezza venne a trovarsi per infermità di
mente in tale stato da scemare
grandemente –senza escluderla – la capacità d’intendere e di volere. Prima del rinvio a giudizio il padre della
vittima si costituì parte civile.
La Florinda Certezza, venne rinviata al giudizio della Corte di Assise
di Santa Maria Capua Vetere, (Presidente Paolo
De Lisi, giudice a latere, Victor
Ugo De Donato; Pubblico Ministero, Pasquale
Allegretto. Giurati: Giovanni
Pozzuoli, Pasquale Tanga, Giuseppe De Chiara, Gaetano Papa, Vincenzo Fava,
Oreste Boiggia, per rispondere di
omicidio volontario aggravato in danno
di Pasquale Prisco – suo
primo fidanzato. Nel suo interrogatorio
innanzi al Corte la ragazza dichiarò di essersi imbattuto nel Prisco e di aver
fatto fuoco contro di lui perché questi nel passarle accanto pronunciò queste parole: “Dove vai? Hai visto che fine ti
ha fatto fare? Devi vedere appresso che fine ti farò fare io?”. Nel
confronto col Bamundo la donna
insistette nello assunto di un’opera di costui di determinazione al
delitto. Sulla circostanza riferita dall’imputata della frase provocatrice
pronunciata dal Prisco al suo indirizzo deponeva il teste Ciro
Vargas il quale riferiva di aver
visto il Prisco che procedeva in bicicletta nello stesso senso della Florinda,
fermarsi presso di lei e rivolgerle un sorriso. La giovane estrasse subitamente
l’arma e fece fuoco. Conclusa l’assunzione delle prove Il pubblico ministero
chiedeva affermarsi la responsabilità della certezza coi benefici della
provocazione e delle attenuanti generiche e la diminuente della parziale
infermità di mente con la condanna ad anni 10 di reclusione e mesi 4 di arresto
( per la pistola ) ed il ricovero – a pena espiata – in una casa di cura e
custodia.
La difesa dell’imputata chiedeva
la concessione della provocazione, delle attenuante generiche, dei
motivi di particolare valore morale e sociale oltre alla diminuente del vizio
parziale di mente. La Corte, con la
concessione dei benefici delle attenuanti generiche, e della diminuzione del
vizio parziale di mente, emise una condanna ad anni 9 e mesi 4 di reclusione
con il ricovero – a pena espiata – in una casa di cura e di custodia per un
tempo non inferiore a tre anni. “La contestata verginità della donna – scrissero
i giudici nella loro motivazione – non
avrebbe potuto fargli sentire la necessità di una pubblica spiegazione del
Prisco valendo i fatti più delle ciarle. Se egli ricorse – come si assume – a
quello espediente ciò significa che esso medesimo intendeva valersi delle ciarle contro i fatti al solo
scopo di constatare col pretesto un divisamento che aveva altro origine. Da ciò
deriva che la Florinda Certezza uccise nell’erronea opinione che il fallimento
del suo programma sentimentale dovesse ascriversi al fatto personale del
Prisco. Un ruolo importante per la mitezza della condanna giocarono
certamente la perizia psichiatrica. La sentenza fu appellata, i difensori
lamentarono che la Corte non aveva riconosciuto alla Certezza la diminuente
della provocazione e del particolare valore morale e sociale. La Certezza è
stata vittima di un triste destino ella raggiunse un traguardo di disperazione
e di sfiducia anche perché non aveva ottenuto giustizia dalla sua querela
contro il Prisco e più tardi – come è noto – tentò di togliersi la vita.
Inferma, sola smarrita, tra due uomini agì sotto la spinta del suo impulso
morale e lo sfregio per la beffa. La Corte di Appello e la Suprema Corte di
Cassazione confermarono la prima sentenza. Nei tre gradi di giudizio furono
impegnati gli avvocati: Vittorio Diana,
Nicola Cariota Ferrara, Giuseppe Garofalo e Alfredo De Marsico.
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